Gli ACE-inibitori sono farmaci “imbattibili”1, di prima scelta, da preferire ai sartani e gli inibitori della renina, per migliore rapporto beneficio/costo in tutti gli scenari clinici in cui sia richiesta una inibizione del sistema renina-angiotensina: ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco, nefropatia diabetica e prevenzione secondaria cardio-cerebrovascolare. Questa considerazione, basata su evidenze solide e incontrovertibili, non è per nulla, e comprensibilmente, condivisa dalle ditte produttrici, impegnate mai come in questi ultimi tempi in una lotta commerciale intra-classe (ACE-inibitori contro ACE-inibitori: leggasi zofenopril vs ramipril in questo stesso numero di IsF a pag. ) e inter-classe (olmesartan contro ramipril oggetto del commento e aliskiren contro tutti, ACE-inibitori e sartani2).
Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, il ramipril va considerato uno degli ACE-inibitori di riferimento: è il meglio documentato (per numerosità di studi e di pazienti arruolati nonché per durata del trattamento), si è dimostrato efficace su esiti clinicamente rilevanti, possiede tutte le indicazioni e ha un costo tra i più bassi dell’intera classe (5,3 euro al mese alla dose media di 5 mg/die). Sarebbe quindi auspicabile ritrovarlo ai primi posti della prescrizione e così in effetti è. L’ultimo rapporto sull’uso dei farmaci in Italia conferma come il ramipril sia in assoluto il principio attivo più utilizzato tra gli inibitori del sistema renina-angiotensina (54 DDD/1.000 abitanti/die) con una spesa annua di 122 milioni di euro3. Lo stesso rapporto indica tuttavia come al primo posto in termini di spesa vi sia un sartano, anzi l’”ultimo dei sartani”: l’olmesartan3. Pur prescritto in quantitativi molto più bassi rispetto al ramipril, lo precede come spesa totale, avendo un costo mensile più di 5 volte superiore.
Non v’è dubbio che una delle ragioni che hanno favorito l’ascesa di olmesartan va ricercata negli strumenti di informazione tendenti ad esaltare i vantaggi di olmesartan consegnati ai medici di medicina generale negli incontri di presentazione/promozione del farmaco. Una brochure, in particolare, è interamente dedicata alla presentazione dello studio ESPORT, secondo i cui risultati olmesartan risulterebbe superiore al ramipril4. Una lettura della versione integrale dello studio consente di evidenziare alcune forzature, probabilmente sfuggite al TUV/SUD, fantomatico organismo citato in prima di copertina, preposto alla verifica della Conformità a Linee Guida per la certificazione delle attività di informazione scientifica. ESPORT è uno studio multicentrico italiano, randomizzato, in doppio cieco, della durata di 12 settimane, sponsorizzato da Guidotti e Malesci (le ditte che commercializzano olmesartan in co-marketing) che ha confrontato l’efficacia e la sicurezza di olmesartan e di ramipril in circa 1.100 pazienti di età ≥ 65 anni con ipertensione essenziale5. Le dosi iniziali di olmesartan (10 mg) e di ramipril (2,5 mg), dopo 2 e 6 settimane potevano essere raddoppiate (sino a 40 mg e 10 mg) per raggiungere valori pressori ottimali.
La brochure afferma testualmente: “Lo studio ESPORT è il primo trial di confronto diretto che ha dimostrato la maggiore efficacia antipertensiva di un ARB rispetto ad un ACE inibitore in una vasta popolazione di anziani”4, ma non ne rispecchia le conclusioni originali prive di qualsiasi valutazione comparativa: “negli anziani ipertesi, olmesartan garantisce un efficace, prolungato e ben tollerato controllo pressorio, prefigurandosi come una utile opzione tra i farmaci di prima-linea nel trattamento antipertensivo di questi pazienti”5. Dall’obiettivo dichiarato e dalle informazioni contenute nella brochure parrebbe di capire che si tratta di uno studio “di superiorità”, ma in realtà lo studio intendeva dimostrare l’equivalenza tra i due farmaci. L’olmesartan poteva dirsi equivalente al ramipril se le differenze tra i valori di pressione sistolica e diastolica rilevati dopo 12 settimane di trattamento (end point primario) non avessero superato rispettivamente i 3 e i 2 mmHg. Così è stato e le conclusioni dovevano essere coerenti. Non è corretto utilizzare strumentalmente una differenza a favore di olmesartan, ricompresa in questo intervallo di equivalenza, per dichiararne la maggiore efficacia.
Inoltre, la misura di esito considerata - abbassamento della pressione arteriosa - resta un end point surrogato in quanto non predittivo di possibili eventi clinici ad essa collegati. Il vero obiettivo di un trattamento antipertensivo è la riduzione degli ictus e degli infarti miocardici nonché della mortalità correlata e in tal senso uno studio di sole 12 settimane su poco più di 1.000 pazienti non può dire nulla.Ciò vale per l’olmesartan, perché per il ramipril dati di efficacia su questi parametri sono già disponibili. La brochure afferma poi che: “Sia olmesartan sia ramipril sono stati ben tollerati, ma il primo è associato ad una più bassa percentuale di tosse, che era il più comune fra gli eventi avversi registrati nel gruppo trattato con ramipril”4, ma si tratta di un’informazione parziale. Sotto il profilo della tollerabilità i due farmaci sono risultati sovrapponibili con la stessa incidenza di effetti indesiderati (3,6%, pari a 40 pazienti di ciascun gruppo). È vero che nei pazienti trattati con ramipril la tosse è stata più frequente (peraltro interessando solo 13 pazienti su 553), ma è altrettanto vero che nel gruppo olmesartan si è osservata una incidenza molto più alta di vertigini e capogiri (4 casi vs 2), ipotensione (3 casi vs nessuno), astenia (2 casi vs 1), deambulazione instabile (1 caso vs nessuno)4, eventi avversi che in un anziano (la popolazione di riferimento candidata ad un impiego preferenziale di olmesartan) possono aumentare il rischio di cadute e risultare perciò pericolosi.
Per completezza di informazione, sempre in termini di sicurezza, è opportuno ricordare che in altri contesti clinici diversi dall’ipertensione l’olmesartan è uscito “male”. In uno studio successivo all’ESPORT, denominato ROADMAP, della durata superiore a 3 anni, olmesartan, impiegato in oltre 4.400 pazienti con diabete di tipo 2 per ritardare o prevenire la proteinuria, si è associato ad un aumento significativo, e “preoccupante” secondo gli autori, della mortalità cardiovascolare rispetto al placebo6. Analogo aumento della mortalità cardiovascolare (10 decessi contro 2 con placebo) è stato rilevato in un altro studio recente, ORIENT, realizzato in 577 diabetici nefropatici con l’obiettivo di ridurre l’incidenza di insufficienza renale terminale7. Tutto ciò non può che rinsaldare la decisione di affidarsi sempre a farmaci collaudati e diffidare delle “imitazioni”, anche se di ultima generazione e apparentemente migliori.
Bibliografia
1. McMurray JJ. ACE-inhibitors in cardiovascular disease-unbeatable? New Engl J Med 2008; 358:1615-6.
2. Miselli. M. Rasilez: ciò che non viene detto. IsF 2012; 36:78-79.
3. AIFA. Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed). L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto Nazionale gennaio-settembre 2012.
4. Lo studio ESPORT. Depliant Guidotti.
5. Malacco E et al. Antihypertensive efficacy and safety of olmesartan medoxomil and ramipril in elderly patients with mild to moderate essential hypertension: the ESPORT study.J Hypertens 2010; 28:2342-50.
6. Haller H et al for ROADMAP Trial Investigators. Olmesartan for the delay or prevention of microalbuminuria in type 2 diabetes. New Engl J Med 2011; 364:907-17.
7. Imai E et al. for ORIENT study investigators. Effects of olmesartan on renal and cardiovascular outcomes in type 2 diabetes with overt nephropathy: a multicentre, randomized, placebo-controlled study. Diabetologia 2011; 54:2978-86.
Data di Redazione 04/2013