Sei qui: Home Page / Area farmacista / Biblioteca / Informazioni sui farmaci / Consulta la Rivista / Anno 2015 / Numero 1 del 2015 / Novità 2015
La caratteristica più immediatamente evidente di questa nota che inaugura la nuova annata di IsF è certamente il suo formato. Si è pensato che fosse bene sostituire, almeno per una volta, quello ormai classico (chi sa se ancora valido …) di una riflessione che confronta i contenuti del numero del Bollettino con le informazioni, le novità, le sottolineature che appaiono rilevanti nella letteratura e/o nella cronaca internazionale, con l’indicazione ed il rimando-invito alla lettura di tre contributi che, per ragioni diverse ma complementari, sembrano particolarmente degni di attenzione. Vere e proprie “novità”, come segnalato dal titolo, che ne fa un indicatore di una novità che si prolungherà per il 2015.
1. Inizia con questo numero la collaborazione (pag. 22) (che si confida possa essere regolare, e fonte di dialogo) con uno dei medici di medicina generale che più ha contribuito lungo tanti anni, con le sue riflessioni e la sua pratica assistenziale e di ricerca (a livello personale, e come parte del collettivo dello CSeRMeG) a mantenere viva e dialettica una identità originale della MG: quella di essere produttrice, e non prevalentemente consumatrice, di conoscenza.Gli abbiamo chiesto dunque non di produrre “aggiornamenti” per la MG, ma di raccontare, dall’interno della pratica quotidiana, i suoi dis-incontri: con i farmaci, i problemi, gli immaginari, i percorsi assistenziali, le domande aperte, le contraddizioni, le proposte. Esplicitando – a partire da, e riconducendo tutto alla presa in carico, individuale e collettiva, dei pazienti-cittadini – ciò che di specifico sembra essere rilevante per una medicina generale non rassegnata al crescente carico amministrativo e di rendicontazione. Con narrazioni libere, quanto più radicate in un aggiornamento puntuale, ma non necessariamente “obbediente”.
2. Una seconda, diversa, ma ugualmente “nuova” presenza, è quella rappresentata da una “lettera d’intenti” (pag. 26), molto stimolante, e densa di impegni che apre la collaborazione con il mondo infermieristico. Anche in questo campo le attese non sono tanto quelle che possono derivare da “temi infermieristici”, che certamente sono peraltro rari nella letteratura di informazione sui farmaci. Si vorrebbe piuttosto sperimentare un “aggiornamento” proposto dall’interno della cultura-professione infermieristica che abbia due obiettivi precisi (esemplificati degli scenari presentati dall’autrice della nota):
a. la sperimentazione di una comunicazione che corrisponda a logiche-linguaggi-priorità non prevalentemente “medici”, come è il caso di quasi tutta la informazione sui farmaci;
b. la definizione-trattazione progressiva di una mappa di priorità di ricerca (condotta direttamente e specificamente da infermiere/i, e collaborativa con i diversi attori della “cura”) che permettano di verificare se e quanto il riconoscimento di ruoli crescentemente autonomi del personale infermieristico, si può di fatto tradurre, nel campo dei farmaci ma più in generale nei percorsi di “presa in carico”, in conoscenze-pratiche effettivamente innovative e garanti di qualità-appropriatezza.
3. La terza novità (pag. 12) può a prima vista non apparire come tale, anche perché il suo formato è quello di un aggiornamento che è centrato su farmaci, e rimanda a quella classica di una “bussola”, per quanto “atipica” nel suo concentrarsi su un problema-patologia come la sclerosi multipla. La novità da sottolineare è di fatto la situazione di esemplarità che questa patologia ha assunto nell’ambito più generale delle gestione di tante conoscenze-proposte terapeutiche per un problema che nel suo complesso sembra ancora sostanzialmente orfano di strategie di gestione terapeutico-assistenziali coerenti con le sue caratteristiche di patologia con forti margini di incertezza, sia a livello conoscitivo che assistenziale.
La sclerosi multipla sembra di fatto rimandare ad un vecchio interrogativo di IsF di fronte a tanti farmaci di cui sono “relativamente noti” i profili singoli, ma di cui è difficile scorgere le “evidenze” che ne permettano una utilizzazione strategica orientata alla patologia-popolazione per le quali sono state sviluppate: la registrazione – con tutte le sue implicazioni operative, e di economia – è un punto di arrivo, o di partenza? Da parte di quali “ricercatori”? e con quali promotori? La tabella attorno alla quale si articola il contributo che qui ci interessa (pag. 12) fornisce una prima base per la formulazione di alcune domande precise, e che richiedono di fatto di tradurre la “disponibilità” di tanti farmaci in protocolli che facciano coincidere “buone pratiche assistenziali” con progetti di ricerca, più che con linee-guida cui essere “aderenti-obbedienti”.
a. a quando “evidenze” realmente comparative tra i tanti prodotti: come singoli, ma soprattutto come sequenze?
b. a quando – sullo sfondo del punto a – evidenze sul medio-lungo periodo?
c. a quando risultati programmaticamente pensati e ricercati come integrazione di marcatori biologici-strumentali e di qualità/autonomia di vita?
d. a quando la consacrazione di una frazione dei budget di spesa pubblica per questi farmaci per permettere-produrre valutazioni sperimentali/epidemiologiche/assistenziali indipendenti che rispondano alle domande a–c, e che siano l’espressione della assunzione di responsabilità dell’incertezza-ignoranza da parte dei curanti (come dovere professionale, curiosità di ricercatori, originalità metodologica, modi di relazionarsi alle/ai pazienti)?
e. a quando protocolli, come quello immaginato in d, che siano un prodotto così collaborativo con pazienti così ben “stratificati” (il termine tecnico potrebbe meglio essere tradotto in “riconosciuti”) per età di inizio, storia pregressa, cultura, da rendere superflua la formalità (così ovviamente anche fuorviante specie in questo, e simili casi) del “consenso informato”?
Sarebbe ovviamente bello pensare che questa novità possa interagire con le altre due: e che, insieme, possano essere l’occasione di documentare che solo dando priorità al “non so ancora” si produce anche informazione.