I problemi legati ad un sanguinamento mestruale troppo copioso rappresentano una causa frequente di consultazione sia del medico di famiglia che dello specialista.
Nonostante esistano evidenze in favore di schemi terapeutici consolidati e ben descritti in linee-guida di buona qualità1, risultano ugualmente molto più diffusi trattamenti con modalità improprie che rischiano di portare alla conclusione errata di inefficacia dei trattamenti medici e quindi a scelte chirurgiche inappropriate2. Se si considera che studi eseguiti nel Regno Unito hanno mostrato che circa il 20% delle donne viene sottoposto ad isterectomia3, e che la maggior parte di esse ha come motivazione il controllo di un sanguinamento mestruale eccessivo, diviene ancora più rilevante la necessità di dedicare attenzione ad una problematica solitamente poco considerata.
Definizioni
Viene definito "menorragia" o ipermenorrea un flusso mestruale eccessivo mentre il termine "polimenorrea" viene attribuito a perdite mestruali sensibilmente anticipate rispetto alla cadenza mensile-quadrisettimanale considerata normale.
Il "sanguinamento uterino disfunzionale" è una perdita mestruale eccessiva, protratta o frequente, quando non vi sia una gravidanza o non siano individuabili malattie pelviche o sistemiche4. La consultazione del medico avviene quindi essenzialmente in base alla percezione soggettiva di flusso mestruale copioso, eccessivo oppure in caso di perdite mestruali in periodi in cui queste non dovrebbero verificarsi. Il dato quantitativo della perdita mestruale è per sua stessa natura legato a criteri soggettivi, l'entità media della perdita mestruale "normale" è stata calcolata in 20-40 ml. È stato valutato che una perdita mensile di 50-60 ml sia in grado di indurre sideropenia, in donne con alimentazione normale. Si definisce menorragia una perdita superiore ad 80 ml. Gli 80 ml di perdite mestruali vengono superati circa nel 10-12% delle donne, di esse almeno la metà consulta in prima istanza il medico di medicina generale5. La misurazione della quantità reale del flusso nelle donne che si presentano lamentando perdite eccessive mostra tuttavia livelli normali nel 10-20% dei casi, mentre di converso almeno il 10% delle donne con perdite superiori agli 80 ml/mestruo non consulta il medico6. Le metodiche di misurazione dell'entità della perdita mestruale utilizzate negli studi si basano sul dosaggio dell'emoglobina nel liquido mestruale previa trasformazione in ematina alcalina, metodiche d'analisi accurate ma complesse, non certo trasferibili nella pratica quotidiana, dove il medico è invece costretto a basarsi su parametri anamnestici meno validati e riproducibili7.
Etiopatogenesi
Solo in una minoranza delle pazienti che lamentano menorragia sono individuabili cause sistemiche o problemi organici pelvici. Solitamente si tratta di squilibri d'organo con elevate concentrazioni tessutali di fattori e fibrinolitici (attivatori del plasminogeno) o di prostaglandine E2 o F2alfa8 . Solo in una minoranza delle donne che lamentano perdite mestruali abbondanti ci si trova di fronte a problemi endocrini (difetti ovulatori, ipotiroidismo), coagulativi (Sindrome di Von Willebrandt) o anatomici (leiomiomi, polipi, iperplasia e neoplasie endometriali) ed è per tale motivo che non risulta giustificata una valutazione estensiva indiscriminata per tutte le donne ma viene invece consigliato un approccio graduale, basato sui riscontri clinici e sul responso alle misure terapeutiche adottate.
Approccio clinico diagnostico
La diagnosi di sanguinamento mestruale eccessivo viene posta normalmente dalla paziente stessa e la richiesta di intervento medico richiede in ogni caso una risposta diagnostica ed eventualmente terapeutica.
È utile fin dal primo approccio tentare di quantificare, anche se con metodi empirici, l'entità e la durata delle perdite ematiche (numero di assorbenti utilizzati, durata complessiva del mestruo, la necessità di utilizzare più cambi nella notte o una doppia protezione, l'evenienza di perdite tanto copiose da sporcare gli abiti o le lenzuola o comunque tali da condizionare le abitudini di vita), per poter esprimere successivamente un giudizio sulla risposta ai provvedimenti terapeutici. È importante sottolineare il fatto che parte delle donne che lamentano menorragia può in realtà non presentare perdite elevate, quando sottoposta alla verifica del test con ematina alcalina; in tali circostanze l'impiego di farmaci peraltro efficaci può non risolvere il problema clinico.
Nella valutazione clinico-anamnestica si cercherà di individuare possibili elementi suggestivi per una coagulopatia, per una tireopatia oppure per una sindrome anovulatoria (es. la policistosi ovarica) o un deficit luteinico, relativamente frequente dopo i 40 anni. La presenza di sanguinamenti irregolari, magari alternati con periodi di amenorrea, in assenza di sintomi pelvici ovulatori, di modificazioni della temperatura basale o associati a galattorrea o segni di androgenizzazione, caratterizza il sottogruppo di pazienti con menorragia legata a disturbi dell'ovulazione. Le donne che lamentano perdite mestruali eccessive presentano più frequentemente cicli ovulatori, in assenza di patologie pelviche e per questo non sono giustificati atteggiamenti diagnostici aggressivi9.
L'impostazione diagnostica di base dovrebbe essere rivolta alla ricerca di una anemia o una sideropenia legate alle perdite ematiche eccessive ed all'individuazione di eventuali problemi generali alla base della menorragia. Il ricorso alla consulenza ginecologica diviene indispensabile se il problema persiste nonostante un corretto approccio terapeutico di base o se coesistono elementi quali algie pelviche, anomalie della citologia vaginale oppure dismenorrea grave e comunque in tutte le donne oltre i 40 anni 9.
L'esame emocromocitometrico ed il dosaggio della ferritina rappresentano quindi accertamenti d'obbligo in tutte le donne che lamentano una perdita mestruale eccessiva, mentre le prove emocoagulative ed il TSH andrebbero richiesti qualora rilievi anamnestici o clinici possano far sospettare la presenza di coagulopatie o distiroidismo. Nei comuni casi di menorragia le indagini endocrine, tanto utilizzate nella pratica corrente, non dovrebbero essere prescritte; esse dovrebbero essere riservate ad un sospetto clinico di una specifica endocrinopatia, della quale la menorragia sarebbe solo un sintomo10. Nell'approccio preliminare devono essere ricercate eventuali controindicazioni all'impiego di preparazioni ormonali, assieme agli orientamenti della paziente circa la disponibilità ad impiegare un contraccettivo o, viceversa, il desiderio di concepimento.
Provvedimenti terapeutici
La terapia della menorragia si avvale dell'impiego di numerosi farmaci di comprovata efficacia. La scelta dell'approccio per ogni singola situazione si basa sui dati clinici desunti nella fase diagnostica, su eventuali indicazioni di trattamenti precedenti e su elementi decisionali dipendenti dall'orientamento della paziente.
I Farmaci
Antifibrinolitici
Esistono buone evidenze scientifiche che documentano l'efficacia di diversi farmaci dotati di potere antifibrinolitico nella riduzione della perdita mestruale11. La base razionale per il loro impiego risiede nella dimostrazione di un incremento dei livelli di attivatori del plasminogeno tessutale nell'endometrio di donne affette da menorragia. Gli antifibrinolitici si sono rivelati più efficaci del placebo nel ridurre la quantità di perdite mestruali: l'acido tranexamico alla dose orale di 1 g per 3-4 volte al giorno, somministrato per 5 giorni dall'inizio del mestruo, è risultato in grado di portare ad un dimezzamento dell'entità del flusso12 e ad un miglioramento del senso di benessere fisico. Sono disponibili anche dati sugli effetti di una formulazione contenente 1,2 g di acido tranexamico somministrabile ogni 12 ore, ma tale preparazione non è disponibile in Italia (Svezia). Nei pochi studi comparativi eseguiti, l'acido tranexamico si è dimostrato superiore all'acido mefenamico, al flurbiprofene ed al noretisterone acetato nella riduzione delle perdite mestruali. L'impatto della terapia con acido tranexamico sulla qualità di vita (analisi degli effetti del trattamento sulla vita relazionale e sulla sfera sessuale) è risultato superiore a quello conseguito con l'impiego di progestinici13. I dati disponibili non sono in grado di fornire evidenze su eventuali effetti di incremento del rischio tromboembolico che non sembra comunque aumentato14.
In precedenza veniva incluso in questa categoria di farmaci anche l'acido epsilon-aminocaproico (etamsilato), il cui meccanismo d'azione risiede in realtà nella correzione di una anomalia della funzione piastrinica. La sua efficacia è risultata superiore a quella del placebo, ma inferiore a quella dell'acido tranexamico15. Nonostante l'utilizzo sia molto limitato e spesso effettuato con dosi insufficienti (per somministrare la dose utilizzata nella maggior parte degli studi sono necessarie 4 compresse 4 volte al giorno), l'impiego dell'acido tranexamico merita di essere considerato come opzione di prima scelta nella maggior parte delle situazioni cliniche.
Antiinfiammatori non steroidei
Nelle donne affette da menorragia sono stati riscontrati elevati livelli tessutali endometriali di prostaglandina E2 e prostaglandina F2alfa16; questo dato fornisce le basi teoriche per l'impiego di inibitori della sintesi di prostaglandine. Gli studi sugli effetti dei farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS) sono numerosi e mostrano per tutte le molecole una riduzione dell'entità delle perdite mestruali e della sintomatologia algica legata al mestruo17. Non sono state documentate differenze clinicamente evidenti tra le singole molecole, anche se non è possibile escludere che possano esistere differenze nella risposta individuale ai diversi farmaci. I principi attivi sui quali esiste la maggiore quantità di dati sono l'acido mefenamico (un FANS attualmente non in commercio in Italia) (500 mg 3 volte al giorno), il flurbiprofene (100 mg 2 volte al giorno) ed il naproxene (500 mg + 250 il primo giorno, poi 250 mg 2 volte al giorno per i 4 giorni successivi). L'effetto terapeutico sulle perdite ematiche è stato ampiamente dimostrato versus placebo. Negli studi comparativi la riduzione dell'entità del flusso è risultata comunque di entità minore rispetto a quella ottenuta con la somministrazione di danazolo o di acido tranexamico18. Alle dosi normalmente impiegate, somministrate per via orale per la sola durata del flusso (5 giorni), non sono stati descritti effetti collaterali rilevanti a livello dell'apparato digestivo. L'assunzione dei FANS è più agevole rispetto a quella degli antifibrinolitici nelle preparazioni attualmente disponibili in Italia, e risulta particolarmente vantaggiosa nel sottogruppo di donne che lamentano assieme dismenorrea e perdite mestruali elevate.
Estroprogestinici (contraccettivi orali)
Tra gli effetti non contraccettivi degli anticoncezionali estroprogestinici è ben noto un ridotto sviluppo dello spessore endometriale rispetto alla proliferazione che si osserva nei cicli "spontanei"19. Esistono tuttavia pochissimi studi al riguardo ed una recente revisione curata dal Gruppo Cochrane20 ha identificato un unico trial randomizzato e controllato finalizzato alla comparazione degli effetti sulle perdite mestruali in seguito ad assunzione di preparati ormonali o FANS 21. Secondo questo studio, peraltro di piccole dimensioni, non esisterebbero differenze tra gli effetti di danazolo, contraccettivi a bassa dose di estrogeni, naproxene e acido mefenamico. Nonostante la somministrazione di contraccettivi orali per ridurre l'entità delle perdite mestruali sia pratica diffusa e ritenuta di discreta efficacia, essa si basa essenzialmente su osservazioni empiriche e dovrebbe essere raccomandata - fatte salve le controiridicazioni (obesità, ipertensione, fumo) - principalmente nel caso sia contemporaneamente richiesto un effetto anticoncezionale9. Non esistono studi in merito ai criteri di scelta della migliore formulazione contraccettiva per questa indicazione; la scelta dovrebbe ricadere su prodotti a basso contenuto estrogenico, tenendo conto che le formulazioni a contenuto minore (20-15 mcg) possono più frequentemente causare irregolarità mestruali o spotting.
Steroidi agonisti parziali (danazolo, gestrinone)
L'impiego di agonisti parziali in grado di impedire l'effetto degli estrogeni a livello endometriale rappresenta un presidio teoricamente utile nel controllo della menorragia.
Gli studi disponibili sono in buona parte di breve durata e su campioni non molto numerosi. Il danazolo rappresenta la molecola maggiormente studiata, impiegata sia per ridurre il sanguinamento mestruale sia per la preparazione agli interventi endometrio-ablativi. L'impiego di danazolo alla dose di 200 mg al giorno per 2 mesi è risultato più efficace rispetto all'acido mefenamico usato in periodo mestruale ma anche gli effetti indesiderati sono risultati più rilevanti23. Il danazolo alla dose di 200 mg 2 volte al giorno (alcuni studi lo hanno utilizzato a dose doppia) per i 2 mesi precedenti l'intervento di ablazione endometriale mediante elettrocoagulzione con rollerball, ha mostrato buoni risultati nel ridurre i tempi di intervento e nel migliorare il decorso post-operatorio versus placebo ed i risultati non sono stati statisticamente differenti da quelli ottenuti con LHRH analoghi22.
Progestinici
La prescrizione di progestinici è il provvedimento più diffuso nell'approccio alla donna che lamenta un eccessivo sanguinamento mestruale. La somministrazione continuativa di progestinici induce atrofia endometriale; questo dato giustifica l'utilizzo di tali farmaci per affrontare la menorragia. L'impiego ciclico di progestinici è ampiamente utilizzato per indurre uno sfaldamento mestruale controllato in donne con disturbi ovulatori che altrimenti, in assenza di luteinizzazione, svilupperebbero sanguinamenti irregolari da sfaldamento dell'endometrio esposto alla sola azione proliferativa degli estrogeni. Sorprendentemente non esistono studi randomizzati versus placebo a supporto di questo trattamento, mentre esistono studi comparativi tra gli effetti di schemi diversi utilizzanti progestinici, danazolo, acido tranexamico e FANS23. Lo schema classico di somministrazione di progestinici limitati alla fase luteale si è rivelato inefficace.
Il trattamento con noretisterone, 10 mg dal 5° al 26° giorno del ciclo, ha prodotto una riduzione significativa rispetto al livello di base, ma il miglioramento è stato giudicato inferiore rispetto a quello ottenuto dal posizionamento di uno IUD contenente levonorgestrel. La tollerabilità del progestinico per 21 giorni è risultata migliore rispetto al danazolo, ma nessuna differenza è stata riscontrata nei confronti di FANS e acido tranexamico.
Il progestinico può avere un ruolo limitato al trattamento a breve termine della menorragia o dove altri provvedimenti hanno fallito o non sono stati tollerati, ben tenendone presenti gli effetti indesiderati (aumento di peso o androgenizzazione) che l'impiego delle dosi efficaci richieste comporta.
Agonisti LHRH
L'impiego degli agonisti dell'LHRH a lunga durata d'azione (con induzione di uno stato di menopausa farmacologica) determina la scomparsa dei flussi mestruali.
L'effetto sistemico della terapia non ne consente che l'impiego in associazione ad estroprogestinici24 o per brevi periodi quando vi sia uno stato anemico grave o in preparazione ad interventi chirurgici. In quest'ultima indicazione esistono studi che ne hanno analizzato i diversi risultati a seconda della situazione clinica e del tipo di tecnica chirurgica.
L'impiego di 2 dosi di leuprorelina (3.75 mg in formulazione depot a distanza di 4 settimane) non ha condotto a benefici apprezzabili in pazienti che presentavano menorragia senza leiomiomatosi e sottoposte ad isterectomia per via vaginale25. In presenza di "fibroma", il pretrattamento con LHRH agonisti (assieme alla terapia marziale) si è rivelato efficace nel migliorare sia l'eseguibilità delle procedure, che risultavano meno invasive grazie alla riduzione del volume dell'utero, sia l'esito complessivo in termini di accettabilità e di recupero post-operatorio26.
L'impiego di LHRH agonisti in preparazione ad interventi endometrio ablativi per via isteroscopica mira a ridurre lo spessore endometriale con l'obbiettivo di rendere più veloce e meno problematica la procedura chirurgica, con ricadute immediate sul recupero postintervento e con la prospettiva di un migliore controllo del sanguinamento in futuro. Una revisione della letteratura al riguardo ha concluso che la somministrazione di goserelin (2 impianti di 3,6 mg nei 2 mesi prima dell'intervento) può essere ritenuta efficace nel migliorare la procedura chirurgica e gli effetti immediati sino a 12 mesi; mancano tuttavia dati sulla efficacia a più lungo termine27. La terapia, il cui costo è elevato, ha presentato solo modesti vantaggi rispetto all'impiego del danazolo con la stessa finalità.
Dispositivi Intrauterini con Progestinico
L' obbiettivo di ottenere gli effetti terapeutici dei progestinici sull'endometrio limitandone gli effetti sistemici è stato perseguito mediante l'applicazione di dispositivi uterini contenenti levonorgestrel (In-IUD). Essi sono in grado di indurre atrofia endometriale, erogando 20 mg di levonorgestrel al dì per 5 anni, raggiungendo a livello sistemico concentrazioni di farmaco inferiori a quelle ottenute somministrando i classici contraccettivi con solo progestinico28. Il posizionamento dello In-IUD è in grado di indurre sia una riduzione dell'entità che della durata del flusso mestruale. Dopo 12 mesi una percentuale di pazienti presenta amenorrea, effetto male accettato dalle donne che utilizzano lo IUD a scopo anticoncezionale, ma estremamente funzionale agli obbiettivi del trattamento della menorragia. Da una recente revisione sistematica29, il posizionamento dello In-IUD ha fornito, a 12 mesi, risultati sul sanguinamento migliori rispetto all'acido tranexamico e leggermente inferiori a quelli forniti dalle procedure chirurgiche di ablazione endometriale endoscopica. Nella valutazione a 6 e 12 mesi l'84% delle pazienti in lista per una procedura chirurgica, rinunciava all'intervento, grazie all'effetto del trattamento con In-IUD . Un recente studio randomizzato su un consistente campione di pazienti ha mostrato che il 68% delle donne trattate con In-IUD riesce ad evitare l'isterectomia30 con consistente beneficio in termini di costi ed accettabilità delle pazienti, valutate a 12 mesi. Per la buona riuscita di questo trattamento, ha una particolare importanza un'accurata informazione della paziente. Deve essere infatti ben spiegato che l'effetto terapeutico è frequentemente preceduto da una fase di sanguinamenti irregolari che possono indurre erroneamente le donne a richiedere la rimozione dello IUD, ritenendolo inefficace; questa fase, che normalmente ha durata di tre mesi, può protrarsi sino a sei mesi ed in questo periodo possono essere presi provvedimenti aggiuntivi come l'impiego di antifibrinolitici o FANS. Con una buona informazione pre-posizionamento ed una assistenza nei primi mesi, i risultati clinici sono ottimali e possono essere9mantenuti fino a 5 anni.
Strategia decisionale terapeutica
Il primo approccioalla donna che lamenta perdite mestruali eccessive può essere correttamente effettuato nell'ambito della medicina generale. Il ricorso al ginecologo si impone in caso di inefficacia delle misure terapeutiche o nel sospetto clinico di patologie pelviche gravi. Per la migliore decisione terapeutica si rivela importante la raccolta anamnestica delle eventuali controindicazioni all'impiego di preparazioni ormonali (fumo, ipertensione, obesità), assieme agli orientamenti della paziente circa la disponibilità ad impiegare un contraccettivo o, viceversa, il desiderio di concepimento. L'efficacia del provvedimento terapeutico infatti è solo uno dei requisiti che sono richiesti per un buon risultato del trattamento: altri fattori molto importanti sono rappresentati dal costo, dalla comodità d'uso, dal rapporto tra effetti favorevoli concomitanti ed effetti indesiderati. La scelta del trattamento basata sulle preferenze della paziente stessa ha maggiori possibilità di condurre a risultati favorevoli31.
I due principali trattamenti per le situazioni che non riconoscono turbe ormonali sono rappresentati dalla somministrazione di antifibrinolitici o di FANS; nonostante queste due terapie siano state riconosciute efficaci da trials clinici randomizzati e revisioni sistematiche, il loro utilizzo nella pratica è inspiegabilmente basso.
L'acido tranexamico è dotato di maggiore efficacia ma viene solitamente sottodosato, anche a causa della disponibilità di specialità che costringono a somministrare 4 compresse per dose (per 3-4 dosi al dì). Il FANS è preferibile se coesiste dismenorrea ed in questa indicazione è solitamente ben tollerato, vista la brevità dei cicli di terapia, limitati ai primi 4-5 giorni del mestruo. L'impiego di un contraccettivo orale rappresenta spesso una soluzione al problema e la prescrizione non è contro-indicata anche nell'età di maggiore incidenza del problema, con l'eccezione delle donne con vasculopatie, obese o fumatrici. In questa indicazione sono utilizzabili gli estroprogestinici orali contenenti 20 o 30 mcg di etinilestradiolo.
Il posizionamento dello IUD medicato con levonorgestrel rappresenta un provvedimento alternativo ad elevato indice terapeutico, soprattutto nelle donne che desiderino una contraccezione.
Il dispositivo ha dimensioni superiori a quelle degli IUD normalmente utilizzati ed è solitamente mal tollerato nella nullipara. Se il contraccettivo non è gradito alla paziente, oppure se i precedenti provvedimenti non sono stati tollerati, può essere indicato l'impiego di un progestinico per 21 giorni, iniziando il 5o giorno del ciclo; il prodotto più studiato è il noretisterone acetato (Primolut Nor). Nonostante i progestinici possano avere effetti anticoncezionali, questo schema terapeutico non è in grado di fornire garanzie contraccettive. Non esistono dati riguardo a trattamenti con progestinici differenti, mentre non sono risultati efficaci trattamenti per periodi più brevi. Il danazolo è la proposta che può seguire il fallimento delle precedenti, ma non vanno dimenticati gli effetti indesiderati che sono più rilevanti rispetto a quelli degli antifibrinolitici, dei FANS, dei contraccettivi e dei progestinici.
Nelle donne che non presentano problematiche pelviche accertate l'ablazione endometriale per via endoscopica (preceduta dal pretrattamento di 2 mesi con danazolo o con LHRH agonisti) è una proposta che merita di essere presa in considerazione prima dell'isterectomia, tenendo ben presente che, indipendentemente dalla tecnica utilizzata (termoablazione, elettrocoagulazione rollerball, fotocoagulazione laser, radiofrequenze) l'esito dell'intervento può essere insoddisfacente (3-13% dei casi) o non essere definitivo (a 4 anni il 38% delle donne necessita di una revisione o di isterectomia)32.
I tempi di ricovero, di inabilità post-chirurgica, la frequenza di complicanze ed i costi delle procedure endometrioablative sono nettamente inferiori a quelli dell'isterectomia, ma, a causa della necessità di re-intervento in un numero considerevole di pazienti, il reale risparmio di risorse si riduce col tempo. Bibliografia 1. Royal College of Obstetricians and Gynaecologists. The initial management of menorrhagia. Evidence-based Clinical Guidelines, No. 1 London RCOG 1998. 2. Chadha Y, Mollison J, Howie F, Grimshaw J, Hall M and Russell I. Guidelines in gynaecology: evaluation in menorrhagia and in urinary incontinence Br J Obstet Gynaecol 2000; 107: 535-543. 3. Vessey MP, ViIlard-Mackintosh L, McPherson K, Couher A, Yeates O. The epidemiology of hysterectomy; findings in a large cohort study. Br J Obstet Gynaecol 2000; 99: 402-407. 4. Hickey M, Higham J, Fraser IS. Progestogens versus oestrogens and progestogens for irregular uterine bleeding associated with anovulation. 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