Breve premessa farmacologica
Bevacizumab (Avastin® prodotto da Roche) e Ranibizumab (Lucentis® prodotto da Novartis) sono due farmaci cosiddetti anti-VEGF cioè che inibiscono la crescita di nuovi vasi sanguigni (l’eccessiva proliferazione di vasi sanguigni si determina sia nelle neoplasie maligne sia nella degenerazione maculare legata all’età: DMLE). Avastin® è stato commercializzato negli Stati Uniti nel 2004 (in Italia nel 2005) per trattare il carcinoma del colon, ma già nel luglio 2005 venivano comunicati i primi risultati positivi per l’uso intravitreale nella DMLE. Lucentis® è stato scoperto dalla stessa ditta che ha per prima isolato Avastin® (Genentech) è in realtà costituito da una parte della molecola di Avastin®; è stato commercializzato in Italia nel 2007. La differenza fondamentale fra l’uso di Avastin® a scopo antitumorale rispetto all’uso nella patologia oculistica sta nel fatto che nel primo caso il farmaco viene somministrato per via endovenosa a dosi elevate (da 5 a 15mg/kg ogni 2-3 settimane che per un paziente di 70kg significa 350 - 1050mg ogni somministrazione) mentre nel secondo caso viene somministrato a livello endoculare in dosi molto piccole (1,25mg al mese per 3 - 6 mesi), dosaggi quindi per l’occhio 500 volte inferiori e ciò giustifica differenze rilevanti di tossicità e rende l’uso oculare sicuro e i rischi legati alla iniezione intravitreale comunque minimi se confrontati con l’efficacia di questi farmaci. Le differenze farmacologiche fra l’uso intravitreale di Avastin® e Lucentis® sono minime o assenti: lo dimostrano i numerosi studi clinici randomizzati (indipendenti, vale a dire finanziati con fondi pubblici) di confronto diretto (vale a dire che hanno confrontato i due farmaci testa a testa) in quanto tali confronti non sono stati fatti al momento della commercializzazione di Lucentis® perché tale confronto non era di interesse commerciale per i produttori. I risultati dei numerosi studi pubblicati sono coerenti tra loro e dimostrano una sostanziale sovrapponibilità dei due farmaci in termini di efficacia e sicurezza.
Che cosa ha evidenziato (e sanzionato) l’Antitrust Il caso Avastin® - Lucentis®, due farmaci per il trattamento di una malattia degenerativa della retina che può portare alla cecità, si è concluso con una multa di 182 milioni di euro a carico delle multinazionali Roche e Novartis per aver posto in essere accordi “restrittivi della concorrenza”, volti a “limitare il consumo del farmaco meno costoso”, restringere “la libertà di scelta dei consumatori” e “condizionare il giudizio e la scelta terapeutica dei medici”. Per gli addetti ai lavori sembra una “quasi inevitabile” piega del sistema di approvazione che consente al detentore di un brevetto di non chiedere la registrazione del proprio farmaco per una nuova indicazione (commercialmente poco attraente) e contemporaneamente a un’altra industria (o come più tecnicamente afferma EMA quando ci si riferisce alle industrie farmaceutiche, il MAH, Marketing Authorization Holder, colui che detiene l’autorizzazione all’immissione in commercio) di svilupparlo in esclusiva garantendo in questo modo prezzi elevati e quindi enormi profitti. Ma quando le ditte si accordano, a danno del mercato, per una strategia comune di artificiosa differenziazione fra prodotti sostanzialmente sovrapponibili e per farlo utilizzano metodi censurabili quali creare per il farmaco meno costoso (Avastin® ) un’immagine di farmaco meno sicuro e rendere l’arrivo dei risultati favorevoli alla sovrapponibilità dei due farmaci (studio CATT) un non-evento… ecco che si lede il mercato e si impedisce l’accesso a trattamenti efficaci disponibili. Per quasi 5 anni il SSN non ha potuto utilizzare, seppur applicando le regole dell’off label, un farmaco efficace in quanto ne era disponibile un altro registrato per tale indicazione e ciò ha comportato il pagamento di un elevato differenziale di prezzo che, attualmente, è di 40 volte maggiore, ma che all’inizio della commercializzazione era di oltre 70 volte superiore. Ciò è stato favorito dal fatto che in Italia la legislazione sull’off label già particolarmente rigida è stata ulteriormente complicata col famoso comma “796 lettera z” della Finanziaria 2007 che impedisce l’uso sistematico di un farmaco off label quando disponibile un farmaco in-label per la stessa indicazione. Ecco quindi che, dopo una serie di indagini molto accurate dell’Antitrust, emerge come le due ditte pur di favorire l’uso del farmaco più costoso si sono accordate su una ampia serie di azioni e lobbismi sul livello politico e legislativo, sul versante scientifico e delle autorità regolatorie e infine sulla informazione ai medici.
Leggendo il provvedimento dell’Antitrust abbiamo saputo che… L’Antitrust ha svolto un lavoro davvero eccezionale e di altissimo livello tecnico e documentale. Ha infatti condotto un’indagine senza tentennamenti su un tema tecnicamente molto complesso e di straordinarie dimensioni, economiche e sociali e di rilevanza internazionale. Il provvedimento dimostra la determinazione con la quale le due aziende hanno sfruttato le smagliature del quadro normativo-regolamentare italiano per massimizzare i loro profitti. Gli scambi di mail tra alcuni alti dirigenti delle due industrie hanno inequivocabilmente dimostrato una alleanza strutturata, pervasiva e duratura nel tempo a diversi livelli:
• attività congiunte su come non sviluppare un prodotto e attività collusive su come “differenziare” i due farmaci vale a dire come rendere artificialmente diverso un farmaco dall’altro (a fronte di dati robusti che ne dimostravano la sostanziale sovrapponibilità);
• attività organizzate per rendere “innocue” le evidenze scientifiche. Dopo cioè la pubblicazione dello studio americano CATT indipendente (finanziato con fondi pubblici), che mostrava chiaramente la sovrapponibilità dei due farmaci, le due ditte si sono accordate su come “rendere tale studio un “non-evento”;
• attività congiunte e comuni dei due uffici legali.
Alcune considerazioni e proposte Da questa vicenda prima e dopo il provvedimento dell’Antitrust abbiamo appreso che:
• quando studi clinici, in modo particolare se finanziati da governi o enti pubblici, dimostrano il favorevole profilo benefici-rischi di un farmaco off label, tali evidenze scientifiche dovrebbero essere ritenute un bene comune che può, anzi deve essere utilizzato ai fini della promozione della salute pubblica e della autorizzazione alla concedibilità e rimborsabilità da parte di un SSN o SSR;
• questo caso esemplare per portata e per gli interessi commerciali in esso concentrati, dimostra con chiarezza ineludibile la necessità che si cancelli la lettera zeta della finanziaria 2007;
• l’opportunità di una nuova legge fatta non in condizioni d’urgenza che consenta al SSN/SSR di fornire sotto la propria responsabilità trattamenti off label con farmaci ancora coperti da brevetto, per le esigenze superiori della salute pubblica e del buon uso delle risorse del sistema sanitario pubblico provenienti dalla fiscalità generale;
• l’opportunitá di rendere disponibili sotto la responsabilità del SSN farmaci documentati da buone evidenze e privi di una reale interesse commerciale da parte dell’industria;
• l’opportunitá di individuare farmaci che hanno dati iniziali (semplici segnalazioni di casi) e da sviluppare ulteriormente per i quali consentire usi off label in assenza di alternative terapeutiche o sui quali avviare programmi di ricerca indipendente;
• l’opportunitá di individuare usi off label di farmaci di documentata inefficacia o pericolosità sui quali esercitare azioni di controllo e diniego dell’uso e farne oggetto di controlli e verifiche di appropriatezza.
Le implicazioni del provvedimento La possibilità per il SSN o i SSR di richiedere i danni per avere dovuto acquistare un farmaco enormemente più costoso è la prima e più visibile conseguenza della sentenza. Per chi come la regione Emilia-Romagna aveva deliberato a favore dell’utilizzo del farmaco meno costoso e parimenti efficace e sicuro si rende coerente la possibilità di riattivare quella delibera o comunque di richiedere con forza ad AIFA di inserire il bevacizumab nella lista dei farmaci ad uso consolidato in attesa che la Corte Costituzionale decida in merito ai ricorsi in essere anche al fine del miglior uso delle risorse pubbliche.
Dal decreto “Lorenzin” all’emendamento approvato alla Camera Il DL del 20 marzo 2014 proponeva anzi di fatto introduceva, in quanto decreto legge, una macchinosa procedura che costituiva un “unicum” a livello interna zionale. Infatti, nel disciplinare il caso di un farmaco off label per il quale vi sia “motivato interesse pubblico” al suo utilizzo (per una indicazione terapeutica diversa da quella sviluppata e registrata dall’industria), il decreto legge prospettava tre diverse opzioni:
1. l’AIFA procede alla “registrazione” della indicazione terapeutica, “previa cessione a titolo gratuito al Ministero della Salute dei diritti su tale indicazione da parte del titolare dell’Autorizzazione all’Immissione in Commercio” (AIC). Questa novità assoluta nel panorama legale internazionale degli usi off label sarebbe stata davvero stupefacente: improvvisamente infatti i farmaci off label non si possono più toccare senza l’assenso preventivo del titolare del brevetto che addirittura ne avrebbe dovuto cedere i diritti a titolo gratuito (cedendoli a chi non chiede/gestisce diritti e cioè il Ministero o il SSN). Secondo i legali è una scelta discutibile o poco lineare: la “cessione” è un negozio giuridico, come tale volontario, e quindi non può essere imposta, tantomeno a titolo gratuito. Se l’industria vuole cedere i diritti allo Stato, e a titolo gratuito, non c’è bisogno di una legge. Al Servizio Sanitario Nazionale non interessa l’autorizzazione “all’immissione in commercio” (AIC) né la commercializzazione del prodotto, ma semplicemente l’autorizzazione all’uso interno (del Servizio Sanitario), per fini di salute pubblica, di un farmaco efficace e sicuro, assumendosene la responsabilità e la rimborsabilità.
2. Il decreto proseguiva ipotizzando una seconda opzione nella quale il titolare dell’AIC (ovvero l’industria) procede “direttamente alla registrazione dell’indicazione” e definisce “con l’AIFA i termini e le modalità di avvio degli studi registrativi”; questo era certamente il paragrafo meno condivisibile in quanto si prospettava che l’industria fino a quel momento non interessata alla registrazione del farmaco decidesse improvvisamente di farlo su suggerimento di una agenzia regolatoria pianificando, in collaborazione con questa, studi clinici registrativi (pur essendo come in questo caso già disponibili numerosi studi clinici indipendenti).
3. Infine il decreto ipotizzava una terza possibilità in cui il titolare dell’AIC si opponeva “immotivatamente” alla registrazione e di ciò si dava pubblica notizia sul sito web di AIFA. Questa ammonizione pubblica era per l’appunto la dimostrazione della impotenza in cui si relegava il Sistema Sanitario rispetto ai farmaci che sono anche beni a tutela della salute pubblica.
Il nuovo testo approvato alla Camera il 29 aprile cancella tutte e tre queste ipotesi e definisce in un nuovo articolo come si possono usare i farmaci off label ben documentati pur in presenza di un farmaco già registrato e recita così:
1. All’articolo 48, comma 19, lettera b), numero 3), del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e, anche su richiesta delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano o delle società scientifiche nazionali del settore clinico di specifico interesse, sentito il Consiglio superiore di sanità, alla sperimentazione clinica di medicinali per un impiego non compreso nell’autorizzazione all’immissione in commercio».
2. Dopo il comma 4 dell’articolo 1 del decreto-legge 21 ottobre 1996, n. 536, convertito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 648, è inserito il seguente: «4-bis. Anche se sussista altra alternativa terapeutica nell’ambito dei medicinali autorizzati, previa valutazione dell’AIFA, sono inseriti nell’elenco di cui al comma 4, con conseguente erogazione a carico del Servizio sanitario nazionale, i medicinali che possono essere utilizzati per una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, purché tale indicazione sia nota e conforme a ricerche condotte nell’ambito della comunità medico scientifica nazionale e internazionale, secondo parametri di economicità e appropriatezza. In tal caso l’AIFA attiva idonei strumenti di monitoraggio a tutela della sicurezza dei pazienti e assume tempestivamente le necessarie determinazioni».
Questo testo viene quindi ad aggiungere un nuovo comma alla L. 648 … (che definisce le modalità d’uso off label dei farmaci). Il testo approvato alla Camera è quindi un “buon compromesso” che dovrebbe consentire, dopo il parere di AIFA, un uso dei farmaci per indicazioni non registrate, ma con adeguate evidenze a supporto della loro efficacia e sicurezza. Abbiamo, ancora una volta, perso l’occasione di riformare più compiutamente la legislazione sugli usi off- label che in Italia è ridondante ed eccessivamente restrittiva anche per effetto del caso Di Bella. È infatti molto diverso utilizzare un farmaco per un uso off label in presenza di solide prove di efficacia, in presenza di dati incoraggianti o in completa assenza di prove e sarebbe importante che le regole d’uso tenessero conto di ciò. È in fine utile riflettere sul fatto che in generale i nuovi farmaci vengono autorizzati dalle Agenzie regolatorie con un numero di prove di efficacia minore (spesso senza studi di confronto diretto con lo standard di cura) rispetto a quelle di cui dispone, ormai da tempo, l’Avastin® intraoculare. Il nuovo testo dà semaforo verde all’AIFA per approvare l’Avastin® per gli usi intraoculari… speriamo che lo faccia presto.
A mo’ di conclusioni L’industria farmaceutica ha fatto grandi scoperte e ha contribuito agli straordinari progressi che hanno cam-biato il mondo in questi ultimi decenni: dai farmaci per l’Aids ai nuovi farmaci per l’epatite C, dagli anticoagulanti ai vaccini, dagli antibiotici agli antitumorali sino alla pillola anticoncezionale (forse quest’ultimo un po’ datato, ma sempre uno straordinario esempio). Che l’industria contrasti così fortemente la presa in carico da parte del Servizio Sanitario di usi off label di farmaci con efficacia e sicurezza ben documentata e utili alla salute pubblica è una battaglia di retroguardia che oscura tali importanti meriti. In presenza di studi di buona qualità è semplicemente irragionevole e incomprensibile rendere così difficile l’uso di farmaci off label in quanto lesivo del diritto alla salute e alla integrità fisica dei cittadini. Il nostro Paese può quindi essere orgoglioso del lavoro svolto dall’Antitrust e la gravità dei comportamenti svelati dall’inchiesta non può che essere motivo di preoccupazione e amarezza.
Cosa dicono le evidenze sul caso Avastin-Lucentis - una rapida sintesi
Dopo una lunga serie di studi di piccole dimensioni molti dei quali osservazionali fra il 2011 e il 2013 sono stati pubblicati due studi clinici randomizzati (sono il tipo di studi che ha maggiore probabilità di dimostrare differenze se queste esistono) indipendenti, di grandi dimensioni e di qualità metodologica adeguata che hanno effettuato un confronto diretto fra Avastin® e Lucentis® nel trattamento della DMLE: sono gli studi CATT e IVAN. Entrambi avevano un disegno fattoriale e vale a dire confrontavano sia i due farmaci sia due diverse modalità di somministrazione di entrambi e cioè quella mensile rispetto a quella al bisogno che comporta una somministrazione meno frequente di entrambi i farmaci in studio. Per i due studi è stata pubblicata un’analisi dei risultati dopo 1 anno e 2 anni di somministrazione e una analisi che raggruppa in un’unica valutazione i risultati di entrambi gli studi (metanalisi).
• Lo studio CATT che ha randomizzato 1.208 pazienti ai due farmaci Avastin® o Lucentis® (finanziato dal NIH statunitense quindi uno studio particolarmente rilevante anche perché indipendente cioè finanziato con fondi pubblici) i cui risultati hanno quindi maggiore credibilità per assenza di conflitto di interessi (Coi):
Efficacia (obiettivo principale dello studio): la sostanziale sovrapponibilità dei risultati in termini di miglioramento dell’acuità visiva (esito primario) e una ottima efficacia per entrambi i farmaci (bevacizuamb e ranibizumab) con la somministrazione mensile rispetto alla somministrazione al bisogno (indicativamente ogni 2 mesi).
Sicurezza: non si sono evidenziate differenze di rilevanza clinica rispetto agli eventi avversi dovuti alla somministrazione intravitreale e a quelli legati al meccanismo d’azione del farmaco (infarti del miocardio, ictus e mortalità per eventi vascolari). Si è invece osservata una maggior frequenza di eventi avversi gravi, non correlabili al meccanismo d’azione (ospedalizzazioni) ampiamente sottolineata nei documenti di AIFA che secondo gli autori dello studio e la maggior parte dei commentatori è da considerare dovuta al caso (vedi commento successivo). I dati a 2 anni hanno sostanzialmente confermato i risultati ad 1 anno.
• Lo studio IVAN su 610 pazienti (finanziato con fondi pubblici del programma di HTA inglese) presentano i seguenti dati a 2 anni:
Efficacia (obiettivo principale): l’efficacia si è dimostrata sovrapponibile tra i due farmaci (bevacizumab e ranibizumab) assunti mensilmente; una certa minore efficacia per entrambi i farmaci si è osservata nella somministrazione al bisogno rispetto a quella mensile.
Sicurezza: si è osservata una sovrapponibilità della mortalità per tutte le cause, degli eventi avversi trombotici di tipo arterioso correlati al meccanismo d’azione del farmaco (infarti del miocardio, ictus e mortalità per eventi vascolari), dei ricoveri per scompenso cardiaco e in generale di tutti i tipi di eventi avversi gravi.
• La metanalisi comprensiva dei risultati degli studi IVAN a due anni e CATT (risultati in parte a due anni parte ad un anno) pubblicata nel 2013 ha confermato i risultati precedentemente descritti:
Efficacia: nei pazienti trattati mensilmente Avastin® è risultato analogo a Lucentis® rispetto all’esito principale di efficacia. Nella modalità di somministrazione al bisogno per entrambi i farmaci i risultati sul miglioramento dell’acuità visiva sono risultati inferiori rispetto alla modalità di trattamento mensile; il trattamento continuo sembra comunque provocare più zone di atrofia retinica rispetto al trattamento discontinuo.
Sicurezza/rischi: nei pazienti trattati mensilmente si è osservata una mortalità simile tra i due farmaci e una analoga incidenza di eventi avversi trombotici di tipo arterioso correlati al meccanismo d’azione (infarti del miocardio, ictus) e una maggior frequenza di almeno un evento avverso sistemico grave.
Commento: La differenza riscontrata per gli eventi avversi gravi è molto aspecifica e non molto preoccupante in quanto questa categoria comprende tutti i ricoveri in ospedale (di qualunque tipo e per qualunque causa), che sono molto comuni in una popolazione molto anziana come quella affetta da AMD (80 anni età media). Questo dato è ben noto e proviene principalmente dallo studio CATT a 1 anno (non è infatti presente nei risultati dello studio IVAN) e fu spiegato fin dalla prima pubblicazione del CATT come effetto del caso o di uno sbilanciamento dei fattori prognostici non bilanciato dalla randomizzazione. L’asserzione che il maggior numero di eventi avversi complessivi osservati nei pazienti trattati con bevacizumab sia dovuta alle differenze farmacologiche fra i due farmaci e in particolare al fatto che ciò condiziona una maggior presenza di Avastin® in circolo non è avvalorata da dati.
Nella modalità di somministrazione al bisogno (discontinua) si è osservato per entrambi i farmaci un aumento della mortalità per tutte le cause rispetto alla somministrazione mensile.
Commento: Tale osservazione non plausibile dal punto di vista fisiopatologico (chi assume meno farmaco ha più eventi) attende una interpretazione e comunque non può essere imputata ad una aumentata tossicità dell’Avastin®.
Esistono poi studi osservazionali eseguiti negli stati Uniti ed in Canada dove Avastin® endovitreale viene ampiamente utilizzato. Di seguito ne vengono citati due di elevata numerosità:
Medicare Claims Database Study (Curtis LH, Hammi/1 BG, Schulman KA, Cousins SW. Risks of mortality, myocardial infarction, bleeding, and stroke associated with therapies for age-related macular degeneration. Arch Ophthalmol 2010; 128(10):1273-1279). Lo studio osservazionale retrospettivo ha valutato la mortalità per tutte le cause, i nuovi casi di infarto del miocardio, di stroke e di sanguinamento su una coorte di 146.942 soggetti > 65 anni trattati con iniezioni intravitreali di pegaptanib, ranibizumab o bevacizumab o con terapia fotodinamica (gruppo di controllo) fra gennaio 2004 e dicembre 2006. Lo studio non ha evidenziato differenze statisticamente significative nella mortalità, nei casi di infarto del miocardio, nei casi di stroke e nei sanguinamenti fra i trattamenti valutati
Studio canadese caso‐controllo sulla sicurezza dei due farmaci (Campbell R. J. Adverse events with intravitreal injection of vascular endothelial growth factor inhibitors: nested case‐control study. BMJ 2012; 345:e4203 doi: 10.1136/bmj.e4203 (Published 4 July 2012) condotto su una casistica di 91.378 pazienti ricoverati nella regione canadese dell’Ontario). Lo studio condotto utilizzando le diagnosi cliniche non ha evidenziato alcuna sostanziale differenza in termini di infarti del miocardio, ictus ischemici, casi di scompenso cardiaco congestizio e di trombo‐embolismo venoso nei pazienti esposti a bevacizumab o ranibizumab e nessuna differenza fra gli esposti all’uno o all’altro farmaco. Per quanto riguarda questo specifico riguardo, e cioè la sicurezza o il confronto degli effetti indesiderati dei due farmaci (in particolare il dato, preso molto seriamente da AIFA, dell’aumento aspecifico dei ricoveri per cause non attribuibili ai farmaci in questione, richiamato anche nella comunicazione di cancellazione di AVASTIN dalla L. 648) riportiamo quanto affermato nel rapporto tecnico dell'Agenzia Europea su Avastin e Lucentis pubblicato nel luglio del 2012, che dopo aver analizzato tutti gli eventi avversi degli studi al momento disponibili nonché le segnalazioni di farmacovigilanza così conclude (EMA/CHMP/332848/2012): "le informazioni dettagliate sulla sicurezza fornite dagli studi CATT e IVAN sono rassicuranti e non ci sono evidenze che il bevacizumab sia dal punto di vista sistemico meno sicuro del ranibizumab e viceversa". In altre parole, i dati sono rassicuranti e non ci sono differenze rilevanti tra i due farmaci.
Nel corso del 2013 sono stati pubblicati altri 3 studi indipendenti randomizzati di confronto tra Avastin® e Lucentis® effettuati in diversi paesi europei:
• studio MANTA (finanziato dal Sistema Sanitario Austriaco);
• studio GEFAL (finanziato dal Sistema Sanitario Francese);
• studio LUCAS (finanziato dal Sistema Sanitario Norvegese).
Questi studi confermano sostanzialmente i dati degli studi CATT e IVAN senza evidenziare alcuna differenza tra i due farmaci nei diversi parametri (outcomes) di sicurezza anche per quanto riguarda la frequenza di eventi avversi non correlati al meccanismo d’azione del farmaco.
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