I disturbi premestruali interessano oltre il 70 % delle donne in età fertile1. In genere il disagio viene gestito autonomamente dalla donna, che spesso accetta questa costellazione di sintomi come espressione della femminilità. Tuttavia, in alcune situazioni particolarmente impegnative, o da parte di donne ansiose, viene richiesto l'intervento del medico, a volte del ginecologo, o, più frequentemente in prima istanza, del medico di famiglia2. L'entità e la tipologia dei disturbi riferiti sono estremamente varie: si va da singoli sintomi (es. l'irritabilità o la tensione mammaria), abbastanza tollerabili e gestibili senza alcun intervento farmacologico, fino a quadri più complessi che, pur interessando una bassa percentuale di pazienti (3-8%), limitano però in modo importante l'attività relazionale e lavorativa. L'intensità della sintomatologia è variabile nei cicli mestruali e nelle diverse epoche della vita fertile: in genere tende ad accentuarsi con l'età per poi scomparire nella maggior parte dei casi con la menopausa. L'impiego della terapia ormonale sostitutiva in menopausa, con schemi che prevedono la somministrazione ciclica di un progestinico, può però riprodurre i sintomi nelle donne che già ne avevano sofferto in precedenza, durante l'epoca fertile3.
Come in tutte le situazioni cliniche basate su sensazioni soggettive, esiste un problema di base nel corretto inquadramento del disturbo, accentuato dalla naturale variabilità ciclica dei sintomi e dalla componente emotiva del problema. Da questo derivano due importanti fattori confondenti:
una difficoltà frequente nel quantificare i disturbi, da cui derivano i problemi di definizione della "sindrome premestruale" (SPM);
una inevitabile incertezza nella valutazione della efficacia degli interventi terapeutici.
Per superare queste difficoltà è importante cercare di uniformare la terminologia di riferimento e fornire alcuni semplici strumenti diagnostici e valutativi utilizzabili anche nell'ambulatorio di medicina generale.
Definizione e diagnosi
Il termine di sindrome premestruale (SPM) viene utilizzato usualmente per definire un'ampia varietà di sintomi riscontrabili in prossimità del ciclo mestruale4(l'ultima settimana della fase luteale). Questi sintomi si attenuano nell'arco di pochi giorni dall'inizio del ciclo fino ad andare in remissione, per ripresentarsi poi nella settimana successiva all'ovulazione. I disturbi lamentati sono numerosi e rientrano sia nella sfera psico-affettiva che somatica, delineando diversi quadri cIinici che interferiscono negativamente con le normali attività quotidiane della donna. Sul piano pratico è molto importante non confondere la SPM, i cui sintomi vanno in remissione pressoché completa nelle altre fasi del ciclo, con l'accentuazione dei sintomi di malattie psichiatriche o di altra natura che può verificarsi in fase premestruale. Le situazioni meno "debilitanti", gestite autonomamente dalla donna senza richiesta di intervento medico, vengono definite "sintomi" premestruali. Per le problematiche di entità tale da indurre una richiesta di intervento si applica il termine di SPM. Nell'individuazione dei sintomi che porteranno al corretto inquadramento diagnostico, è evidente l'importanza delI'anamnesi, che risulta altresì decisiva nell'esclusione di situazioni patologiche differenti ma con sintomi comuni. La diagnosi di SPM viene posta in base a diversi criteri diagnostici5,6; uno dei più seguiti e "praticabili" nell'attività clinica corrente viene riportato nel Box 1. Per i quadri più impegnativi, che incidono pesantemente sull'autonomia della donna, si può parlare di "disturbo disforico premestruale" (DDPM), in passato definito "disturbo disforico della fase luteale tardiva", secondo i criteri diagnostici stabiliti dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM III-R) prima nel 1987, ed il DSM IV7 successivamente (vedi Box 2). La valutazione dei sintomi per almeno 2 cicli successivi è un elemento diagnostico irrinunciabile anche se non esiste consenso sul modo migliore per effettuarla, nella ricerca e nella pratica clinica quotidiana.
Esistono numerosi metodi di quantificazione del problema, o mediante questionari relativi ai singoli sintomi oppure mediante scale analogiche visuali per sintomi specifici. Tra i sistemi di valutazione mediante questionario, il sistema COPE8 (Calendar Of Premenstrual Experiences) è il più seguito: la donna viene invitata quotidianamente a quantificare 10 sintomi fisici e 12 sintomi comportamentali mediante una scala soggettiva a 4 punti, da 0 a 3; il punteggio complessivo che si ottiene è indicatore del disagio della paziente. Anche la rappresentazione del livello di malessere mediante una scala analogica visuale (VAS) è stata riconosciuta come metodica idonea per valutazioni e confronti nel tempo9: la donna viene invitata a quantificare il proprio stato soggettivo relativamente a tre differenti sensazioni, tensione, irritabilità e disforia, indicando per ognuna su una linea graduata di 100 mm (massimo malessere 100 - benessere 0). Gli psichiatri attribuiscono un grande valore alla registrazione dei sintomi e della loro gravità in un diario giornaliero o almeno in giorni ritenuti più indicativi. Un approccio così impegnativo, che richiede l'adozione di strumenti analitici validati, è certamente indispensabile quando si studia sperimentalmente un trattamento ma è di difficile applicazione nella attività ambulatoriale del medico di famiglia. Resta in ogni caso l'importanza di una analisi accurata dei vari sintomi con particolare attenzione alla ricerca di quelli dominanti (che rappresenteranno la guida per orientare il trattamento) ed alla variabilità legata al ciclo mestruale (che è elemento diagnostico cardine di SPM). Pur non esistendo un test di laboratorio diagnostico specifico per la SPM, è importante effettuare in prima istanza gli esami atti ad escludere la presenza di anemia (emocromocitometria) e tireopatie (TSH), nonché procedere ad una visita ginecologica per escludere patologie pelviche. Nelle pazienti che presentano una sintomatologia particolarmente invalidante è importante sforzarsi di verificare se siano soddisfatti i criteri diagnostici per DDPM per poter formulare la diagnosi ed iniziare tempestivamente un trattamento appropriato. Nei quadri clinici più sfumati, composti solo da alcuni sintomi, se i criteri di diagnosi non risultano soddisfatti, si possono delineare patologie psichiatriche diverse o situazioni intermedie in cui la scelta di un eventuale trattamento diviene più difficoltosa.
Etiologia
Dopo avere attribuito per anni la SPM ad uno squilibrio ormonale (diverse erano le ipotesi di lavoro) o a problemi psicologici o psicosociali di disadattamento, ora si ritiene che essa derivi da una risposta individuale (con predisposizione ereditaria) alla normale attività ovarica ciclica. La soppressione della attività ovulatoria e la menopausa hanno infatti notevoli effetti sui sintomi. Nelle pazienti affette da DDPM risulta ipotizzabile un difetto del sistema serotoninergico che rende ragione dei buoni risultati spesso conseguiti con la neurotrasmissione della serotonina10. A supporto di questa ipotesi, diversi studi sperimentali nell'animale documentano un legame tra fluttuazioni degli steroidi ovarici e attività serotoninergica centrale11. La serotonina è inoltre implicata nella regolazione della produzione di aldosterone12, che contribuisce all'amplificazione della sintomatologia edemigena tipica della sindrome.
Trattamento
Il trattamento della paziente affetta da SPM prevede un approccio orientato alla tipologia di presentazione ed alla gravità dei sintomi. Rassicurazione, provvedimenti farmacologici, consigli dietetici e comportamentali, sono elementi con valenza terapeutica che il medico deve sapere utilizzare nell'approccio ai disturbi premestruali. In ogni caso il medico è tenuto ad un rapporto empatico con la donna; questo prevede la capacità nel rispondere a quesiti che frequentemente vengono posti in tali frangenti13. Un'utile fase del trattamento risiede nella presa di coscienza dei sintomi, della loro localizzazione temporale ciclica, che si ottiene richiedendo la registrazione dei disturbi con un semplice diario. Questo senso di controllo e di identificazione dei problemi, può circoscriverli e renderli - almeno in apparenza - più "sopportabili".
Trattamenti farmacologici
La scelta del farmaco da proporre alla donna con SPM non è semplice a causa della difficoltà nella precisa definizione diagnostica e per il modesto livello qualitativo degli studi cIinici finalizzati alla validazione delle diverse terapie. Alcuni trattamenti, pur se largamente prescritti, risultano di dubbia efficacia. Fra questi vi è la vitamina B6. Molte donne riportano esiti soggettivi favorevoli ma da una recente revisione sistematica14 che ha analizzato numerosi studi, di qualità per lo più modesta, non sono emerse indicazioni definitive; dosi oltre 100 mg al dì, inoltre, sono state messe in relazione con la comparsa di neuropatia periferica. Anche la somministrazione di acido gamolenico (evening primrose oil), sostenuta da ricerche risalenti agli anni '80, non trova alcun ruolo nel trattamento della SPM per la scarsa qualità degli studi15 e per i dati più recenti, che non evidenziano significativi miglioramenti rispetto all'uso del placebo16. L'impiego di vitamina E ha fornito risultati contraddittori per cui, anche se ritenuto privo di rischi, questo approccio non può essere raccomandato.
La somministrazione orale di 200-360 mg sino a 3 volte al giorno di sali di magnesio ha ridotto i sintomi di ritenzione idrica e migliorato il tono dell'umore in uno studio controllato17 ma, anche in questo caso, i dati sono troppo modesti per ritenere questo trattamento efficace. Vista la responsabilità delle modificazioni ormonali legate all'ovulazione, è stata proposta anche la somministrazione delle classiche formulazioni contraccettive. L'uso degli estroprogestinici ha fornito però esiti incerti, difficili da interpretare, sia per la scarsa qualità della maggior parte degli studi, sia per la presenza nelle formulazioni contraccettive, del progestinico, al quale è stato attribuito un ruolo nella genesi dei disturbi premestruali. L'unico studio randomizzato e controllato condotto con le formulazioni contraccettive estroprogestiniche trifasiche18, non ne ha dimostrato l'efficacia. L'impiego degli estroprogestinici nella SPM non sembra pertanto indicato a meno che la donna sia interessata specificamente alla contraccezione. Meglio documentata risulta l'efficacia della soppressione dell'attività estrogenica mediante LH RH analoghi o danazolo; quest'ultimo, alla dose minima di 200 mg al dì in dose continuativa19 è risultato efficace su alcuni sintomi soggettivi, in particolare sulla mastodinia; la somministrazione ciclica non è risultata ugualmente efficace. Il suo uso è però notevolmente limitato dall'insorgenza di disturbi mestruali, iperandrogenismo e senso di gonfiore. L'efficacia degli LH RH analoghi è stata dimostrata in studi randomizzati e controllati di buona qualità, condotti sia con buserelin per via nasale, che con leuprolide in formulazione depot o histrelin (non in commercio in Italia) sottocute in dose giornaliera. Il loro uso nella pratica corrente è inevitabilmente limitato dallo sfavorevole rapporto beneficio/rischio, se si considerano gli effetti menopausali indotti, nonché dal costo elevato (per questa indicazione non sono prescrivibili a carico del SSN). Il disagio dovuto alla carenza estrogenica può essere mitigato dalla somministrazione contemporanea di estrogeni coniugati equini (0,625 mg/die) con l'aggiunta di medrossiprogesterone acetato (10 mg per 10 gg.) dal 16° al 25° giorno del ciclo, senza perdita dell'efficacia terapeutica20. Se il sintomo dominante è rappresentato dai disturbi mammari, può risultare utile la somministrazione di dopamino-agonisti. Fra questi la bromocriptina, il farmaco più studiato, è risultata efficace in somministrazione ciclica per 10-14 gg. da somministrare in fase sintomatica21. Nella donna che lamenta una sintomatologia edemigena dominante è consigliabile un approccio con antialdosteronici. La somministrazione ciclica di spironolattone nella seconda fase del ciclo, al dosaggio di 100 mg/die a partire dal 12° o 14° giorno del mestruo sino alla comparsa del flusso successivo, è in grado di ridurre la sensazione di gonfiore22, di migliorare il tono dell'umore e produrre benefici su alcuni parametri neuropsicologici23. L'effetto favorevole dello spironolattone non pare collegato ad effetti apprezzabili sul peso corporeo, sui parametri ormonali o metabolici (con l'eccezione del livello di aldosterone che inevitabilmente aumenta) e si mantiene per alcuni mesi anche dopo la sospensione. Nelle donne la cui sintomatologia rientri fra i criteri diagnostici del DDPM, è consigliato l'impiego di farmaci inibitori del reuptake della serotonina (SSRI). Studi di buona qualità hanno dimostrato l'efficacia di numerosi componenti di questa classe nel migliorare svariati sintomi - non solo psichiatrici - che compongono il quadro del DDPM, senza che siano stati segnalati gli effetti indesiderati riscontrati con l'impiego degli antidepressivi triciclici24. La somministrazione va limitata alla fase luteale (periodo di 14 gg. prima della data attesa per il mestruo), ad un dosaggio inferiore a quello normalmente utilizzato nella terapia della depressione. In caso di insuccesso dopo 2-3 cicli con la dose di partenza, si consiglia di raddoppiare la dose, ma sempre limitatamente alla fase luteale. La somministrazione ciclica risulta efficace solo nelle pazienti che soffrono di DDPM non complicato da altri disturbi psichiatrici; in quest'ultima condizione sono necessari invece trattamenti continuativi in grado non solo di incrementare l'attività serotoninergica centrale, ma anche di indurre i tipici cambiamenti nell'attività recettoriale post-sinaptica che sono importanti ai fini dell'attività terapeutica antidepressiva. La durata della terapia dovrebbe essere di almeno 6 mesi, e sono in corso studi per valutare trattamenti più prolungati. La fluoxetina è il prodotto più studiato25,26, ma anche paroxetina27, sertralina28.29 e citalopram30 possiedono una buona documentazione. La scelta dell'SSRI da utilizzare si baserà sull'esperienza personale del medico in quanto, per questa indicazione, non esistono studi di confronto tra le varie molecole. È importante ricordare tuttavia il buon esito delle revisioni che hanno analizzato una casistica di oltre 1000 gravidanze in donne che assumevano fluoxetina al momento del concepimento, senza evidenziare anomalie fisiche nel bambino alla nascita o nel suo sviluppo psichico successivo fino a 10 anni di vita. Risultati contraddittori sono stati ottenuti negli studi, peraltro limitati, con l'impiego di buspirone e alprazolam. In particolare, la somministrazione di alprazolam alle dosi di 0,25-0,5 o 0,75 mg 3 volte al dì non ha mostrato alcuna eflicacia sui sintomi soggettivi e solo una scala di valutazione (su 4 impiegate) ha mostrato un miglioramento significativo, comunque non apprezzato clinicamente31. Gli scarsi benefici conseguiti e l'elevato rischio di dipendenza restringono l'ambito di impiego delle benzodiazepine alle situazioni in cui l'ansia rappresenta un problema aggiunto. In due studi "in aperto" l'ovariectomia ha dimostrato un'elevata e durevole efficacia nella risoluzione completa dei sintomi premestruali32,33. Questa soluzione "drastica" andrà considerata come ultima proposta in qualsiasi ordine di strategia terapeutica per la SPM: il beneficio deve essere chiaramente soppesato in confronto all'elevatissimo impatto di questo provvedimento terapeutico estremo. Recenti studi hanno fornito dati preliminari sulla possibilità d'impiego di formulazioni di iperico34 (300 mg/die di estratto di iperico corrispondenti a 900 mg di ipericina) e di Agnus castus35 [estratto del frutto di Vìtex agnus castus (Ze 440) standardizzato per 20 mg di casticina per compressa da 500 mg: 1 cps al dì]. Pur avendo questi studi prodotto risultati promettenti va sottolineato che lo studio con l'iperico, non controllato, è stato condotto in aperto, mentre nello studio sugli effetti dell'estratto di Agnus Castus sono stati evidenziati problemi metodologici nella randomizzazione36. E' evidente come, allo stato attuale delle esperienze, sia prematura l'inclusione di questi presidi come opzioni nel trattamento della SPM. Essi potrebbero tutt'al più costituire un'alternativa nelle donne che esplicitamente desiderano trattamenti "naturali".
Provvedimenti non farmacologici
Possono essere tentati, ma risultano scarsamente risolutivi, provvedimenti dietetici quali la limitazione delle bevande che contengono caffeina, dei cibi particolarmente ricchi di sodio o del cioccolato, l'incremento della attività fisica moderata da programmare con una certa regolarità, l'adesione a programmi di autorilassamento o di psicoterapia di gruppo.
Strategia diagnostico terapeurica complessiva
L'approccio pratico alla paziente che lamenta sintomi che si accentuano in fase premestruale richiede una buona sensibilità al problema da parte del medico. Il primo incontro dovrebbe essere indirizzato all'individuazione delle caratteristiche anamnestiche e cliniche suggestive per la diagnosi ed alla valutazione/esclusione delle possibili condizioni causali o concomitanti (anemia, ipotiroidismo, errori alimentari, depressione), concludendosi con la richiesta di un'indagine di laboratorio e con la proposta dello strumento di analisi e monitoraggio37, scelto tra quelli presentati e che il medico ritiene essere maggiormente alla sua portata. La compilazione di un diario o un questionario e la sua successiva valutazione costituiscono momenti importanti per consolidare un legame empatico con la paziente ed individuarne elementi clinici in grado di indirizzare le scelte terapeutiche. Perciò il primo approccio non dovrebbe risolversi con una diagnosi definitiva o una terapia. Il momento successivo, di raccolta delle informazioni richieste, potrà portare alla diagnosi ed all'inquadramento dei sintomi principali della paziente, con le conseguenti scelte terapeutiche. E' particolarmente importante in questo incontro, presentare le numerose opzioni disponibili. Nella procedura di illustrazione delle modalità di gestione della cura, si raccomanda la continua registrazione della sintomatologia tenendo un diario clinico; questa procedura, sicuramente importante in fase sperimentale, sembra però poco praticabile in ambito ambulatoriale, dove spetta al medico decidere se gestire la risposta clinica servendosi di strumenti sofisticati di analisi o più semplicemente del livello di soddisfazione della paziente. Nella situazioni di sintomatologia più lieve si consiglia di invitare la paziente con SPM a seguire dapprima norme dietetico-comportamentali generali, prendendo eventualmente in considerazione un tentativo iniziale con trattamenti virtualmente scevri di effetti indesiderati (es. sali di magnesio, vitamina B6 50-100 mg/die), il cui esito terapeutico tuttavia è molto dubbio, per passare poi a proposte con sempre maggiore efficacia. Un insuccesso non deve allarmare per la disponibilità di altemative terapeutiche. Nei casi in cui la sintomatologia risulti maggiormente disturbante o se la donna presenta un franco quadro di DDPM, si dovrebbero proporre, solo per il periodo della fase luteale, dosi minime di SSRI, efficaci e ben tollerate nella maggioranza dei casi (fluoxetina 20 mg, paroxetina 10 mg, sertralina 50 mg, citalopram 10 mg). Solo in caso di fallimento di questi farmaci, anche dopo averne aumentato il dosaggio, è giustificato il ricorso ai trattamenti ormonali fino ad arrivare - nei casi gravi resistenti - anche alla soluzione chirurgica.
Se la modalità clinica di presentazione della SPM sottolinea la componente edemigena o si associa a segni di iperandrogenismo, sarà preferibile iniziare con spirolattone mentre se la mastodinia è il problema principale la scelta dovrebbe cadere su un dopamino-agonista o sul danazolo. L'utilizzo di prodotti a base di iperico o estratto di Agnus castus dovrebbe essere riservato alle donne che, per loro convinzione, preferiscono assumere prodotti "naturali" o qualora le altre opzioni non fossero tollerate. Il monitoraggio degli effetti della cura dovrebbe comunque prevedere due controlli ravvicinati, in fase premestruale e in fase post-mestruale, formulando il giudizio di efficacia o meno del provvedimento dopo almeno 2 mesi di cura. Non andrà trascurato alcun sintomo che possa essere correlato a problemi diversi per evitare di attribuire ad inefficacia della terapia un insuccesso derivante invece dal mancato trattamento di eventuali patologie concomitanti. Conclusioni
La maggioranza delle donne lamenta sintomi premestruali ma solo una minoranza di esse riporta situazioni che limitano la loro attività. Tali condizioni meritano di essere valutate per un corretto inquadramento diagnostico e per intervenire - ove necessario - coi provvedimenti dotati della migliore efficacia per le situazioni specifiche (antidepressivi SSRI, dopamino-agonisti, antialdosteronici). In questo percorso è necessario stabilire un programma di controlli che richiedono un rapporto protratto tra il medico e la paziente ai fini di verificare l'efficacia delle varie proposte terapeutiche disponibili. Bibliografia 1. SR Johnson, C. McCesney, JA Bean. Epidemiology of premenstrual symptoms in a nonclinical sample. l Prevalence natural hystory and helpseeking behaviour. J Reprod Med 1988; 33: 340 346. 2. ReiIIy J, Kremer J. A qualitative investigation of women's perceptions of premenstrual syndrome: implications for general practitioners Br J Gen Pract 1999; 49: 783-786. 3. 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