Alla radice di questo editoriale c'è una domanda che verosimilmente sta (o per lo meno dovrebbe stare) al centro delle preoccupazioni e della pianificazione di chi lavora attorno ai temi dell'informazione sui farmaci: "come fare a garantire un collegamento serio tra il rigore dell'informazione farmaco-orientata e la cultura (priorità, aree di interesse, contenuti) complessiva di medicina-sanità?" La domanda è senz'altro, da un lato, ovvia, dall'altra a rischio (proprio per la sua ovvietà) di essere presa come ridondante, o marginale: il fatto stesso di formularla, può infatti coincidere con la fiducia di essersi vaccinati contro il rischio di una attenzione troppo specialistica.
Le implicazioni molto pratiche - per i contenuti, lo stile, la pianificazione del lavoro - del dare o meno un peso non-ovvio alle domande sopra formulate sono tornate alla mente in modo particolarmente preciso leggendo un numero di Lancet (02/08/03).
Ovviamente non rappresentativo dal punto di vista del campionamento quantitativo rispetto alla letteratura disponibile, il numero proponeva una serie di spunti-provocazioni-contributi, che sembravano programmati per essere letti come altrettanti tessere di un mosaico semplicemente in attesa di prendere forma.
La riflessione che segue non è altro che una guida a questo processo, attraverso la lettura del numero citato diLancet.
1 - Il titolo dell'editoriale (p. 339) non poteva essere più provocatorio e pertinente: "Is science stuck in the Middle Ages?". La tesi è molto diretta: la formazione dei ricercatori e la comunicazione del sapere sembrano tuttora riprodurre la trasmissione da maestro ad allievo che era stata la grande forza delle "botteghe" dei saperi che, senza preoccuparsi di tempi-scadenze-ampiezza di diffusione, miravano soprattutto ad assicurare una identità originale di percorsi-scuola. Si è, di fatto, all'opposto di quanto oggi sembrerebbe necessario: per la gestione attiva delle masse critiche di dati che, sempre più numerosi vengono proposti con turnover sempre più rapidi, sono necessarie una cultura ed una pratica di interpretazione ed uso dei dati che vedano tante "botteghe" interagire, discutere, mescolarsi, differenziarsi, riaggregarsi in modo da garantire una maggiore e più tempestiva coerenza tra la tecnologia che moltiplica i dati descrittivi e l'intelligenza che può favorirne la traduzione in passi in avanti significativi (=rilevanti e capaci di senso).
2 - Una prima conferma di questo bisogno di intelligenza è proposta dai due "commentari" (pag. 340-341) dedicati alla genomica predittiva in campo oncologico e al documento programmatorio sulla ricerca genetica pubblicato in UK, con uno sforzo collaborativo transdisciplinare particolarmente importante: "quantità/misure/markers, più o meno combinati (nei numeri successivi di Lancet c'è una ripresa particolarmente suggestiva di questo tema, parlando di nanotecnologie) devono portare ad un salto qualitativo nel modo di guardare alla realtà. Non si può essere spettatori di qualcosa che via via succede. E' importante porsi le domande, per quanto complesse, su quali sono i bisogni, e al loro interno, le priorità e le implicazioni delle risposte.
3 - Il terzo passo nella riflessione è associato ad un titolo che sembra introdurre un tema totalmente "altro": "Power Point: shot with its own bullets" (pag. 343). Il testo è molto simpatico: vale la pena di leggerlo (vista per di più la "dipendenza" comunicativa ormai epidemica da PP e tecniche simili). Interessa qui solo un rimando alla sua tesi di fondo: la logica del PP (che ha gli ovvi e notissimi pregi), rappresenta un rischio sottile e profondo per la condivisione dei pensieri non riconducibili a "spot", a frammenti di comunicazione: si comunica per far memorizzare, per dar l'idea di cammini conclusi: non si provoca ad entrare nei percorsi, nella gestione dei processi, nell'introiezione di progettualità, che coinvolgono persone e non mettano solo in connessione dati.
4 - Il "punto di vista" (pag. 400) rilancia, a partire dal caso concreto della genomica, la domanda più ovvia e più di fondo: ma non dovrebbe essere la ricerca di risposta ai bisogni reali il criterio discriminante per dirigere e misurare la priorità della ricerca, al di là della curiosità imprescindibile del conoscere? La lettura [anche] di questo testo - non lungo - è utile per due motivi complementari:
per incrociare la tematica delle strategie attuali di ricerca sui farmaci fortemente ripetitive, ed il senso della decisione di lanciare un'iniziativa internazionale di Medici Senza Frontiere per lo sviluppo di farmaci per malattie "lasciate da parte" dal mercato, in collaborazione con Agenzie pubbliche e capitali privati;
per ricordarsi che l'attenzione che da tante parti si dà all'etica ha senso solo se dell'etica si ricorda il termine più forte e certo di riferimento, che ricorre fin dal titolo di questo contributo: "equitable".
5 - Gli articoli "originali" di ricerca, così come la parte dedicata alla cronaca, completano il mosaico riportando drasticamente la riflessione ad essere il riflesso e l'eco del quotidiano. 5.1 - Il primo posto dei contributi di ricerca (pag. 345), ripreso da una lettura dello stesso tema in termini di salute pubblica (pag. 395), è occupato dai risultati di una indagine sulla gestione della "fine della vita" in sei Paesi europei, e sull'eutanasia in Olanda. 5.2 - La cronaca (pag. 375-377) documenta puntigliosamente la coincidenza drammatica in sanità tra diseguaglianza sociale, perdita di sicurezza assistenziale, tagli di fondi per i bisogni di base. 5.3 - Le politiche di registrazione di farmaci (FDA) e quelle dell'agenzia di ricerca più importante del Paese (NIH) che determina sempre di più con il peso del suo mercato le scelte nel campo della ricerca biomedica (e molto specificamente in quello dei farmaci), sono di fatto lo specchio delle priorità non della medicina, ma della società economico-politica (pag. 379-381): la velocità crescente (!) di registrazione è la parola d'ordine, pur in assenza di innovazione; tra le voci che più attraggono-sequestrano-creano fondi ha un ruolo ormai permanente ed altissimamente competitivo la "ricerca" legata al bioterrorismo. 5.4 - Nelle "riserve" di un popolo da museo negli USA (gli indiani Navajo-Apache) si documenta, con il rigore di un trial rigorosamente compliant con la Good Clinical Practice, l'efficacia del vaccinoantipneumococcico (pag. 355).
[* Post-scriptum /Nota bene]
1. Non è difficile, per chi vuole, verificare che il numero di Lancet non è atipico. Nel primo numero del mese successivo, ad esempio:
protagonista dell'Editoriale è la trattativa sui brevetti/patenti nel contesto del WTO;
la sezione "commentari" e "ricerche originali" sono letteralmente occupati dalle terapie cardiovascolari, per scompenso e patologia coronarica: "novità"? conferme? chiarificazioni? Tutte hanno un segno di priorità: per chi?
la ricerca di base scopre un'apparente/inattesa/misteriosa contiguità/coincidenza (a livello genetico) tra patologie psichiatriche da sempre "attribuite" a basi biochimiche (e trattate con terapie) diverse. E adesso: tutta la EBM su questi problemi?
il "department of medical education" (pag. 822-830) propone esplicitamente la sfida (anche con esempi molto belli e pratici) di rileggere la formazione medica alla luce di "global health issues".
2. Il Lancet non è certo la verità. Come nessun altra rivista, con alto o basso impact factor. E', certo, un buon punto di incrocio e di osservazione, con caratteristiche di credibilità non disprezzabili. Può essere legittimo - non per "dimostrare" qualcosa, ma almeno per riflettere - provare a trarre alcune indicazioni.
Conclusioni: ovvie, ma da non scartare 1 - Informare sui farmaci è sempre più un "mestiere" pieno di interesse, centrale sul doppio scenario della medicina e della società. Il rigore dell'informazione è d'obbligo: non tanto per garantirsi un aggiornamento sull'ultimo dato, quanto per restare-crescere in una cultura-metodologia dove i particolari sono interpretati dai contesti ed il disincanto è una vaccinazione obbligatoria.
2 - Il Medio Evo è stato tutt'altro che tempo di buio (ce lo ricordano molto bene, proprio di questi tempi, le grandi mostre di Parma e Siena, commentate, tra gli altri, dai supplementi domenicali settembrini del Sole 24 ore, che possono essere più informativi del Sole 24 ore sanità): nelle sue "botteghe" - laboratori di ricerca - cresceva la coscienza di essere cittadini, portatori di diritti, di lingua, di dignità (V. testo di C. Frugeni, nel Supplemento del 21/09/03).
3 - Una saggia mescolanza di Medio Evo e Power Point dovrebbe caratterizzare la cultura, le tecniche, i progetti di chi lavora nell'informazione sui farmaci; così che chi li prescrive/usa sappia di essere attore di una scena che non riflette solo scambi mercantili, ma racconta che cosa succede ai bisogni-diritti dei cittadini. Farmacoepidemiologia, farmacovigilanza, farmacoeconomia (oltre ai RCT) potrebbero beneficiare di questo invito a combinare efficienza e tempo-non-affrettato.
4 - Sarebbe proprio interessante vedere che cosa succederebbe all'informazione sui farmaci -contenuti, stili, criteri di presentazione e valutazione - se lettori e redazioni di bollettini specialistici si ricordassero di dialogare e di dover essere competenti-informati sul mondo di cui i farmaci fanno parte. Più complesso? più dispersivo? meno misurabile in termini di accoglienza, impatto? Semplicemente più reale? Certo - o almeno probabilmente - meno ripetitivo e noioso dell'accorgersi che l'"uso razionale", "secondo le linee guida", rimane escluso (per chi volesse il confronto di una citazione sul "rischio di sbadiglio" , che minaccia e rende vana la cultura dell'appropriatezza ordinata si puo' consigliare un articolo, del [ancor più autorevole di Lancet] New England Journal of Medicine: Jencks S. The right care. 2003; 348: 2251-2252.