Il trattamento dell'osteoporosi ha come obiettivo principale la riduzione delle fratture. La Nota 79 prevede la prescrizione di farmaci a carico del SSN per i pazienti con rischio di frattura sufficientemente alto da giustificare gli inevitabili eventi avversi connessi a terapie a lungo termine. I soggetti con pregresse fratture osteoporotiche sono quelli più a rischio di ulteriori fratture (>20% a 10 anni), così come i pazienti ultra50enni in trattamento cortisonico cronico, gli unici per i quali esistono adeguate documentazioni di efficacia.
Le evidenze a sostegno nella prevenzione primaria delle fratture sono invece decisamente limitate e circoscritte a popolazioni a rischio molto elevato. Ciononostante, il setting d'impiego dei farmaci "anti-osteoporotici" si è sempre più allargato sino a ricomprendere situazioni di semplice osteopenia, quando non è dimostrato che ci sia una correlazione diretta tra aumento della densità minerale ossea (endpoint surrogato) e la riduzione delle fratture.
I bifosfonati per via orale rappresentano i farmaci di riferimento nella prevenzione delle fratture vertebrali e non vertebrali nelle donne in postmenopausa, con le migliori prove di efficacia per alendronato e risedronato.
Dosi settimanali di bifosfonati per via orale hanno la stessa efficacia delle dosi quotidiane nell'aumentare la densità minerale ossea e, probabilmente, sono anche meglio tollerate; i dati sulle fratture sono tuttavia disponibili solo per le formulazioni a dosaggio giornaliero.
Alendronato e risedronato sono gli unici bifosfonati autorizzati nell'impiego nell'uomo sulla base di studi che ne hanno valutato la capacità di aumentare la densità ossea (non la riduzione delle fratture); ibandronato,e tra i non bifosfonati il ranelato di stronzio, dispongono anch'essi di dati sul miglioramento della densità ossea nel maschio, ma l'Agenzia Europea e l'AIFA non si sono ancora espresse a favore dell'ampliamento dell'indicazione.
Per il neridronato, registrato nel trattamento dell'osteogenesi imperfetta, l'unica novità riguarda l'autorizzazione nel morbo di Paget, ma rimane la non prescrivibilità nella prevenzione delle fratture nei soggetti di sesso femminile (e maschile). Gli eventi avversi rilevati negli ultimi tempi con l'uso protratto dei bifosfonati hanno sollevato dubbi sulla loro sicurezza, riproponendo la necessità di restringerne l'impiego ai pazienti a rischio più alto di fratture e di valutarne attentamente la durata della terapia. La soppressione a lungo termine del turnover osseo sembra infatti indebolire anziché rafforzare l'osso. In uno studio effettuato su oltre 205.000 donne di età superiore ai 68 anni, il trattamento con bifosfonati per un periodo superiore ai 5 anni è stato associato ad una incidenza significativamente più elevata di fratture femorali sub trocanteriche o diafisarie. Oggi si tratta quindi di decidere in quali pazienti il vantaggio terapeutico dei bifosfonati può controbilanciare il rischio di una frattura atipica. Sulla base dei limitati dati a disposizione, si può ragionevolmente ritenere che a beneficiare di un trattamento oltre i 5 anni siano le donne con pregresse fratture vertebrali o con densità minerale ossea molto bassa (T score femorale inferiore a -4). Per la valutazione e la quantificazione dei fattori di rischio sono disponibili alcuni algoritmi tra cui quelli disponibili a questi indirizzi: http:// shef.ac.uk/FRAX/tool.jsp?lang=it e http://www.defra-osteoporosi.it/.
Nelle pazienti a basso rischio di fratture (densità minerale stabile, assenza di fratture all'anamnesi), dopo 5 anni, l'assunzione di bifosfonati dovrebbe essere cautelativamente sospesa, mantenendo invece inalterata l'integrazione (sempre necessaria) di calcio e vitamina D.
A far propendere per un uso oculato dei bifosfonati sta la conferma che anche con l'uso orale può manifestarsi osteonecrosi della mandibola, un evento raro (circa 1 caso su 1.000 trattati), rilevato originariamente nei pazienti oncologici o immunocompromessi trattati con bifosfonati ad alte dosi per via endovenosa. Sono stati inoltre segnalati casi di fibrillazione atriale grave (è in corso una revisione della FDA sulla sicurezza cardiovascolare dei bifosfonati), ed eventi avversi oculari (emorragie, neurite ottica, difetti del campo visivo, glaucoma) che nei casi più gravi hanno richiesto la sospensione del trattamento.
Data di Redazione 08/2012
Le Note commentate sono elaborate da un gruppo interdisciplinare* all'interno del quale trovano larga rappresentanza medici di medicina generale e pediatri. Non si tratta di un aggiornamento dello stato delle conoscenze né il punto di vista della medicina generale su un argomento clinico-assistenziale d'attualità o dibattuto nella letteratura scientifica. L'originalità di queste Note risiede nel modo con cui un gruppo di MMG percepisce e affronta i problemi aperti che emergono dall'incrocio critico tra i dati di mercato, la promozione delle ditte produttrici e i risultati degli studi. Le motivazioni che di volta in volta sottendono la scelta del tema provengono da fattori contingenti locali o da iniziative/progetti specifici.
* Busani Corrado, Chiari Corrado, Davoli Daniela, Ferretti Alessandra, Ferretti Tiziano, Gandolfi Alberto, Gigliobianco Andrea, Marconi Bettina, Miselli Mauro, Navazio Alessandro, Pellati Morena, Riccò Daniela, Viaroli Mario