Come è ben noto, i dati di consumo di farmaci sono un indicatore molto grezzo (ma molto concreto, specificamente in un SSN che ne prevede la rimborsabilità) della epidemiologia assistenziale della popolazione degli “aventi bisogno” di trattamenti che si ritengono e/o sono stati giudicati appropriati secondo i criteri accettati di efficacia e sicurezza.
Come tutti gli “indicatori”, anche quello delle “dosi giornaliere definite” (DDD) che risultano attribuibili ai “portatori di bisogno”, possono definire la realtà dei pazienti solo come un dato che non dice nulla né sull’efficacia attribuibile, dal punto di vista farmacologico, né, tanto meno sulla storia dei pazienti.
In campo psichiatrico è ulteriormente noto che i profili di efficacia reale e sul lungo periodo sono particolarmente “deboli” in termini di “evidenze”, e ancor più in termini di appropriatezza.
Forse è proprio per queste ragioni – che definiscono chiaramente un’area di grande incertezza e problematicità, che corrisponde peraltro al consenso sostanziale della letteratura – che è sembrato utile proporre come quadro di riferimento per questo dossier, due tabelle che presentano dati amministrativi tipici di programmi di valutazione: sono ovviamente e provocatoriamente generici al di là dei pochi commenti che li accompagnano.
Sono dati “locali”, di una realtà che ha una lunga, e speciale, tradizione nel campo della psichiatria. Li si possono considerare rappresentativi di una buona parte delle realtà assistenziali. Non hanno bisogno di molti commenti. Il messaggio riassuntivo che si vorrebbe emergesse da questi dati molto “fattuali” è tuttavia ragionevolmente riassuntivo di quanto promette il titolo di questa sezione di dossier.
1) Lo scenario degli psicofarmaci – non solo quelli più specificamente indicati per le problematiche riconducibili alla psichiatria, nel suo senso lato – è uno dei più immobili, dal punto di vista della disponibilità di scelta delle molecole. Al di là del “salto” farmacologico verificatosi nell’ultima decade del secolo scorso, con l’arrivo, quasi parallelo, da una parte degli antipsicotici “atipici”, e dall’altra degli SSRI, non è successo nulla. I dati “recenti” scelti per la tabella sono di fatto il riassunto fedele di questa stabilità, che riguarda sia contenuti che ultime “novità commercialmente disponibili”.
2) Sembrerebbe di trovarsi di fronte ad una stabilità tipica di una situazione soddisfacente di copertura dei bisogni, tanto da non essere neppure più attraente per il mercato e gli investimenti (come può essere, più o meno, quella ad esempio della ipertensione). La letteratura più aggiornata (evidentemente sempre più solo attraverso metanalisi, review periodiche, linee guida, in assenza di nuovi trial rilevanti) dice tuttavia che questo non è il caso. Senza voler essere particolarmente critici, le “nuove” classi di antipsicotici e di antidepressivi non corrispondono a “novità” terapeutiche sostanziali, né per efficacia né per sicurezza.
3) È normale in questo senso non prevedere in questo dossier un ulteriore “aggiornamento”. Qualsiasi fonte informativa “decente” è consultabile senza problemi, e fornirebbe informazioni sostanzialmente equivalenti.
Il punto più critico – anche questo ben riconosciuto – è la constatazione che nessuno dei farmaci delle due categorie considerate è risolutivo dei problemi che sono oggetto di intervento, in un modo che sia ragionevolmente predittivo di efficacia a livello di singoli [sottogruppi di] pazienti pur essendo molto più prevista, ma accettata/subita/praticata la tossicità, spesso molto grave-gravosa.
4) La situazione così descritta – certo semplificata, ma non troppo – corrisponde al dato altrettanto noto che, nonostante tutti i progressi relativi a recettori, mediatori, descrittori funzionali cerebrali, genetica e biologia molecolare, la “malattia mentale” e/o il “disagio del vivere” continuano ad essere tra le aree più ignote in termini di causalità, meccanismo e vie di espressione, storia “naturale”, espressioni specifiche per età (vedi più avanti in questo dossier).
5) È molto chiara, ed indiscussa, la fortissima dipendenza dei problemi di cui qui si parla – a livello causale, predittivo, curativo, riabilitativo – da determinanti di “contesto” (tutto il loro spettro: socio-economico, culturale, lavorativo, …). L’interfaccia-interrelazione tra gli interventi farmacologici e questo contesto è molto esplorata nelle riviste del settore, ma con una qualità metodologica per lo più molto discutibile, e con margini molto precari di comparabilità tra paesi e sistemi di assistenza. I risultati, in termini di attribuibilità delle conoscenze ai singoli pazienti, e/o alle categorie diagnostiche, sono ancora tutt’altro che soddisfacenti. Le “raccomandazioni” sono tante, spesso molto “evidenti” fino all’ovvio (… come quelle che dicono, nel vivere oggi, che, per la salute, la povertà e/o la diseguaglianza sono un e/o il vero problema): la loro traducibilità in pratiche efficaci ed accessibili è tra le cose meno facilmente applicate e/o applicabili. Per le ragioni note: della carenza crescente di “servizi” pensati ed equipaggiati per dare spazio, tempo, accoglienza alla variabilità dei bisogni (a tutti i livelli, dalla medicina generale, alla psichiatria, alle prese in carico infermieristiche e/o sociali); dalle situazioni socioeconomiche che penalizzano chi meno ha “risorse” nelle proprie reti sociali; per un indubbio effetto di una “decrescita” del senso di comunità ed appartenenza, dentro e fuori le istituzioni.
Si ringrazia l'Ufficio Farmaceutico della ausl di Reggio Emilia per i dati forniti.