La presa in carico del paziente con infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) da parte del Servizio di emergenza territoriale 118 costituisce un’importante opportunità mirata a ricanalizzare l’arteria infartuale o migliorare la circolazione coronarica in vista della successiva angioplastica primaria. Sia dal punto di vista farmacologico 1 che in base alle evidenze sperimentali, le terapie fibrinolitiche e antitrombotiche hanno maggiore efficacia nelle primissime ore dall’inizio dei sintomi ischemici 2. Trascorse 2-4 ore, il rapporto rischio/ beneficio di queste terapie tende a divenire sfavorevole. Di qui l’esigenza primaria di operare affinché: - si riducano al minimo i tempi diagnostici attraverso una sensibilizzazione dei Medici di Medicina Generale e della Continuità Assistenziale (oltre che direttamente dei cittadini), - si possa offrire, nell’intero territorio regionale, un trasporto rapido verso una struttura cardiologica dotata di emodinamica.
Al momento attuale, le uniche evidenze disponibili per la terapia dello STEMI in ambulanza riguardano: - l’efficacia inequivocabilmente superiore della fibrinolisi pre-ospedaliera precoce rispetto a quella eseguita in ospedale 3,
- l’efficacia della fibrinolisi extraospedaliera eseguita nelle prime due ore dall’inizio dei sintomi rispetto all’angioplastica primaria, pur nel contesto di una rete per il trattamento dello STEMI 4.
Nel caso sia stata somministrata la trombolisi il successivo ricorso all’angioplastica richiede un ulteriore snodo decisionale non esente da complicanze trombotiche ed emorragiche 5. La somministrazione di qualunque altro farmaco o cocktail farmacologico è per lo più basata su dati di farmacologia clinica, sul buon senso clinico o sul consenso di esperti. Nel caso specifico del progetto PRIMA RER 2003 - “Ridefinizione dei percorsi di tempestivo accesso ai servizi, diagnosi e cura per i pazienti con infarto miocardico acuto”- che ha definito le linee di indirizzo per l’implementazione della Rete per l’IMA/STEMI in regione Emilia-Romagna, non può essere trascurata la specifica esperienza maturata a partire dalla sua istituzione, con dati raccolti prospetticamente e pubblicati 6 .
M.A.N.O (morfina, aspirina, nitrato, ossigeno)
Al momento del primo contatto medico il trattamento dei pazienti con dolore toracico sospetto per STEMI prevede la sedazione del dolore, la somministrazione di aspirina, nitrato sublinguale e ossigeno secondo l’acronimo M.A.N.O (morfina, aspirina, nitrato, ossigeno). Le più recenti Linee Guida Europee suggeriscono un utilizzo individualizzato di queste terapie, salvo l’aspirina (Raccomandazione di grado IC, Linee guida STEMI ESC 2012 7). Oltre al protocollo M.A.N.O. è raccomandata la terapia di supporto nel caso di sintomi aggiuntivi (dispnea, ipotensione, bradicardia, ecc.). Questi trattamenti devono essere disponibili in ambulanza.
Commento critico del gruppo di lavoro
La sedazione del dolore è di fondamentale importanza in quanto, oltre alle ovvie implicazioni umane, questo sintomo è associato a un’intensa attivazione simpatica che provoca vasocostrizione, tachicardia, ipertensione, fenomeni negativi nei pazienti con dolore di natura coronarica. I farmaci più comunemente utilizzati sono gli analgesici oppioidi: solitamente 4-8 mg di morfina per via endovenosa con boli aggiuntivi di 2 mg ad intervalli di 5-15 min. fino a quando il dolore è alleviato; da evitare la somministrazione per via intramuscolare in quanto tale via potrebbe non consentire un assorbimento adeguato del farmaco in presenza di alterazioni emodinamiche.
L’aspirina dovrebbe essere somministrata a tutti i pazienti con STEMI quanto prima. E’ dimostrato che l’uso di tale farmaco riduce del 20% gli eventi coronarici maggiori e presenta poche controindicazioni (ipersensibilità vera, sanguinamento gastro-intestinale in atto, gravi diatesi emo-coagulative note o malattia epatica grave). Raramente l'aspirina può provocare broncospasmo nei pazienti asmatici. L'aspirina deve essere somministrata alla dose di 150-300 mg in una forma masticabile (priva di rivestimento gastro-protettivo) perché quest’ultimo potrebbe rallentare l’assorbimento del farmaco e di conseguenza la sua azione. Se l’assunzione orale non è possibile o se non è disponibile l’aspirina masticabile, il farmaco può essere somministrato per via endovenosa (250-500 mg di acetilsalicilato di lisina). Non sono ad oggi disponibili dati di confronto tra le due diverse modalità di somministrazione. Una dose orale di aspirina più bassa (75-160 mg) sarà poi utilizzata dal giorno successivo sine die.
Nitroglicerina e isosorbide-dinitrato sono i farmaci antianginosi più efficaci nella fase acuta e possono essere somministrati per via sublinguale (compressa o spray) nei pazienti con dolore toracico in atto di probabile natura coronarica. Sono controindicati nei pazienti con ipotensione o che hanno assunto da poco inibitori della fosfodiesterasi-5. Non deve essere somministrato indiscriminatamente, ma solo nei soggetti con dolore toracico persistente al momento della prima osservazione, segni d’insufficienza cardiaca o ipertensione arteriosa.
L’ossigenazione (2-4 l/min con maschera facciale o cannule nasali) è utile nei pazienti con dispnea, ipossici o con iniziale scompenso. Controversa è la sua utilità nei pazienti stabili e con normale saturazione di O2 in aria ambiente.
Terapia fibrinolitica
La fibrinolisi, eseguita nelle fasi precoci dell’insorgenza dei sintomi prima del ricovero ospedaliero, si è di mostrata superiore rispetto a quella eseguita in ospedale 3 e anche rispetto all’angioplastica primaria pur nel contesto di una rete per il trattamento dello STEMI 4. Le Linee guida ESC 2012 sullo STEMI 7 raccomandano la terapia fibrinolitica: − in pazienti soccorsi preferenzialmente entro 2 ore dall’inizio dei sintomi, − senza controindicazioni al trattamento, − con “time-to-balloon” stimato >90 min. (Grading I A, per la fibrinolisi nel caso l’angioplastica coronarica primaria (PPCI) non sia disponibile in <120 minuti; Grading IIa A se PPCI non eseguibile prima di 90 minuti).
Commento critico del gruppo di lavoro
Nella Regione Emilia-Romagna è stata scelta l’angioplastica primaria come strategia di riperfusione nello STEMI in quanto nella maggior parte del territorio regionale la PPCI è eseguibile entro i tempi consigliati dalle Linee Guida. Tuttavia nelle aree più remote o disagiate, quando i tempi di trasporto al centro Hub per l’angioplastica primaria siano prevedibilmente superiori a 90 minuti, è auspicabile l’esecuzione della fibrinolisi in ambulanza o nel PS dell’ospedale periferico se la sintomatologia è comparsa da non più di 2 ore in soggetti di età < 75 anni e con valori pressori ben controllati. In ogni caso, senza attendere il risultato della terapia fibrinolitica 8, il paziente deve essere trasportato presso un centro Hub per eseguire, in caso di mancata riperfusione, la coronarografia. I pazienti trattati con fibrinolisi dovranno ricevere un bolo di eparina non frazionata (60 U/kg max. 4.000 U, seguite da infusione di 12 U/kg max. 1.000 U/ora per 24-48 ore), aspirina e clopidogrel (carico di 300 mg seguito da 75 mg al giorno). Ogni singola realtà dovrà decidere se e quando dotare le proprie ambulanze di un trattamento fibrinolitico; la scelta del farmaco potrà avvenire anche considerando il tipo di fibrinolitico disponibile per indicazioni non-infartuali nei singoli prontuari terapeutici locali.
Terapia anticoagulante per via endovenosa (eparine non frazionate, eparine a basso peso molecolare, fondaparinux, bivaluridina)
Esistono prove che l’eparina non aumenta la pervietà coronarica precoce in corso di SCA, nemmeno se utilizzata a dosi molto elevate 9, né altri anticoagulanti hanno fornito risultati migliori 10,11. In realtà in tutte le cardiologie, è invalsa la prassi di somministrare tale farmaco durante la fibrinolisi e in corso di PPCI allo scopo di prevenire la riocclusione coronarica nel primo caso o per prevenire fenomeni di trombosi nel secondo caso.
Commento critico del gruppo di lavoro
Secondo l’esperienza dei membri del gruppo di lavoro l’eparina è fondamentale per prevenire la riocclusione coronarica dopo fibrinolisi e per evitare la trombosi dei materiali utilizzati in corso di PPCI. Tale modalità è raccomandata dalle LG pur in assenza di evidenze specifiche. Poiché per gli altri anticoagulanti di comune uso ospedaliero (enoxaparina, fondaparinux e bivaluridina) non esistono prove di efficacia in fase preospedaliera, il gruppo di lavoro concorda sull’utilizzo dell’eparina non frazionata (UFH), farmaco il cui uso è il più consolidato. La dose raccomandata è di 60U/kg, la dose massima di 4.000U.
Terapia antipiastrinica orale (clopidogrel, prasugrel e ticagrelor)
Non esistono studi randomizzati controllati (RCT) che abbiano valutato gli effetti del trattamento preospedaliero con antipiastrinici orali nello STEMI. Le evidenze a favore di un utilizzo di questi farmaci in ambulanza sono ricavate da sottoanalisi non pianificate di RCT, registri 12,13 o parere di esperti.
Commento critico del gruppo di lavoro
In assenza di RCT eseguiti nella fase preospedaliera dello STEMI la scelta della strategia più opportuna sul singolo paziente candidato all’angioplastica primaria deve derivare dal bilancio fra i potenziali benefici e rischi legati alla somministrazione. I farmaci antipiastrinici orali presentano effetti irreversibili o di lunga durata, una farmacocinetica a volte imprevedibile e in alcuni casi non favorevole per cui la scelta della strategia terapeutica in una situazione in cui la diagnosi può essere incerta e le informazioni ancora insufficienti, può risultare problematica.
Terapia antipiastrinica endovenosa (bloccanti del recettore piastrinico GPIIb/IIIa)
A differenza degli altri antipiastrinici orali, la somministrazione in un bolo endovenoso di bloccanti del recettore piastrinico GPIIb/IIIa è in grado di produrre immediatamente un alto grado di inibizione piastrinica 14,15. Tuttavia una revisione sistematica pubblicata nel 2004 su 6 RCT di piccole dimensioni che hanno confrontato l’uso dei bloccanti del recettore piastrinico GPIIb/IIIa (abciximab -3 studi- o tirofiban -3 studi) prima dell’arrivo in ospedale rispetto all’uso in sala di emodinamica, pur mostrando vantaggi nella perfusione del vaso occluso non ha mostrato una sicura riduzione degli esiti clinicamente rilevanti (mortalità, reinfarto ecc.) al tempo di follow-up (da 30 gg ad 1 anno). La metanalisi concludeva auspicando RCT di maggiori dimensioni 16. Nel 2009 è stato pubblicato lo studio FINESSE, un RCT in doppio cieco su 2.452 pazienti con STEMI giunti in ospedale entro 6 ore dall’insorgenza dei sintomi che prevedeva di sottoporre i pazienti a PCI entro 1–4 ore; all’arrivo in ospedale venivano randomizzati con rapporto 1:1:1 ad abciximab vs abciximab + reteplase vs placebo (in questo gruppo abiciximab veniva somministrato in emodinamica). Nessuna differenza è stata dimostrata fra i tre gruppi a 90 giorni né dal punto di vista angiografico 17 né da quello clinico 18 ed è emerso un minor numero (statisticamente significativo) di eventi emorragici nel gruppo a cui è stato somministrato abciximab in emodinamica. Un’analisi post-hoc dello studio evidenzia una riduzione della mortalità ad 1 anno in sottogruppi ad alto rischio 19. Esistono infine evidenze di efficacia sull’uso preospedaliero di tirofiban nello studio On-TIME 2 20,21.
Commento critico del gruppo di lavoro
Il gruppo di lavoro, dopo un’analisi complessiva degli RCT disponibili e pur considerando i risultati positivi dello studio osservazionale su pazienti con STEMI nel network bolognese in cui si confrontava la somministrazione preospedaliera di abciximab rispetto a quella peri-procedurale 6, ritiene che i risultati attualmente disponibili, pur incoraggianti, non sono conclusivi e sconsiglia l'utilizzo routinario preospedaliero degli inibitori. Le attuali Linee Guida 7 ritengono che gli inibitori del recettore piastrinico GPIIb/IIIa possano essere utilizzati in pazienti con STEMI ad alto rischio che debbano essere trasferiti per PPCI (Grading IIb B). Tuttavia, analisi post-hoc di trial specifici ne limitano l’efficacia alle prime ore dall’inizio dei sintomi 19,21.
Terapia anticoagulante per via endovenosa (eparine non frazionate, eparine a basso peso molecolare, fondaparinux, bivaluridina)
Nei pazienti trattati con PPCI, viene abitualmente utilizzato un anticoagulante per impedire la trombosi intra-procedurale e la riocclusione del vaso. Le opzioni terapeutiche disponibili sono rappresentate dall’eparina non frazionata (UFH), dall’enoxaparina, dalla bivalirudina e dal fondaparinux.
L’eparina non frazionata rappresenta l’anticoagulante standard in fase procedurale pur in assenza di studi randomizzati; ciò è dovuto al forte convincimento che la PCI richiede un trattamento anticoagulante peri-procedurale.
Nello studio OASIS 6 (12.092 paz.) l’efficacia di fondaparinux è stata confrontata con eparina non frazionata in pazienti con STEMI. Nel sottogruppo trattato con PPCI (3.768 paz.), a parità di efficacia sull’esito primario, si è osservata una maggior frequenza (statisticamente significativa) di complicanze legate all’intervento 11.
Enoxaparina è stata studiata in un limitato numero di pazienti con STEMI trattati con PPCI dove ha dimostrato una riduzione non significativa degli eventi ischemici/emorragici a 30 giorni rispetto all’eparina non frazionata 10.
Bivalirudina è stata studiata in un RCT di non inferiorità (HORIZONS MI) che ne ha valutato l’efficacia e la sicurezza rispetto ad UFH associata ad un inibitore della GP IIb/IIIa in 3.602 pazienti con STEMI sottoposti a PPCI 22. A 30 giorni, bivalirudina è risultata superiore a UFH + inibitore della GP IIb/IIIa relativamente all’esito primario (eventi cardiovascolari maggiori + sanguinamenti maggiori). L’effetto è imputabile alla riduzione dei sanguinamenti maggiori che è risultata significativamente inferiore con bivalirudina (4,9% vs 8,3%; RR 0,60, 95% CI 0,46-0,77), mentre la frequenza di eventi cardiovascolari maggiori non è risultata significativamente diversa nei 2 gruppi. Poiché la percentuale di pazienti sotto-posti a PPCI con accesso radiale è estremamente limitata, non è semplice definire la trasferibilità del dato in ambito regionale in cui l'utilizzo dell’accesso radiale è prevalente. In un precedente studio, infatti, la minor frequenza di sanguinamenti a favore della bivaluridina era da attribuire a complicanze emorragiche legate all’accesso femorale 23. Nel sottogruppo di 3.124 pazienti in cui è stato impiantato uno stent, la frequenza di trombosi di stent è stata significativamente maggiore con bivaluridina rispetto al controllo entro le prime 24 ore (1,3% vs 0,3%), ma non a 30 giorni (2,5% con bivalirudina vs 1,9% con UFH + inibitore della GP IIb/IIIa). Infine, occorre notare come la somministrazione di bivalirudina in monoterapia rispetto alla combinazione eparina non frazionata ed inibitori delle GP IIb/IIIa abbia condotto ad una riduzione significativa della mortalità globale e cardiovascolare a 30 giorni. Tale beneficio è apparso non solo mantenuto, ma addirittura ampliato nel corso del follow-up clinico a 3 anni.
Terapia antipiastrinica per via endovenosa (bloccanti del recettore piastrinico GPIIb/IIIa)
Numerosi studi, raccolti in una revisione sistematica, hanno valutato l’utilizzo degli inibitori del recettore piastrinico GP IIb/IIIa associato ad UFH vs la sola UFH nei soggetti con STEMI trattati con PCI primaria dimostrando effetti molto favorevoli 24; la maggior parte di questi studi è stata effettuata prima dell’utilizzo routinario della duplice antiaggregazione. In studi più recenti l’efficacia degli inibitori del recettore piastrinico GP IIb/IIIa associati a UFH vs bivalirudina è risultata meno evidente, in pazienti in doppia antiaggregazione (ASA + clopidogrel 300-600 mg) 23. In base a queste considerazioni, le Linee Guida ESC sullo STEMI attribuiscono all’utilizzo degli inibitori del recettore piastrinico GPIIb/IIIa una Classe di Raccomandazione IIb, livello di evidenza B per l’utilizzo routinario di questi farmaci. L’utilizzo in “bail-out” dell’inibitore del recettore piastrinico GP IIb/IIIa nei soggetti con evidenza di voluminosa trombosi endocoronarica, basso flusso o no-reflow ha invece ricevuto una raccomandazione di classe IIA, livello di evidenza C.
Commento critico del gruppo di lavoro
Secondo l’esperienza dei membri del Gruppo di Lavoro, avvallata dalle raccomandazioni della LG ESC e EACTS 7, 25 fra gli anticoagulanti da utilizzare all’arrivo in emodinamica, UFH e bivaluridina sono i farmaci di scelta; nei pazienti sottoposti a PPCI le evidenze disponibili per enoxaparina sono infatti limitate e quelle per fondaparinux depongono per una maggior frequenza di complicanze. Per UFH la dose raccomandata da somministrare per via ev in bolo è di 70-100 U/kg se non è programmato l’impiego di un anti GP IIb/IIIa e di 50-60 U/kg, se associata ad un anti GP IIb/IIIa. La procedura dovrebbe essere effettuata controllando il tempo di coagulazione attivato (ACT) per aggiustarne la dose (ACT target: 250-300 sec se non viene usato un anti GP IIb/IIIa, 200-250 sec se viene usato un anti GP IIb/IIIa). Per quanto riguarda la bivaluridina i risultati dello studio HORIZONS-AMI non mostrano alcun vantaggio in termini di efficacia secondo l'esito composito MACE rispetto al confronto (anti GP IIb/IIIa + UFH); le differenze riguardano una minor frequenza di eventi emorragici. Per bivaluridina la dose raccomandata è rappresentata da un bolo ev di 0.75 mg/kg seguito dall’infusione di 1.75 mg/kg durante la PPCI. Si rammenta che l’uso di tale farmaco è da evitare in caso di insufficienza renale nota grave o VFG stimata <30 ml/min. Per quanto riguarda gli anti GP IIb/IIIa (in associazione a UFH) il loro ruolo in terapia non è ad oggi definito, in considerazione dei risultati degli studi disponibili. Per gli inibitori del recettore piastrinico GP IIb/IIIa le dosi raccomandate sono:
- Abciximab: 0,25 mg/kg in bolo ev seguito da 0.125 mcg/kg/min ev per 12 h.
- Eptifibatide: doppio bolo ev di 180 mcg/kg a distanza di 10 minuti seguito dall’infusione di 2.0 mcg/ kg/min per 18 ore (la dose di mantenimento andrà dimezzata se la VFG stimata è <50 ml/min; il farmaco è controindicato per VFG stimata <30 ml/min) 26.
- Tirofiban: 25 mcg/kg in bolo ev in 3 minuti seguito da 0.15 mcg/kg/min ev per 18 h (il bolo e la dose di mantenimento andranno dimezzati nel caso di VFG stimata <30 ml/min) 27.
Terapia antipiastrinica orale (clopidogrel, prasugrel e ticagrelor)
Pur in assenza di evidenze specifiche, la duplice antiaggregazione con aspirina e un bloccante del recettore piastrinico dell’ADP (clopidogrel, prasugrel o ticagrelor) è considerata un cardine terapeutico per i soggetti con STEMI trattati o meno con PPCI.
Clopidogrel è un pro-farmaco, soggetto ad una duplice metabolizzazione prima di raggiungere la forma attiva. Non vi sono RCT di confronto fra clopidogrel e placebo nei pazienti con STEMI sottoposti a PCI primaria in quanto la duplice antiaggregazione è attualmente ritenuta necessaria in caso di impianto di stent e tale farmaco ha rappresentato per molti anni l’unico antipiastrinico disponibile per la doppia antiaggregazione con aspirina nei pazienti con STEMI sottoposti a PPCI. Nell’ambito dello studio CURRENT-OASIS-7 28, l’analisi del sottogruppo di pazienti sottoposti a PCI, ha mostrato che una dose carico di 600 mg di clopidogrel seguita dalla somministrazione di 150 mg al giorno per una settimana seguita dalla dose di mantenimento di 75 mg/die è risultata superiore (HR 0,86; IC 95% 0,74–0,99) rispetto alla dose standard (300 mg di carico e 75 mg al giorno di mantenimento) nel ridurre l’esito primario (morte CV+infarto+stroke). Nei pazienti sottoposti a PCI nel corso di STEMI tale esito non è risultato statisticamente significativo (HR 0,83; IC 95% 0,66–1,05).
Prasugrel è un pro-farmaco, inibitore del recettore per l’ADP con una farmacocinetica più favorevole del clopidogrel che consente un’inibizione piastrinica più rapida e potente. Nello studio TRITON TIMI-38 29,30 il farmaco è stato confrontato con clopidogrel in 13.608 pazienti con SCA di cui 3.534 con STEMI sotto-posti a PCI primaria o elettiva (il 26% dei pazienti arruolati). La durata mediana del trattamento nel gruppo STEMI è stata di 14,5 mesi. Solo il 27% dei pazienti ha assunto il farmaco prima della coronarografia nel rispetto dei criteri di reclutamento. Globalmente, ad un follow up di 15 mesi si è osservata una significativa riduzione dell’esito primario combinato (morte CV+infarto+stroke) dovuto esclusivamente alla riduzione degli infarti non fatali. Inoltre, secondo un’analisi post hoc per sottogruppi, il rischio emorragico si è rivelato particolarmente elevato nei pazienti con pregresso TIA o ictus, mentre nei pazienti con età > 75 anni o con peso <60 kg non si è osservata alcuna differenza nell’esito combinato ischemico ed emorragico 29. Nel sottogruppo di pazienti con STEMI sottoposti a PCI ed all’impianto di almeno uno stent l’esito primario si è ridotto rispetto a clopidogrel (HR 0,81; IC 95% 0,72–0,90), così come l’incidenza di trombosi di stent. La durata mediana del trattamento nel gruppo STEMI è stata di 15,2 mesi con un range interquartili da 14,6 a 15,5 mesi. I principali criteri di esclusione dello studio erano: aver assunto una tienopiridina nei 5 giorni precedenti la randomizzazione, un aumentato rischio di emorragia e di anemia, l’anamnesi di pregressa patologia intracranica.
Ticagrelor è un inibitore diretto del recettore per l’ADP adenosino-simile che consente un’inibizione piastrinica più rapida e potente rispetto a clopidogrel. Nello studio PLATO 31,32 ticagrelor è stato confrontato con clopidogrel in 18.624 pazienti con SCA di cui 7.544 con STEMI in cui è stata programmata una PPCI; di questi ultimi l’82% è stato realmente sottoposto ad angioplastica. La durata mediana del trattamento è stata di 277 giorni con un range interquartili da 179 a 365 giorni. Nell’intero studio l’esito primario combinato di morte+infarto+stroke è risultato favorevole al ticagrelor (HR 0.84; IC 95% 0,77 - 0,92) con una riduzione della mortalità totale e cardiovascolare. Nel sottogruppo STEMI l’esito primario a 12 mesi di follow-up nel gruppo trattato con ticagrelor è andato nella stessa direzione (HR 0.87; IC 95% 0.85-1.01) pur non raggiungendo una differenza statisticamente significativa. In tale gruppo la durata mediana del trattamento è stata di 280 giorni. Significativamente ridotte sono state invece l’incidenza di trombosi di stent, infarto miocardico e mortalità globale. Questo beneficio è stato accompagnato da incrementi significativi del rischio emorragico non correlato a procedure interventistiche e del rischio di stroke. I principali criteri di esclusione dello studio erano: l’aver assunto una terapia fibrinolitica nelle 24 ore precedenti la randomizzazione, la necessità di terapia anticoagulante orale, un elevato rischio di bradicardia.
Commento critico del gruppo di lavoro
Rispetto a quando iniziare la terapia antipiastrinica orale, allo stato attuale non vi sono studi che abbiano valutato il momento migliore (in ambulanza, in ospedale, prima dell’angioplastica, durante la procedura, o dopo l’angioplastica) per cui le stesse Linee Guida ESC 7 raccomandano genericamente che la somministrazione del farmaco scelto avvenga “il prima possibile” e comunque entro 1 ora dalla fine della procedura. Il gruppo di lavoro ritiene che il momento del ricovero in sala di emodinamica possa offrire al paziente la migliore opportunità, consentendo al cardiologo di decidere caso per caso in rapporto al quadro clinico. La scelta del farmaco antipiastrinico orale da utilizzare dovrà tener conto, in base alle evidenze disponibili, della strategia globale definita per ogni singolo paziente e in particolare della scelta di somministrare un anti GP IIb/IIIa o bivaluridina in rapporto al rischio trombotico, al rischio emorragico, al rischio di trombosi precoce di stent e all’esistenza di insufficienza renale nota. La durata della duplice antiaggregazione dovrà tener conto oltre che della durata dei trattamenti nei principali studi e del tipo di stent impiantato (medicato o non medicato). Nello studio PRODIGY 33 in cui sono stati arruolati 2.013 pazienti in larga misura affetti da SCA sottoposti ad impianto di stent coronarico (baremetal, paclitaxel-eluting, zotarolimus-eluting, everolimus eluting) e randomizzati dopo il primo mese di trattamento con ASA + clopidogrel a ricevere lo stesso trattamento per ulteriori 5 mesi o per ulteriori 23 mesi. A 2 anni dalla randomizzazione non si è evidenziata alcuna differenza nell’esito primario (morte per tutte le cause + infarto del miocardio + eventi cerebro-vascolari) fra 6 e 24 mesi di trattamento (HR 0,98; IC 95%, 0,74-1,29) senza alcuna differenza nei singoli esiti dell’esito primario valutati singolarmente. È invece nettamente aumentato il rischio di eventi emorragici maggiori (HR 2,63; IC 95% 1,03-6,67) e di trasfusioni (HR 2,00; IC 95% 1,02-3,85) nel trattamento prolungato. Le LG ESC attualmente raccomandano un minimo di un mese in caso di impianto di BMS e di 6 mesi in caso di impianto di DES 7. Per i farmaci antipiastrinici orali disponibili le dosi raccomandate e le principali controindicazioni/avvertenze d’uso sono le seguenti:
Clopidogrel: 300 - 600 mg dose carico seguito da 75 mg/die 34,35. Principali controindicazioni/avvertenze all’uso di clopidogrel: sanguinamento in atto, insufficienza epatica grave.
Prasugrel: 60 mg seguiti da 10 mg una volta al dì. Principali controindicazioni/avvertenze all’uso di prasugrel: sanguinamento in atto o elevato rischio di sanguinamento; storia clinica di ictus o di TIA, disfunzione epatica grave (classe Child-Pugh C). È consigliata una dose di 5 mg/die nei pazienti con età >75 anni o con peso <60 Kg in cui si ritenga favorevole il rapporto rischio/beneficio. Il farmaco non va utilizzato nei pazienti trattati con tienopiridine negli ultimi 5 giorni.
Ticagrelor: 180 mg seguiti da 90 mg due volte al dì 31. Ticagrelor può essere usato nei casi già in trattamento con clopidogrel al momento della SCA. Principali controindicazioni/avvertenze all’uso del ticagrelor: soggetti con turbe di conduzione o bradicardia, con BPCO, con trattamenti in corso a base di inibitori (ketoconazolo, claritromicina, nefadozone, ritonavir e atazanavir) o forti induttori (rifampicina, desametasone, fenitoina, carbamazepina e fenobarbital) di CYP3A4.
Terapia antipiastrinica orale nei soggetti trattati con fibrinolisi o nei non riperfusi
La duplice inibizione piastrinica è utile anche nei pazienti trattati con fibrinolisi o nei non riperfusi. Tra gli antipiastrinici orali da affiancare all’aspirina, l’unico per il quale esistono studi di supporto adeguati in questi contesti è il clopidogrel 37,38. Nei pazienti trattati con fibrinolisi è consigliabile una dose carico di 300 mg (se di età <75 anni) seguita da 75 mg al giorno, in quelli non sottoposti a riperfusione è consigliabile una dose di 75 mg al giorno (senza dose carico). In entrambi i casi, la terapia è raccomandata per un mese dopo l’evento acuto.
L’evoluzione epidemiologica delle Sindromi Coronariche Acute ha visto crescere nettamente il numero di pazienti con SCA-NSTE 39,40. Nel 2011 in Emilia Romagna l’87% dei pazienti con SCA-NSTE è stata ricoverata o ha transitato in un reparto cardiologico. Nel 61% dei casi i pazienti sono stati inizialmente ricoverati presso un ospedale Hub e nel 39% dei casi sono stati ammessi inizialmente in un ospedale Spoke 41. Lo spettro delle caratteristiche cliniche e della prognosi dei soggetti con SCA-NSTE è molto più ampio rispetto allo STEMI, includendo sia pazienti a basso rischio sia pazienti complessi e con prognosi severa quali i soggetti anziani, sia pazienti con importanti co-patologie o precedenti eventi vascolari. Questo richiede una corretta stratificazione del rischio, un trattamento antitrombotico di aggressività commisurata al livello di rischio ischemico ed emorragico e nei pazienti a rischio moderato-elevato il più frequente ricorso ad una precoce rivascolarizzazione. La stratificazione del rischio è basata su valutazioni cliniche (variabili anamnestiche, segni obiettivi, ECG e marcatori di necrosi) integrate dall’utilizzo di punteggi di rischio.
Indicazioni alla coronarografia
In base alla stratificazione del rischio ischemico e sulla base delle raccomandazioni delle LG 42 sono individuate tre categorie fondamentali:
1. Altissimo rischio. I criteri per identificare questi pazienti sono rappresentati da:
- instabilità emodinamica, ipotensione o segni di scompenso,
- dolore anginoso persistente refrattario alla terapia,
- sopraslivellamento transitorio di ST,
- aritmie ventricolari maligne.
In questi casi la coronarografia deve essere eseguita in tempi simili a quelli impiegati nelle STEMI perché il modo di presentazione espone a un elevato rischio di eventi a breve termine.
2. Alto rischio. Pazienti con sintomi ischemici a riposo (<48 ore) che presentano: Almeno 1 fra i seguenti criteri principali:
- sottoslivellamento transitorio o persistente del tratto ST >0.05 mV e/o alterazioni dell’onda T
- elevazione significativa dei livelli di troponina in assenza di condizioni emodinamiche scatenanti (forme secondarie a crisi ipertensive, tachiaritmie, anemia grave e simili)
oppure
almeno 1 fra i seguenti criteri secondari:
- diabete, - insufficienza renale (VFG stimata <60 mL/min/1.73 m²),
- FE<40%,
- angina precoce post-infartuale,
- recente PCI,
- pregresso bypass aorto coronarico.
Questi pazienti devono essere sottoposti a coronarografia entro 72 ore dall’ingresso (preferibilmente entro 48 ore). All’interno dei pazienti ad alto rischio è possibile identificare un sottogruppo a rischio particolarmente alto rappresentato da coloro che presentano: - almeno 1 criterio principale oppure un GRACE score >140. In questo sottogruppo va valutata l’opportunità di sottoporre i pazienti a coronarografia entro 24 ore dall’accesso in qualunque ospedale della rete. Quest’ultima raccomandazione deriva dai risultati di un’analisi post-hoc dello studio TIMACS 43 che ha evidenziato una riduzione significativa di morte+infarto nel sottogruppo prespecificato con elevato GRACE risk score (>140), senza tuttavia mostrare un vantaggio sulla mortalità; tale risultato non è stato confermato da una metanalisi di sei RCT in corso di pubblicazione 44.
3. Rischio non alto. Questi pazienti sono individuati dall’assenza delle caratteristiche di alto rischio sopra descritte e possono essere inviati per coronarografia elettivamente o trattati conservativamente in base alla valutazione clinica 42. In molti casi la coronarografia è effettuata elettivamente dopo una rivalutazione del rischio ischemico, spesso dopo l’esecuzione di indagini non invasive (test da sforzo, ecc).
Trattamento antitrombotico
Analogamente a quanto accade negli STEMI, anche nelle SCA-NSTE l’attivazione/aggregazione piastrinica e l’attivazione emocoagulativa giocano un ruolo importantissimo nella genesi della trombosi arteriosa. Esse rappresentano pertanto un obiettivo chiave della terapia di questa sindrome. Ne consegue che tutti i pazienti con SCA-NSTE devono ricevere un anticoagulante e uno o più antipiastrinici. L’intensità del trattamento e la combinazione dei diversi farmaci dipendono da una precisa valutazione del rischio ischemico e dalla strategia invasiva selezionata. Quanto più alto sarà il rischio ischemico e precoce il ricorso alla rivascolarizzazione, tanto maggiore dovrà essere l’aggressività del trattamento antitrombotico. Tuttavia, poiché una maggiore aggressività della terapia antitrombotica espone a una maggiore probabilità di causare sanguinamenti, nella valutazione iniziale si dovrà tener conto anche del rischio emorragico individuale. A differenza dello STEMI, la probabilità che un paziente con SCA-NSTE debba andare incontro a intervento cardiochirurgico precoce non è trascurabile, con significative implicazioni in termini di strategie farmacologiche. Poiché nella gestione delle SCA-NSTE la scelta della strategia invasiva guida l’intensità del trattamento antitrombotico, le diverse raccomandazioni terapeutiche seguiranno questa suddivisione.
A . Pazienti ad altissimo rischio indirizzati a coronarografia immediata (<2 ore). Come precedentemente affermato tali pazienti sono da trattare come uno STEMI quindi con:
• aspirina al momento del primo contatto medico (raccomandazione 1),
• eparina non frazionata nella fase di trasporto in ambulanza o nei centri Spoke (raccomandazione 3). Nel caso tale trattamento avvenga all’arrivo in emodinamica si potrà considerare l’uso di bivaluridina o di eparina non frazionata sulla base della valutazione clinica complessiva secondo le raccomandazioni espresse nella terapia farmacologica dello STEMI all’arrivo in emodinamica (raccomandazione 6),
• un inibitore del recettore piastrinico GPIIb/IIIa all’arrivo in emodinamica. Il gruppo di lavoro ha precedentemente espresso una raccomandazione negativa sull’uso di tali farmaci nel contesto preospedaliero. Il loro utilizzo dovrà quindi essere considerato secondo le raccomandazioni contenute nella terapia farmacologica dello STEMI all’arrivo in emodinamica (raccomandazione 6),
• per quanto riguarda la scelta della terapia antipiastrinica orale, in questi pazienti la probabilità di coronaropatia trivasale o di malattia del tronco comune con indicazioni cardiochirurgiche è relativamente elevata, per cui non è consigliabile un pretrattamento con inibitori del recettore P2Y12 per via orale prima di conoscere l'anatomia coronarica. Il loro utilizzo dovrà quindi essere considerato secondo le raccomandazioni contenute nella terapia farmacologica dello STEMI all’arrivo in emodinamica (raccomandazione 7).
B . Pazienti ad alto rischio indirizzati a coronarografia precoce entro 72 ore o entro 24 se con GRACE risk score >140 e almeno 1 criterio principale. In questi soggetti la scelta della terapia antitrombotica e del tempo di esecuzione della coronarografia possono essere complesse e devono tener conto di un accurato bilancio tra rischio ischemico ed emorragico, soprattutto nei soggetti di età >75 anni. E’ pertanto consigliabile che nei pazienti inizialmente osservati in un reparto non cardiologico queste scelte siano condivise direttamente con i cardiologi di riferimento, in accordo con le indicazioni del Documento di Consenso sul Dolore Toracico 45. In questi casi la terapia antitrombotica non presuppone l'utilizzo routinario degli inibitori del recettore IIb/IIIa, ma solo in presenza di trombosi coronarica evidente all’angiografia o in caso di complicanze trombotiche intra-procedurali.
C . Pazienti a rischio non alto indirizzati a coronarografia elettiva o trattati conservativamente. Molti di questi pazienti sono inizialmente osservati in un reparto non cardiologico; pertanto la scelta dell’intensità del trattamento antitrombotico e del tempo di esecuzione della coronarografia devono essere condivise direttamente con i cardiologi di riferimento, in accordo con le indicazioni del Documento di Consenso sul Dolore Toracico 45.
Commento critico del gruppo di lavoro
L’uso del fondaparinux nei pazienti con SCA-NSTE deriva dai risultati dello studio OASIS 546 in cui, su una popolazione di 20.078 pazienti con SCA-NSTE, è stato confrontato l’uso di fondaparinux 2,5 mg in monosomministrazione vs enoxaparina 1 mg/kg/die in 2 somministrazioni/die per una media di 6 giorni di trattamento; si tratta di uno studio di non inferiorità su un esito primario composito di efficacia costituito da morte+IMA+ischemia refrattaria e di sicurezza (sanguinamenti maggiori) valutati dopo 9 giorni; il follow-up è proseguito fino a 180 giorni. Rispetto all’esito primario a 9 giorni il fondaparinux si è dimostrato non inferiore ad enoxaparina, ma con un minor numero (statisticamente significativo) di sanguinamenti maggiori. Nel follow-up a 30 giorni fondaparinux ha mostrato una riduzione statisticamente significativa di mortalità e sanguinamenti maggiori; la riduzione di questi ultimi era riscontrabile anche a 180 giorni quando invece l’esito primario di efficacia non mostrava alcuna differenza, mentre a 30 e 180 giorni si osservava una riduzione dell’esito composito di morte+IMA+stroke. Sono invece segnalati un maggior numero di casi di trombizzazione del catetere utilizzato per la coronarografia nel gruppo trattato con fondaparinux, eventi che sono stati annullati dalla somministrazione di eparina non frazionata al momento della PCI. Le LG infatti nei pazienti sottoposti a PCI raccomandano di associare UFH. Per fondaparinux le dosi raccomandate sono: 2,5 mg s.c. [con bolo di eparina non frazionata 85 U/kg (o 60 U/kg se utilizzati gli inibitori 2b/3a) al momento della PCI] il fondaparinux è controindicato in caso di VFG <20ml/min. Per enoxaparina le dosi raccomandate sono: 1 mg/kg ogni 12 ore s.c. corretto per funzione renale ed età. La scelta della terapia antipiastrinica orale dovrà essere fatta tenendo conto di una numerosa serie di elementi clinici e della strategia globale definita per ogni paziente; nel caso della SCA-NSTE ad altissimo rischio potranno essere mutuate le evidenze già analizzate per lo STEMI. Nel caso dei pazienti ad alto rischio quando il quadro clinico e la strategia terapeutica non sono state ancora definite, secondo il Gruppo di Lavoro si potrà iniziare un trattamento con clopidogrel alla dose di attacco di 300-600 mg per continuare con 75 mg/die34,35. All’arrivo in emodinamica in presenza di specifiche condizioni cliniche (trombosi di stent, rischio ischemico particolarmente elevato e rischio emorragico particolarmente basso, anamnesi farmacologica recente), il cardiologo valuterà se confermare clopidogrel o se passare a ticagrelor alla dose di attacco di 180 mg per continuare con 90 mg due volte al dì. Nel caso in cui il paziente non sia stato trattato in precedenza con clopidogrel, al momento in cui si procede alla PCI la scelta potrà cadere anche su prasugrel alla dose di attacco di 60 mg seguita da 10 o 5 mg al dì. Nei pazienti con SCA-NSTE a rischio non alto la cui gestione è molto frequentemente non cardiologica si potrà di norma fare un trattamento con clopidogrel alla dose di attacco di 300 mg per continuare con 75 mg/die. La durata del trattamento con antipiastrinici orali è attualmente condizionata dalle evidenze disponibili; in particolare nello studio CURE 47 il trattamento con clopidogrel ha oscillato fra 3 e 12 mesi (durata media di 9 mesi). Nello studio TRITON TIMI-38 la durata mediana del trattamento con prasugrel è stata di 14,5 mesi con un intervallo da 6 a 15.
Nello studio PLATO ed in particolare nel sottogruppo di pazienti sottoposto a PCI la durata del trattamento è stata di 277 giorni con un range interquartile da 179 a 365, nel sottogruppo di pazienti in cui era stato programmato un trattamento non invasivo la durata è stata sostanzialmente la stessa (276 giorni, range interquartile 175-365). E’ inoltre importante considerare i risultati dello studio EXCELLENT 48 pubblicato nel 2011 in cui si dimostra la non inferiorità a 12 mesi del trattamento con la duplice terapia antiaggregante per 6 mesi rispetto a 12 mesi su 1.443 pazienti sottoposti all’impianto di uno stent medicato (esito composito di morte CV+IMA+rivascolarizzazioni). Tali risultati, seppur non conclusivi per la numerosità del campione e per il tipo di studio (non inferiorità con ampio margine), sono stati confermati dallo studio PRODIGY pubblicato nel 2012 e descritto in precedenza. Sulla base delle considerazioni esposte il Gruppo di Lavoro ritiene che la durata della duplice antiaggregazione debba essere decisa caso per caso, valutando in base al bilancio fra il rischio emorragico, il rischio ischemico e le eventuali copatologie del paziente se sospendere la duplice antiaggregazione dopo 6 o 12 mesi di trattamento.
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Data di Redazione 12/2012
*Dr. Nicola Binetti - UO di Pronto Soccorso ed Emergenza Territoriale, Area nord, AUSL Bologna
Dr. Gianni Casella - UO di Cardiologia, Ospedale Maggiore, AUSL Bologna
Dr.ssa Rossana De Palma -Area Governo Clinico, Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale
Dr. Giuseppe Di Pasquale - UO di Cardiologia, Ospedale Maggiore, AUSL Bologna
Dr.ssa Paola Fiacchi -UO di Farmacia, AO Bologna
Dr. Marcello Galvani - UO di Cardiologia, AUSL Forlì
Dr. Davide Imberti - UO di Medicina, AUSL Piacenza
Dr.ssa Anna Maria Marata - Area Valutazione del farmaco, Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale
Dr. Alessandro Navazio - UO di Cardiologia, Ospedale Guastalla, AUSL Reggio Emilia
Dr. Stefano Savonitto - UO di Cardiologia, IRCCS Arcispedale S.Maria Nuova, Reggio Emilia
Dr. Marco Valgimigli - UO di Cardiologia, AO Ferrara e della Commissione Cardiologica e Cardiochirurgica dell’Emilia Romagna