Tra gli esami più frequentemente richiesti dai medici, sia ospedalieri che di famiglia, vi è senz'altro la determinazione delle transaminasi, e non di rado vengono riscontrati valori al di sopra dei limiti di norma. Se ciò non pone problemi particolari in pazienti già noti come portatori di una malattia epatica cronica, altre volte, in soggetti altrimenti ritenuti sani, ricercarne la causa può implicare un percorso diagnostico relativamente complesso e non sempre in grado di fornire una spiegazione soddisfacente della alterazione enzimatica osservata. Alcuni dati di letteratura mostrano che circa l'8-10% delle ipertransaminasemie persistenti resta ad eziologia sconosciuta nonostante un iter diagnostico approfondito. Occorre anche considerare che il 3-31% dei pazienti con malattia epatica terminale ha una cirrosi cosiddetta criptogenetica e questa rappresenta, da sola, il 7-14% delle indicazioni al trapianto epatico negli Stati Uniti1,2,3. D'altro canto non sempre una ipertransaminasemia di lieve entità viene attentamente presa in considerazione dal medico, con il rischio di non identificare una malattia epatica potenzialmente curabile4. Sulla base di questa premessa ci sembra che trovi piena giustificazione la pubblicazione sul bollettino di un articolo che si occupa di diagnosi. Partendo da un dato laboratoristico aspecifico, solo seguendo un percorso diagnostico razionale si può arrivare a formulare una diagnosi precisa del tipo di epatopatia (o altra causa) con la quale abbiamo a che fare e, di conseguenza, potremo indicare se e come impostare un iter terapeutico altrettanto razionale che sarà oggetto della 2a parte dell'articolo.
1. Le transaminasi
Risale ai primi anni '50 da parte di De Ritis et al. l'evidenza di una correlazione tra rialzo dei valori sierici delle transaminasi e la presenza di un danno epatico. La aspartato-aminotransferasi sierica (AST o SGOT) è un enzima che si trova in elevate concentrazioni nel fegato, nel muscolo scheletrico e cardiaco, nel rene, nel pancreas e nei globuli rossi; all'interno delle cellule è presente sia nel citoplasma che nei mitocondri. Non è possibile distinguere l'organo-fonte delle AST, mentre in alcuni laboratori è possibile differenziare l'isoenzima mitocondriale da quello citoplasmatico. La alanino-aminotransferasi sierica (ALT o SGPT) è principalmente contenuta nel fegato, mentre in altri organi è in bassa concentrazione; all'interno delle cellule è presente solo a livello citoplasmatico.
I valori normali
Le transaminasi sono rilasciate in caso di necrosi o di danno cellulare con aumento di permeabilità di membrana ed una minima quantità è costantemente e fisiologicamente presente nel siero. Come per altri test di laboratorio il valore normale è dato dalla media dei valori riscontrati in un gruppo di soggetti sani ±2 deviazioni standard: quindi, per definizione, il 5% dei valori ottenuti in soggetti sani è al di fuori del range di normalità (nel 2,5% dei casi al di sopra e nel 2,5% dei casi al di sotto dei limiti stabiliti). I valori oggi utilizzati (in genere 7-40 UI/l) sono stati ottenuti da studi eseguiti negli anni '80 su popolazioni di donatori di sangue, allora non sottoposti a screening per HCV, e non valutatati per una patologia oggi ritenuta relativamente diffusa, la steatoepatite non alcolica (NASH). E' possibile pertanto che i valori attualmente utilizzati includano nel range di normalità soggetti con malattia necroinfiammatoria epatica, anche se di lieve entità. Alcuni studi hanno mostrato che i valori delle transaminasi sono correlati all'indice di massa corporeo (Body Mass lndex: BMI), alla trigliceridemia, alla colesterolemia, alla glicemia, all'uso di contraccettivi orali, e che in individui con questi parametri nella norma i valori delle ALT al 95° percentile erano per i maschi di 30 e per le donne di 19; altri studi hanno mostrato come nei donatori di sangue la riduzione del valore massimo di ALT a 30 UI/I ha permesso l'identificazione di un maggior numero di soggetti con epatite cronica da HCV e con steatoepatite non alcolica5'6. Ma se questo è vero per una popolazione selezionata come quella dei donatori di sangue, nella popolazione generale, ove sono frequenti i soggetti sovrappeso, con anomalie del metabolismo glicolipidico o che assumono discrete quantità di alcool, si rischierebbe di osservare di frequente valori alterati in una popolazione non affetta da malattia epatica. E' stato pertanto proposto di correlare i valori delle transaminasi alla costituzione corporea ed al sesso, proponendo i seguenti parametri:
femmine:
BMI* < o = 23, VN ALT= 31 UI/l
BMI > o = 23, VN ALT= 44 UI/l
maschi:
BMI < o = 23, VN ALT = 42 UI/l
BMI > o = 23, VN ALT = 66 UI/l
*BMI (Body Mass Index) = (Peso corporeo in kg):(altezza in m2)
2. Cause di ipertransaminasemia
A fronte di una ipertransaminasemia di recente scoperta occorre innanzitutto procedere ad una corretta anamnesi e ad uno scrupoloso esame obiettivo, poi, in assenza di elementi che possono fare sospettare la presenza di una epatopatia cronica, dovrà essere programmato un nuovo controllo enzimatico a distanza di 2-3 mesi, eventualmente esteso ad altri esami di funzionalità epatica (fosfatasi alcalina, gamma GT, bilirubinemia, emocromo, elettroforesi proteica). In caso di conferma della ipertransaminasemia potrà essere avviato un iter diagnostico rivolto a ricercare la causa della alterazione enzimatica.
Anamnesi
Sono da approfondire i seguenti aspetti: familiarità per epatopatia; tossicodipendenza; trasfusioni di sangue o emoderivati; ospedalizzazioni ed interventi chirurgici anche minori; analisi delle abitudini dietetiche con particolare riferimento alla assunzione di bevande alcoliche; presenza di malattie endocrinometaboliche (diabete, ipoipertiroidismo, etc); presenza di malattie neuromuscolari, quali miopatie tipo Duchenne e polimiositi; uso di farmaci, tra cui i contraccettivi orali; recenti stress fisici; recenti traumi muscolari, quali ad es. una iniezione intramuscolare; presenza di scompenso cardiaco; storia di malassorbimento (es. malattia celiaca).
Esame obiettivo
Una scrupolosa visita del paziente permetterà di evidenziare segni di epatopatia cronica (epatomegalia, spider nevi, eritema palmare, ipertrofia delle parotidi etc), di accertare la conformazione fisica e lo stato nutrizionale (Body Mass lndex), di valutare il colore della cute (emocromatosi), di evidenziare eventuali patologie extraepatiche (es. malattie muscolari, scompenso cardiaco).
2.1 Abuso di alcol
La diagnosi può essere difficile in quanto molti pazienti rimuovono il problema o sottostimano la quantità di bevande alcoliche consumate. Dati indiretti di assunzione incongrua di bevande alcoliche possono derivare da un rapporto AST/ALT > di 2:1 (speciticità del 70%), da un aumento delle gamma GT e delle IgA, oppure da una macrocitosi.
2.2 Uso di farmaci, droghe, erbe medicinali
Occorre eseguire una accurata anamnesi farmacologica, con particolare attenzione verso farmaci utilizzati con continuità, magari in assenza di prescrizione medica, come ad esempio gli antiinfiammatori non steroidei; altri farmaci che frequentemente possono dare ipertransaminasemia sono gli antibiotici, gli antitubercolari, gli antiepilettici, le statine e gli ipoglicemizzanti orali. Vanno pure ricordati alcuni preparati a base di erbe ed anche sostanze usate illecitamente per doping o a scopo voluttuario (steroidi anabolizzanti, cocaina, extasy, solventi e colle).
2.3 Epatite croniche virali
I dati epidemiologci mostrano come la prevalenza di malattie epatiche nella popolazione generale italiana sia del 3-5%, di cui il 70% causate da virus. La prevalenza di positività per HbsAg nella popolazione adulta è di circa il 2,4% e quella per HCV-Ab del 3%: complessivamente si stima che vi siano almeno 3 milioni di individui affetti da epatite cronica (2 milioni da HCV ed 1 milione da HBV). Deve essere tenuto in considerazione anche il ruolo dei flussi migratori da aree geografiche ad elevata endemia per i due virus (Albania, Egitto, Romania, etc).
HCV
L'epatite cronica da HCV rappresenta attualmente la causa principale di morbilità e mortalità tra le malattie epatiche. La sensibilità del test ELISA di terza generazione oggi utilizzato per la ricerca di anticorpi anti-HCV è di circa il 97%, ma la specificità dell'esame è assai diversa a seconda che venga utilizzato in popolazioni a bassa prevalenza di malattia, quale è quella dei donatori di sangue (valore predittivo positivo del 25%), o in popolazioni ad elevata prevalenza di infezione (tossicodipendenti, politrasfusi ecc) (valore predittivo positivo del 88-95%). Dunque mentre un test ELISA positivo in un paziente con alterazione delle transaminasi e fattori di rischio per HCV è sufficiente per porre diagnosi di epatite cronica da HCV, nel caso del donatore di sangue andranno eseguiti test supplementari (RIBA, HCV-RNA con metodica PCR). In alcuni pazienti con infezione da HCV la sierologia può risultare negativa come ad esempio, nella prima fase della epatite acuta da HCV (nel cosiddetto periodo finestra), oppure in pazienti con grave immunodepressione (concomitante infezione da HIV, oncoematologici, dializzati, etc); in rari casi soggetti non affetti da immunodeficienze non esprimono gli anticorpi per HCV. In queste situazioni è consigliabile eseguire sempre la ricerca dell'HCV-RNA con metodica PCR. D'altro canto, è possibile avere test ELISA falsamente positivi, come appunto nell'ambito di screening di popolazioni a bassa prevalenza di infezione o nel caso di pazienti affetti da malattie autoimmuni: anche in questo caso sarà dirimente la ricerca dell'HCV-RNA.
HBV
Per definizione un soggetto portatore del virus dell'epatite B è HbsAg positivo: in tal caso, per una migliore definizione diagnostica, andranno eseguiti i test sierologici completi per HBV (i cosiddetti marker dell'epatite B) e la ricerca del genoma virale (HBV-DNA). Nella valutazione di una ipertransaminasemia, il riscontro di negatività dell'HbsAg deve portare a ricercare altre cause. Una (rara) eccezione è quella dell'epatite acuta da HBV, in cui a volte l'HbsAg può risultare negativo, o perché ricercato nel cosiddetto periodo finestra (che nel caso dell'infezione acuta da HBV può essere anche di sei mesi) o perché si è verificata una eliminazione molto precoce dell'HbsAg (la diagnosi verrà allora effettuata con il riscontro di un titolo elevato delle lgM anti-HBc).
Altri virus
Vi sono diverse evidenze a sostegno dell'esistenza di altri virus epatotropi ancora non identificati7.
Studi prospettici su epatiti post-trasfusionali hanno mostrato che il 12% dei casi non è dovuto al virus dell'epatite A, B,C, D ed E.
Negli USA il 18% circa delle epatiti acute sono ad eziologia imprecisata.
Nel 40% circa delle epatiti fulminanti non è possibile identificare la causa.
Il 20-30% circa delle epatopatie croniche, in particolare le cirrosi, sono ad eziologia non determinata.
Nel tentativo di ricercare altri virus epatotropi sono state individuate alcune particelle che, seppur efficacemente trasmesse, non pare abbiano una reale capacità di provocare danno epatico: è il caso dei virus dell'epatite G (HGV) e del virus TT (TTV, dalle iniziali del paziente da cui è stato isolato); al momento si hanno dati discordanti su altre particelle definite SEN-virus8,9.
2.4 Emocromatosi ereditaria
La emocromatosi ereditaria è caratterizzata, come è noto, da un alterato metabolismo del ferro, con conseguente accumulo del minerale in alcuni organi, tra cui fegato, pancreas, testicoli, cuore e articolazioni. Si tratta di una anomalia non così rara nella nostra popolazione (prevalenza di circa 1,9-6/mille abitanti) e senz'altro sottostimata. Nel nord Europa, dove ha avuto origine il gene ancestrale, si stima che i portatori di un allele con una mutazione dell'emocromatosi siano circa il 10-13% della popolazione10. Il tipo di danno è correlato alla quantità di ferro accumulato nell'organismo: in genere l'emocromatosi si manifesta clinicamente non prima dei 35-40 anni, quando già la malattia è in fase avanzata. Con una diagnosi precoce ed una adeguata terapia ferrodepletiva la sopravvivenza dei pazienti è normale. L'utilità di uno screening della popolazione è ancora oggetto di discussione, in caso di riscontro di ipetransaminasemia è però sicuramente opportuno eseguire una valutazione del metabolismo del ferro mediante la determinazione dell'indice di saturazione della transferrina e della ferritinemia (box). In caso di riscontro di un indice di saturazione > o = 45% è opportuno confermare il dato con un secondo prelievo (deve essere eseguito sempre a digiuno); in caso di conferma si rende necessario un approfondimento diagnostico (studio genetico, biopsia epatica, ricerca di una eventuale cardiomiopatia, valutazione endocrinologica)11.
2.5 Epatite autoimmune
E' una malattia relativamente rara, con una prevalenza nel nord Europa di circa 170 casi per milione, che interessa soprattutto il sesso femminile (rapporto di 4:1) ed è frequentemente associata all'aplotipo HLA A1 B8 DR3 e HLA DR4. E' caratterizzata dalla presenza di flogosi epatocellulare, di alterazione delle transaminasi, di ipergammaglobulinemia e di presenza di autoanticorpi sierici. La malattia può manifestarsi con un quadro del tutto sovrapponibile a quello di una epatite acuta (a volte fulminante) oppure con una modesta alterazione delle transaminasi ed uno spettro di malattia che va dalla epatite cronica di lieve entità alla cirrosi. Attualmente viene classificata in due tipi. Il tipo 1, la più frequente, è caratterizzata dalla presenza di anticorpi antimuscolo liscio e/o antinucleo e spesso anche da anticorpi anticitoplasma dei neutrofili (ANCA) ed è associata nel 38% dei casi ad altre malattie immunologiche (tiroiditi, rettocolite ulcerosa, sinoviti, etc.). Il tipo 2, più rara, è caratterizzata dalla positività per anticorpi anti-LKM (liver/kidney microsomal autoantibodies) ed interessa soprattutto la popolazione in età pediatrica. In alcuni casi è associata ad infezione da HCV. Per la diagnosi, a volte non semplice, si deve fare riferimento ad un sistema di score ormai sufficientemente validato.
2.6 Malattia di Wilson
E' una malattia ereditaria caratterizzata da accumulo di rame a livello di alcuni organi, tra cui fegato e cervello, per un difetto nella sua escrezione. Può determinare malattia epatica con uno spettro che va dalla epatite acuta (anche fulminante), alla epatite cronica con ipertransaminasemia asintomatica fino alla cirrosi epatica. L'esordio clinico si ha generalmente tra i 5 ed i 25 anni, ma sono stati descritti casi anche in età più avanzata. Poiché la malattia epatica è generalmente asintomatica, in pazienti giovani con alterazioni delle transaminasi occorre sempre prestara attenzione alla eventuale presenza di sintomi neurologici (disartria, tremori, difficoltà nella scrittura, atassia, disturbi della personalità e comportamentali, deficit cognitivi). Lo screening iniziale prevede il dosaggio plasmatico della ceruloplasmina, che nell'85% dei casi è in concentrazione ridotta.
2.7 Deficit di alfa-1-antitripsina
E' una causa rara di malattia epatica cronica dell'adulto, mentre è relativamente più frequente nei bambini, nei quali rappresenta la principale causa di epatopatia a trasmissione genetica. L'omozigosi ha una incidenza di circa 1 caso ogni 1600-2000 nati vivi. Il danno epatico è causato dall'effetto tossico della molecola mutata di alfa-1-antitripsina che si accumula nel reticolo endoplasmico degli epatociti. Nell'adulto si manifesta come epatite cronica e cirrosi epatica. La diagnosi è basata sul dosaggio dell'alfa-1-antitripsina sierica (è una proteina infiammatoria, pertanto vi possono essere risultati falsamente negativi) e sullo studio fenotipico15.
2.8 Steatosi epatica non alcolica
La prevalenza nella popolazione occidentale di steatosi epatica non correlata ad assunzione significativa di alcool è di circa il 20%. Tradizionalmente considerata come una situazione del tutto benigna, è in realtà a volte associata a gradi variabili di flogosi e fibrosi, configurando in questi casi una vera e propria malattia di fegato, la steatoepatite non alcolica, capace di progredire fino alla cirrosi ed alla insufficienza epatica. La steatoepatite non alcolica interessa circa il 3% della popolazione generale ed attualmente rappresenta la forma più frequente di danno epatico riscontrato in soggetti sottoposti a biopsia epatica per ipertransaminasemia ad eziologia indeterminata; è anche verosimile che essa sia alla base di una buona parte delle cirrosi criptogenetiche12,13,14. Anche se dal punto di vista nosografico non vi è ancora un consenso unanime sulla definizione di steatosi non alcolica e di steatoepatite non alcolica, possono essere proposte, in accordo con la maggior parte degli autori, le seguenti definizioni.
Steatosi non alcolica (nafl: non alcoholic fatty liver): presenza di steatosi macrovescicolare o micro-macrovescicolare (ma non a prevalenza microvescicolare) in assenza di assunzione significativa di alcol (>20 g al giorno). Vengono riconosciute una forma primaria ed una forma secondaria (tabella 1). Occorre anche ricordare che un quadro variabile di steatosi può essere riscontrata fino al 46% delle biopsie epatiche eseguite in pazienti affetti da epatite cronica da HCV, naturalmente associata agli aspetti istologici tipici di questa patologia. Le lesioni istologiche riscontrate nelle steatosi non alcoliche, al pari di quanto avviene per le epatiti croniche, possono essere graduate sulla base di indici crescenti di gravità 15.
Steatoepatite non alcolica: rappresenta la forma più grave di steatosi non alcolica (lesioni istologiche di stadio 3 e/o 4), con possibile presenza di gradi variabili di fibrosi.
Associate alla steatosi si possono avere alterazioni laboratoristiche, quali un modesto aumento delle transaminasi (con rapporto AST/ALT < a 1, a differenza di quanto avviene nella epatopatia alcolica), a volte con incremento delle fosfatasi alcaline e delle gamma GT. Il quadro ecografico di diffusa iperecogenicità è abbastanza caratteristico anche se assolutamente non specifico. In un certo numero di pazienti inoltre sono alterati gli indici bioumorali del metabolismo del ferro (ferritinemia elevata in circa il 50% dei pazienti, indice di saturazione della transferrina aumentato nel 6-14% dei pazienti), anche se non vi è alcuna evidenza di accumulo di ferro intraepatocitario. Quando il quadro istologico è caratterizzato dalla sola steatosi vi può essere una completa restitutio ad integrum una volta rimossa la causa scatenante. Ad esempio uno studio ha mostrato come una riduzione del 10% del peso corporeo in una popolazione di soggetti sovrappeso ha determinato la normalizzazione degli esami bioumorali e la riduzione della epatomegalia16. E' possibile comunque che una marcata steatosi macrovescicolare possa essere associata, o possa predisporre, all'instaurarsi di un certo grado di flogosi e fibrosi17. La steatoepatite non alcolica invece può evolvere verso forme di epatopatia anche grave, quali la cirrosi e l'insufficienza epatica. Tra gli obesi ed i diabetici di tipo 2 con steatoepatite, nell'arco di 10 anni la prevalenza di cirrosi e di morte dovuta ad epatopatia è rispettivamente del 20% e dell'8%13. In genere la steatoepatite non alcolica è associata a gradi variabili di insulino-resistenza: ad esempio l'obesità è riscontrata in più del 70% dei casi riportati, e una percentuale variabile tra l'1 e il 4% degli obesi ha un quadro istologico di steatoepatite (secondo una recente casistica le percentuali potrebbero essere anche molto più elevate18). La diagnosi al momento è solo di esclusione e la certezza non può che derivare dal dato istologico. Di fronte ad un sospetto clinico è comunque sempre utile una valutazione del metabolismo lipidico glucidico (con curva da carico di glucosio) e del ferro.
2.9 Cause extraepatiche
Vi sono diverse malattie non epatiche in cui possono essere presenti alterazioni delle transaminasi. Tra le più comuni devono essere ricordate:
Malattie infiammatorie della muscolatura striata: ad es. malattie ereditane tipo Duchenne ad espressione subclinica; polimiosite; esercizio fisico protratto. In tali casi il dosaggio delle CPK e/o delle aldolasi sieriche permetterà di riconoscere l'origine muscolare del rialzo transaminasemico.
Malattie endocrinologiche: ipotiroidismo; ipertiroidismo; malattia di Addison
Malattia celiaca: questa malattia, che ha una prevalenza di circa 1 caso ogni 200 individui nella popolazione generale, nella maggior parte dei casi, soprattutto nell'adulto, ha decorso subclinico, a volte del tutto asintomatico, con isolate alterazioni bioumorali (anemia microcitica), oppure con sintomi aspecifici quali alterazione dell'alvo, astenia, dispepsia, glossite, aftosi ricorrente del cavo orale, artralgie, crampi muscolari, atassia cerebellare, neuropatia sensoriale ecc. Nel 13-53% dei casi vi è una alterazione delle transaminasi, in assenza di danni istologici a carico del fegato (probabilmente la alterata permeabilità intestinale favorisce l'assorbimento di antigeni o sostanze tossiche capaci di determinare una fuoriuscita di transaminasi dagli epatociti). Nel momento in cui si inizia la dieta priva di glutine le transaminasi si normalizzano nell'arco di 6 mesi (in caso di persistenza delle alterazioni andrà cercata un'altra causa). La ricerca di anticorpi antitransglutaminasi tissutale permette una diagnosi sicura e non invasiva di malattia celiaca19.
3. Ruolo della biopsia epatica nello studio delle ipertransaminasemie
La biopsia epatica ha oggi raggiunto, grazie all'utilizzo della ecografia, un elevatissimo livello di sicurezza. La tecnica eco-guidata ha visto ridursi le complicanze maggiori da circa il 3% allo 0,3-0,5% (di cui un numero discreto dovuto a reazioni vagali) e si sono azzerati i casi fatali20. L'indicazione alla sistematica esecuzione di una biopsia epatica in pazienti altrimenti "sani" che presentano un isolato rialzo delle transaminasi resta tuttavia ancora controversa. L'esame istologico infatti modifica la diagnosi in una percentuale non elevata di casi, con riscontro frequente di steatosi o di steatoepatite non alcolica (da quadri lievi fino a forme di cirrosi). La biopsia quindi serve soprattutto a precisare la diagnosi di steatoepatite e a quantificare con precisione l'entità del danno epatico, dato non ricavabile da esami bioumorali o strumentali2. D'altronde al momento non sono disponibili terapie specifiche per la steatoepatite non alcolica. Pertanto, a fronte di un rialzo delle transaminasi e di un quadro evocativo di steatosi all'ecografia, una volta escluse altre cause di epatopatia, dovrebbe essere programmata una dieta tale da ottenere un calo ponderale di almeno il 10% del peso corporeo; nel caso dovessero persistere le anomalie bioumorali si proporrà la biopsia epatica, tenendo presente che la probabilità di modificare la diagnosi di steatoepatite è relativamente bassa.
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