Questo editoriale è, in un certo senso, una esercitazione.
Si apre come una richiesta, che è un po' l'eco di una prescrizione: prima di passare alla lettura del corpus dell'editoriale leggere attentamente l'articolo di p. 153 "Antipsicotici tipici e atipici nel trattamento dei sintomi psicotici nei soggetti con demenza e morbo di Parkinson" (N.B.: attentamente significa "normalmente", come in una esercitazione, dove la lettura rapida di un articolo è un mini-test di verifica, che vuol aprire una discussione ed un confronto). Perché leggere un articolo di questo tipo?
L'argomento non suona probabilmente di interesse immediato ed universale. E' indubbio tuttavia che riguarda una fascia di popolazione rilevante per gravosità, oltre che per numero, e già dal titolo sembra promettere informazioni anche farmacologicamente (oltre che clinicamente) interessanti. Come ulteriore motivo "oggettivo" per prendere sul serio la prescrizione di lettura sta il fatto che il capitolo degli antipsicotici atipici e della loro prescrivibilità a livello della popolazione anziana con le patologie indicate è divenuto uno dei temi di assoluta attualità nelle ASL, in sé, e ancor di più per le caratteristiche di situazione modello nella quale interagiscono (nel senso più antico e temuto in farmacologia: di principi attivi che, incrociando i propri percorsi cinetici o dinamici, producono risultati temibili e da sorvegliare):
fattori o variabili economiche (il costo dell'atipicità è più alto di un fattore...., ed è facile avere altre moltiplicazioni "flessibili" semplicemente rendendo flessibile la diagnosi di demenza);
criteri di "uso compassionevole" della scienza rispetto a bisogni dichiarati orfani o, se non proprio tali, certo "degni di comprensione";
[sullo sfondo, ma non certo marginali] considerazioni su "chi è responsabile" di sperimentare in modo rigoroso farmaci (tutt'altro che orfani!) per patologie e/o condizioni cliniche che coincidono con priorità indiscutibili per ragioni di salute pubblica, di etica, di riconoscimento-rispetto del diritto di dignità là dove questo è più a rischio di marginalità e di manipolazione.
Immaginiamo ora che, convinti o meno dalle argomentazioni, l'articolo sia stato letto, e che ognuno si sia formulato una sua ragionevole chiave di lettura, rispetto ai contenuti ed ai messaggi fondamentali. La cosa dovrebbe essere facilitata dal fatto che il testo è lineare, didattico, essenziale, aggiornato, sufficientemente affermativo, e insieme ricco di domande. La proposta è ora di confrontarsi a partire dai giudizi-rilievi che ognuno ha fatto, con i punti che seguono. E' chiaro che non ci si riferisce più all'articolo, ma a ciò che l'articolo fa intravvedere, e a cui si è rimandati. Finestra aperta.
Esercitazione di sguardo.
Le presenze
La cosa che più impressiona nella letteratura citata lungo tutto il percorso dai tipici agli atipici, dalla demenza al Parkinson, sono i numeri. Il mondo globalizzato della ricerca, che cerca di trovare sempre nuove nicchie per un mercato che si dice sempre più bisognoso di crescita per sopravvivere, riesce a partorire trial-topolino, che raggiungono solo con sforzi assolutamente "unici" le poche centinaia di pazienti ben randomizzati in tre o quattro gruppi di trattamento. I numeri tradiscono quanto importanti sono pazienti e popolazioni portatori/trici di questi bisogni. Non ci sono altre presenze nella letteratura. O prendere o lasciare. Ma se si lascia, i problemi scompaiono? E se non sono pazienti nei trial, i pazienti spariscono magicamente anche dalla realtà?
O lo sparuto numero di presenze che nei trial permettono di quantificare le differenze è programmaticamente previsto per fare "compassione", ostentando le sofferenze di questi pazienti che alla sfortuna di base aggiungono le psicosi?
Le assenze
Sono complementari-coerenti con il messaggio delle presenze. Dalle finestre dei trial è rigorosamente assente il "buon senso" peraltro ben ricordato nella Tabella di p. 154: i farmaci si sperimentano e si valutano rigorosamente prescindendo dai contesti, dalle storie, dalle attese (dei pazienti, dei caregivers, delle istituzioni: attese di partecipazione? di confino? nate dalla stanchezza? dall'efficienza? da linee d'ordine burocratico-aziendale-gestionale?).
La multicentricità è un gioco di moltiplicazione di ancor più poche presenze? O è l'occasione imprescindibile per fare della variabilità dei contesti di cura una fonte prioritaria di informazione, comprensione, conoscenza?
Il tempo
La finestra aperta sulla transizione tra atipici e tipici in questo angolo della medicina è illuminante: la cronicità subisce contrazioni drastiche, nelle definizioni e nella pratica: la si può studiare miniaturizzandola in 12 settimane, poco più poco meno, salvo poi immaginare periodi [quasi] cronici di osservazioni "in aperto" (dimenticando per strada i non-responder, i drop-out, i withdrawal: tutti rispettabili, data la precisione delle loro definizioni riconosciute da GCP-ICH, ma non per questo meno assenti). Sarebbe probabilmente istruttivo -allargando lo sguardo dalla finestra su dementi o
Parkinsoniani agitati a popolazioni più comuni e cliniche come asmatici, o insonni, o anziani complessi, o altri- documentare la interpretazione operativa di "cronicità" che si ritrova nei trial, e passa magari, per forza di inerzia, nelle linee guida.
La coerenza
La psichiatria ha una lunga storia di fedeltà ai piccoli numeri, a dimenticare i contesti, a ignorare il tempo reale. Nonostante siano ormai passati quasi quattro decenni, anno più anno meno, da quando i primi psicofarmaci hanno fatto la loro comparsa (erano gli "atipici" di allora), le regole non scritte non sono cambiate: il trovarsi di fronte a problemi non facilmente definibili, nella diagnosi e nella prognosi, nella sintomatologia e nelle misure di efficacia, non ha stimolato un "eccesso" di attenzione alla rappresentatività reale della sofferenza nella ricerca: al contrario. Si è stabilito un patto di artificiosità: per entrare nella ricerca, il disagio doveva - e, coerentemente, deve ancora - lasciare da parte i propri abiti disordinati e poco presentabili, ed adattarsi alle regole di una società scientifica che ha a cuore i farmaci e le misure che "fanno la differenza statistica", senza preoccupazioni di continuità con la differenza nella vita.
La finestra aperta dall'articolo che a ha provocato questa esercitazione editoriale affaccia ancora una volta anche su altri paesaggi: si possono citare, tra quelli più noti:
quello della sclerosi multipla (legittimato dalle agenzie regolatorie europee, finanziato dal SSN, e che continua a garantire l'assenza più rigorosa delle storie dei [tanti!] pazienti reali);
quello dei farmaci per la riproduzione assistita (la cui "presenza" pesante nella spesa farmaceutica dovrebbe essere un indicatore importante della simmetrica-opposta clandestinità dell'epidemiologia, clinica e culturale, delle persone esposte, oltre che dell'etica professionale degli esperti);
quello dei pazienti tumorali trattati al di fuori dei protocolli di prima linea, più o meno raccomandati...
La "coerenza" che accomuna queste popolazioni (e altre che gli interessati alla esercitazione possono aggiungere) è quella di essere portatrici di bisogni che chiedono una medicina-scienza disponibile a cambiare le regole del gioco: a riconoscere cioè che la marginalità nelle risposte che si possono ottenere esige sul serio un "di più" di creatività ed insieme di rigore metodologico; esattamente l'opposto di quanto sembra succedere: si chiedono sconti, anche pesanti, di metodologia, in nome di un rispetto della soggettività e delle emozioni, che è di fatto una violazione aperta degli standard minimi di dignità professionale.
La ricerca
La finestra che, attraverso la metodologia, fa intravvedere che la minaccia più profonda è per la dignità delle persone (è questo un luogo vero dell'etica?), affaccia non solo a quanto si trova in letteratura, ma ai protocolli che vengono proposti per queste popolazioni, e che spesso hanno vita facile in molti Comitati Etici. Come si fa a criticare o addirittura rifiutare le buone intenzioni di chi promuove ricerca (osservazionale, aperta, multicentrica, di lunga durata, su scala nazionale) per popolazioni che sono portatrici di bisogni per i quali nella letteratura le risposte non sono ancora chiare? Quanti sono i protocolli di questo tipo per le "nuove" terapie nell'epatite, per l'eritropoietina a dosi più o meno alte che promette qualità di vita a pazienti oncologici, per gli antipsicotici atipici nella schizofrenia? Per chi volesse continuare nell'esercitazione su quest'ultimo tema, un testo imprescindibile, e di una potenza didattica unica, può essere il protocollo SOHO (Schizophrenia Outpatient Health Outcomes) che ha occupato molti C.E. oltre che altrettanti servizi psichiatrici, e che aveva (ha? è in corso?) un budget importante (di una entità indipendente? del produttore del farmaco-protagonista?).
Sarebbe interessante, esplorare quale è la frazione di studi (di fase III, IIIb, IV..) che affrontano problemi molto seri con "sconti" metodologici altrettanto seri, invocando implicitamente come scusa la priorità dei bisogni. Può essere un modo di pensare all'uso del Registro nazionale delle sperimentazioni. Ma può essere prima ancora, ed in modo più responsabile, diretto, qualitativo, partecipativo, un compito dei C.E.: con il vantaggio che in questa esercitazione decentrata possono entrare anche le proposte non approvate (che non finiscono per ora nel registro Nazionale). Il materiale raccolto può essere uno strumento di confronto tra C.E. e gruppi proponenti (specialisti delle diverse discipline, industrie, agenzie..).
La strada della dignità passa necessariamente per la trasparenza, non per la "confidenzialità" dei protocolli. E' bene che le finestre siano ben aperte: i bisogni inevasi non hanno bisogno di "privacy", ma di visibilità.
Conclusione bibliografica 1. Per chi volesse avere un'idea sintetica ed aggiornata del rischio di in-credibilità cui espongono trial staccati da una logica di aderenza ai bisogni e ad una cultura della trasparenza si consiglia di leggere R. Horton (The Clinical Trial: deceitful, disputable, unbelievable, unhelpful and shameful what next? Controlled Clinical Trials 2001; 22: 593-604). 2. Per lasciarsi prendere più complessivamente dal gioco e dalla logica delle "finestre", che aprono possibilità di sguardo inattese e creative su realtà che sembrano tranquille ed acquisite, si consiglia una lettura meno impegnata e più liberante, dove, come dice il suo titolo, le parole accompagnano il cammino, e permettono di incontrare, quando meno lo si aspetta, una finestra piena di sorprese e di suggerimenti: E. Galeano, Parole in cammino. Mondadori, 1998.