All'ascolto dei Bollettini di Informazione sui farmaci
Navigando tra le varie fonti informative sullo stato delle conoscenze disponibili in letteratura per quanto riguarda le “novità” nel settore delle terapie psichiatriche, si sono incrociati contributi particolarmente significativi, sia dal punto di vista dei contenuti, che della metodologia di informazione in due ambiti particolarmente importanti, ed altrettanto specificamente trascurati: quello delle terapie psichiatriche nell'età evolutiva; quello dei profili di rischio-tossicità.
In entrambi i casi, i contributi hanno come autori, colleghi-esperti che “da una vita” (come si dice) sono responsabili di pubblicazioni riconosciute da ISDB. Si è preferito dunque lasciare a loro direttamente la parola (anche se in modo molto diverso per ragioni di spazio).
Il primo caso è una riflessione che riproduce il titolo (e lo spirito) di un editoriale recente sul BMJ, molto coerente con il quadro generale già delineato nel dossier. Mette in evidenza che il dato più preoccupante di quella che un tempo si chiamava “psicofarmacologia” è la sua sostanziale alterità/distanza dai problemi reali dei pazienti e della società [è interessante notare che questa tematica, ripresa e dettagliata anche su R&P (2017; 33:247-261), è oggetto anche di un rapporto in parallelo sull’Espresso del 25 gennaio].
Del secondo caso sono autori i tre responsabili senior dei Bollettini di Informazione indipendente di Cataluña, Navarra e del Paese Basco con un dossier molto importante e documentatissimo che è ispirato da un libro pubblicato in Francia, da una donna, Marine Martin, ed è diventato un “caso” internazionale, nella società e a livello delle autorità regolatorie. Si “racconta” l’enormità “scandalosa” che sta dietro l’avvertenza ben nota, ma, sempre tenuta a livelli di sussurro e raccomandazione di routine, di essere attenti agli effetti dell’acido valproico se assunto in gravidanza (vedi anche le numerose Note Informative diffuse da AIFA). Il tema è chiaramente “marginale” per questo dossier, anche se l’acido valproico, non presente nelle classiche liste sopra riportate secondo le classificazioni ATC, è una presenza (stabile? crescente?) nella psichiatria per varie situazioni cliniche di “disturbo dell’umore”.
Ma la storia è tutta da leggere: per la gravità di quanto racconta: soprattutto come un modello di quanto, in questo settore specifico della patologia neuropsichiatrica, il futuro può avere speranza solo se la società se ne fa carico, come un compito di civiltà e democrazia, più che come l’attesa di risposte “delegate”, per efficacia e sicurezza, alla medicina ed alle autorità regolatorie.