Effetti indesiderati gastrointestinali e cardiovascolari dei COX-2 inibitori
I dubbi rimangono nonostante i nuovi studi
Albano Del Favero
In questi ultimi due anni sono comparsi nella letteratura scientifica molti articoli e rassegne sugli inibitori selettivi della COX-2, sia quelli già in commercio nel nostro paese celecoxib e rofecoxib, sia quelli in procinto di esserlo (parecoxib, valdecoxib). Anche il bollettino se ne è già occupato in due occasioni a distanza ravvicinata (giugno 2002, dicembre 2002), soprattutto per analizzare il profilo di tollerabilità di celecoxib e di rofecoxib. E' possibile ora, anche sulla base dei più recenti studi pubblicati, e non ricompresi negli articoli precedenti, definire un profilo complessivo del rapporto beneficio/rischio di questi farmaci delineandone il possibile ruolo terapeutico? Quando e a chi prescrivere gli inibitori selettivi della COX-2?
Effetti gastrointestinali
La maggior parte delle informazioni di cui disponiamo su celecoxib e rofecoxib provengono dai due studi randomizzati di grandi dimensioni, il CLASS e il VIGOR, già ampiamente commentati, in cui l'efficacia e la sicurezza dei due farmaci è stata confrontata con vari FANS non selettivi: secondo gli autori, i due farmaci hanno dimostrato di possedere una efficacia simile ma un rischio minore di complicazioni gastrointestinali1,2.
Purtroppo, contrariamente a quanto riportato nell'articolo originale, l'analisi dei dati dello studio CLASS effettuata dall'FDA sull'intero periodo dello studio, e non solo sui primi 6 mesi, non ha dimostrato che il celecoxib possieda un'incidenza di complicazioni del tratto gastrointestinale superiore significativamente più bassa rispetto a ibuprofene e diclofenac. Tutto lo studio è stato da più parti fortemente criticato sia per il disegno sia per l'analisi dei dati sia per come sono stati presentati i risultati e gli autori dello studio sono stati accusati di aver pubblicato dei risultati a breve termine (accorpando i risultati di protocolli diversi) da cui emergeva una valutazione eccessivamente ottimistica, omettendo i dati più deludenti. Le controdeduzioni degli autori ai rilievi mossi allo studio sono state poco convincenti3,4,5 e la Ditta produttrice, Pharmacia, continua per di più a presentare ai medici i risultati a breve termine provenienti dall'accorpamento di diversi protocolli dello studio SUCCESS 1, che ha fatto seguito al CLASS, condotto in vari paesi con farmaci di confronto diversi3-5.
Anche con lo studio VIGOR vi sono stati problemi di interpretazione dei risultati2. Infatti, nel gruppo trattato con rofecoxib gli effetti indesiderati a carico del tratto gastrointestinale superiore sono stati significativamente inferiori rispetto al naproxene ma, nello stesso tempo, si sono manifestati inaspettatamente molti più eventi cardiovascolari gravi, rendendo incerta la valutazione della sicurezza del farmaco. Una volta presentati i dati dello studio nel suo complesso e inclusi tutti gli effetti indesiderati gravi (e non solo quelli a livello gastrointestinale), è emerso che in generale gli effetti indesiderati gravi erano meno frequenti nel gruppo trattato con naproxene (7,8% vs. 9,3%) a causa della minore frequenza, in questo gruppo, di effetti indesiderati cardiovascolari gravi.
Le ragioni della diversa incidenza di complicazioni del tratto gastrointestinale superiore fra celecoxib e rofecoxib non sono chiare ma sono state avanzate alcune ipotesi. Innanzitutto, nello studio CLASS, a differenza dello studio VIGOR, il 20% dei pazienti utilizzava contemporaneamente aspirina aumentando il rischio di danno gastrointestinale. In secondo luogo nello studio CLASS è stato utilizzato come farmaco di confronto il diclofenac, che presenta una selettività per la COX-2 superiore a quella del naproxene. Terzo, il dosaggio di celecoxib utilizzato nel CLASS era troppo alto, tanto che la selettività per la COX-2 potrebbe esserne stata ridotta. Infine, anche la selettività per la COX-2 del celecoxib è inferiore. Perciò, considerate le rilevanti differenze nel disegno degli studi e nell'analisi dei risultati, non è possibile confrontare in modo affidabile i due farmaci sulla base di questi due soli studi; sarebbe necessario invece un confronto diretto in uno studio di esito di ampie dimensioni6.
Per aiutare a chiarire questo aspetto sono particolarmente interessanti due recenti pubblicazioni: una rassegna sistematica con metanalisi degli studi randomizzati che hanno valutato la sicurezza gastrointestinale del celecoxib7 e uno studio di coorte retrospettivo che ha confrontato l'incidenza di emorragie del tratto gastrointestinale superiore in una popolazione di oltre 40.000 anziani (di età uguale o superiore a 65 anni) che in precedenza non avevano mai fatto uso di FANS non selettivi o di celecoxib e rofecoxib rispetto ad una popolazione di 100.000 anziani non esposti ad antinfiammatori8. La rassegna sistematica ha incluso tutti gli studi clinici randomizzati, pubblicati e non, che avevano confrontato un trattamento di almeno 12 settimane con celecoxib, con placebo o con un FANS tradizionale (diclofenac, naproxene, ibuprofene). Su 17 studi, 9 soddisfacevano i criteri di inclusione per un totale di 15.187 pazienti. Come misura della tollerabilità gastrointestinale è stato utilizzato il numero di sospensioni del trattamento in seguito a comparsa di effetti indesiderati gastrointestinali, di ulcere confermate endoscopicamente e di ulcere complicate.
Rispetto ai pazienti che assumevano FANS non selettivi, nei pazienti trattati con celecoxib l'incidenza di sospensioni del trattamento in seguito a comparsa di effetti indesiderati gastrointestinali dopo 12 settimane di trattamento è risultata più bassa (rispettivamente 3,2% vs. 6,2%) ma non è emersa alcuna differenza significativa fra celecoxib e FANS tradizionali per quanto riguarda l'incidenza di sospensioni del trattamento in seguito a comparsa di effetti indesiderati in genere. Anche l'incidenza di ulcere rilevate mediante una endoscopia di routine a 12 settimane, (comparse rispettivamente nel 6,2% vs. 23,4% dei pazienti), è risultata più bassa nei pazienti trattati con celecoxib rispetto a quelli che assumevano FANS non selettivi.
Sono interessanti anche i dati di quattro studi che hanno fornito alcune informazioni sull'incidenza di ulcere confermate endoscopicamente a seconda che i pazienti assumessero o non assumessero contemporaneamente aspirina fino a 325 mg al giorno. L'impiego del celecoxib è apparso più vantaggioso nei pazienti che non assumevano aspirina a scopo profilattico: l'incidenza delle ulcere rilevate è stata rispettivamente del 6,2% vs. 24,9% nei pazienti trattati con celecoxib o con FANS tradizionali se i pazienti non assumevano aspirina a scopo profilattico e 12% vs. 26.4% se l'assumevano. Si tratta, tuttavia, di risultati da prendere con molta cautela dal momento che il numero di pazienti che assumeva aspirina era complessivamente modesto (150 trattati con celecoxib e 140 con FANS non selettivi) e che la gran parte di pazienti inclusi in questo studio proveniva da un singolo studio (CLASS).
Lo stesso dicasi per la valutazione dell'incidenza delle ulcere complicate (sanguinamenti, perforazioni, ostruzioni). L'incidenza di questi effetti indesiderati gravi è stata del 2,7% (11 casi) nei pazienti che assumevano celecoxib vs. 5% (20 casi) nei pazienti che assumevano diclofenac o ibuprofene, una differenza statisticamente non significativa.
Questa metanalisi ha fornito ulteriori prove a supporto della migliore tollerabilità gastrointestinale del celecoxib rispetto ad alcuni FANS tradizionali quando, come misura di tollerabilità, vengono utilizzati parametri come l'abbandono degli studi per la comparsa di effetti indesiderati o la comparsa di ulcere rilevate con una endoscopia di routine. Tuttavia, non tutte le ulcere rilevate mediante endoscopia progrediscono a eventi gravi e molte probabilmente guariscono spontaneamente. Pertanto, la rilevanza clinica di questo dato rimane oggetto di controversia. D'altro canto, esiste consenso sul fatto che le complicazioni dell'ulcera, principale causa di preoccupazione relativa all'impiego dei FANS, dovrebbe essere l'end point principale di studi di esito volti a determinare la tossicità gastrointestinale degli antinfiammatori. Purtroppo questo consenso è controbilanciato dai problemi legati all'esecuzione di questi studi, che devono essere molto ampi per avere anche una modesta potenza. Altri problemi sono legati alla valutazione degli esiti clinici6.
Anche un altro studio pubblicato recentemente merita attenzione. Si tratta di uno studio osservazionale sulle emorragie del tratto gastrointestinale superiore in pazienti anziani in trattamento con COX-2 selettivi o con FANS tradizionali, che offre interessanti informazioni sugli effetti gastrointestinali degli inibitori della COX-2 rispetto al non uso di FANS nonché informazioni relative ad un confronto diretto fra celecoxib e rofecoxib8.
Si tratta di uno studio di popolazione retrospettivo che ha confrontato l'incidenza di emorragie del tratto gastrointestinale superiore in una coorte di oltre 40.000 pazienti anziani che non avevano mai fatto uso in precedenza di rofecoxib, celecoxib, FANS non selettivi o diclofenac associato a misoprostol con quella di una coorte di 100.000 pazienti che non utilizzavano FANS.
Nel periodo dello studio (circa 1 anno), dei circa 1,3 milioni di potenziali soggetti di età superiore o uguale a 65 anni, 364.686 (28%) hanno ricevuto una prescrizione di FANS. Fra questi, gli autori hanno individuato 5391 utilizzatori di FANS non-selettivi, 5.087 utilizzatori di diclofenac più misoprostol, 14.583 utilizzatori di rofecoxib, 18.908 utilizzatori di celecoxib e 100.000 controlli. Fra gli utilizzatori di FANS non-selettivi, alla maggior parte dei pazienti era stato prescritto naproxene (32%), ibuprofene (23%) o diclofenac (20%). Nel corso di un follow-up di oltre 55.000 persone/anno si sono verificate 187 ospedalizzazioni per emorragie del tratto gastrointestinale superiore. Da questo studio è emerso che, rispetto al gruppo di controllo di anziani che non utilizzavano FANS, avevano un rischio significativamente maggiore di emorragie del tratto gastrointestinale superiore i pazienti che assumevano FANS non selettivi (ARR 4,0; 95% I.C. 2,3 a 6,9) o diclofenac più misoprostol (3,0; I.C. 1,7 a 5,6) o rofecoxib (1,9; I.C. 1,3 a 2,6) ma non quelli che assumevano celecoxib (1,0; I.C. 0,7 a 1,6). Differenze significative nel rischio di emorragie del tratto gastrointestinale superiore sono emerse anche fra i gruppi che assumevano farmaci diversi. E' interessante notare che, rispetto agli utilizzatori di celecoxib, è emerso un maggior rischio di ospedalizzazione per emorragie del tratto gastrointestinale superiore non solo fra gli utilizzatori di FANS non selettivi e diclofenac più misoprostol, ma anche fra i pazienti che assumevano rofecoxib. Questo studio fornisce una ulteriore prova che il rischio di emorragie del tratto gastrointestinale superiore con i COX-2 inibitori è significativamente inferiore rispetto a quello dei FANS tradizionali, associati o meno a misoprostol. Il rischio apparentemente maggiore del rofecoxib rispetto al celecoxib necessita di conferme, dal momento che lo studio presenta alcuni limiti, i più importanti dei quali sono il basso numero assoluto di eventi nel gruppo in studio che preclude la possibilità di una analisi per sottogruppi affidabile, il disegno retrospettivo dello studio che rende problematica l'identificazione degli esiti e l'incerta generalizzabilità di questi risultati a pazienti più giovani. Quali sono le possibili implicazioni di questi dati sull'utilizzo dei COXIB?
Complessivamente gli studi sopra menzionati suggeriscono che gli inibitori selettivi della COX-2 presentano potenzialmente una minore tossicità per il tratto gastrointestinale superiore rispetto ad alcuni FANS tradizionali. Questo vantaggio consiste in un minor numero di eventi che costituiscono un end point composto di tossicità gastrointestinale come la comparsa di ulcere sintomatiche rilevate endoscopicamente e le complicazioni gravi dell'ulcera (perforazione, ostruzione, sanguinamento).
Questo, tuttavia, potrebbe non essere vero in tutti i pazienti, soprattutto in quelli che assumono contemporaneamente aspirina alle dosi utilizzate per la cardioprotezione. Si tratta di un problema di grande rilevanza clinica poiché molti pazienti con osteoartrite o artrite reumatoide hanno indicazioni all'uso di aspirina a basse dosi per la profilassi degli eventi trombotici cardiovascolari.
Non solo non sappiamo se la maggiore sicurezza venga mantenuta impiegando questa combinazione, ma non sappiamo neppure se in questa situazione debba essere associato un inibitore di pompa. Inoltre i dati non sono sufficienti per indicare quale COXIB abbia la migliore tollerabilità gastrointestinale. Per dissipare questi dubbi saranno necessari studi di esito molto ampi.
Infine vale la pena di fare un'ultima considerazione. Focalizzare l'attenzione solo agli effetti gastrointestinali può dare un quadro incompleto del profilo beneficio/rischio dei COX-2 inibitori. La metanalisi degli studi CLASS e VIGOR, indica che l'incidenza della mortalità totale è risultata più alta, sebbene non in modo statisticamente significativo, con i COXIB rispetto ai FANS9. Inoltre, considerando l'incidenza degli effetti indesiderati gravi (compresa la morte, il ricovero in ospedale e qualsiasi altra reazione avversa che metta a rischio la vita o che porti a grave invalidità) come misura combinata di danno, l'incidenza è stata significativamente maggiore con i COX-2 selettivi rispetto agli altri FANS e le ulcere gastrointestinali complicate rappresentano solo una piccola parte di tutte le reazioni avverse. Gli effetti indesiderati non gastrointestinali gravi richiedono quindi maggiore attenzione. Sicurezza cardiovascolare
Dallo studio VIGOR è emerso che il trattamento con rofecoxib 50 mg/die è associato ad una maggiore incidenza di infarto miocardico non fatale (0,4%) rispetto al naproxene 500 mg due volte al giorno (0,1%), una differenza statisticamente significativa2 (RR 0,2 I.C. 0,1 a 0,7).
Nello studio CLASS invece non vi è stata alcuna differenza nell'incidenza di infarto miocardico fra i pazienti che assumevano celecoxib (0,5%) e quelli che assumevano ibuprofene o diclofenac (0,4%), ma i protocolli dei due studi differivano in modo sostanziale rispetto all'uso di aspirina a dosaggio cardioprotettivo. Nello studio VIGOR ai pazienti non era permesso assumere aspirina o qualsiasi altro farmaco antiaggregante, mentre nello studio CLASS un quinto dei pazienti era in trattamento cardioprotettivo con aspirina. Anche dalla rianalisi dei risultati dello studio CLASS effettuata da White e colleghi10 per verificare gli eventi trombotici cardiovascolari compreso infarto miocardico, ictus, morti cardiovascolari ed eventi periferici, non è emerso per il celecoxib alcun incremento significativo rispetto ai FANS.
L'analisi dei dati effettuata dall'FDA9, invece, ha raggiunto conclusioni differenti, suggerendo un aumento degli effetti indesiderati gravi cardiaci (infarto del miocardio, eventi anginosi e aritmie atriali) anche con il celecoxib: l'incidenza è risultata dello 0,6% più alta col celecoxib che con gli altri FANS (RR 1,55; I.C. 1,04 a 2,30).
Le ragioni di queste incongruenze non sono chiare è richiederebbero una verifica indipendente sui singoli pazienti.
Gli effetti cardiovascolari rilevati nello studio VIGOR possono avere diverse spiegazioni: possono essere semplicemente casuali, dato il basso numero di eventi o essere dovuti ad un possibile effetto cardioprotettivo del naproxene, simile a quello dell'aspirina oppure, per contro, manifestarsi perché il refecoxib alla dose di 50 mg/die potrebbe avere un effetto protrombotico soprattutto in assenza di una concomitante inibizione della COX-1 in pazienti ad aumentato rischio di eventi tromboembolici cardiovascolari. In assenza di un gruppo di controllo non trattato, non sappiamo se nello studio VIGOR questi risultati suggeriscano un effetto protettivo del naproxene o piuttosto un effetto dannoso del rofecoxib. Tutte tre sono ipotesi plausibili e non si escludono a vicenda.
Come è stato suggerito, la cosa più probabile è che l'aumento degli eventi trombotici cardiovascolari nei pazienti trattati con rofecoxib rifletta l'azione antipiastrinica del naproxene11,12,13. Infatti il naproxene sembra possedere una emivita farmacodinamica prolungata capace di inibire dell'88% l'aggregazione piastrinica fino a 8h14.
Nello studio VIGOR2,9l'incidenza di eventi trombotici cardiovascolari (confermati da un osservatore in cieco) è risultata dello 0,6% più alta con il rofecoxib che con il naproxene (RR 2,38; 95% I.C. 1,39 a 4,00).
Alcuni dati recenti comparsi in letteratura possono aiutare a rispondere a questo importante quesito ossia se la differenza relativa nell'incidenza di infarto miocardico rilevata nello studio VIGOR sia dovuta ad un effetto dannoso del rofecoxib o ad un effetto benefico del naproxene. Nonostante la pubblicazione di dati contrastanti15, l'ipotesi che il naproxene possieda un effetto cardioprotettivo ha guadagnato sempre maggior consenso16.
Solo uno dei quattro studi pubblicati più di recente nega questo potenziale effetto cardioprotettivo del naproxene. Si tratta di uno studio osservazionale di due anni condotto su una coorte di pazienti che non avevano in precedenza fatto uso di FANS non selettivi e che non assumevano aspirina (n. 181.441) e un egual numero di non utilizzatori; lo studio non ha rilevato alcuna prova che il naproxene possieda un effetto protettivo17. Infatti nel corso di un follow up di 532.634 persone/anno, si sono manifestati 6382 casi di malattia coronarica grave pari a 11,9 per 1000 persone anno. Non vi è stata alcuna protezione fra gli utilizzatori a lungo termine che hanno impiegato il farmaco ininterrottamente; dopo più di 60 giorni di assunzione continua, il rapporto fra le incidenze è risultato di 1,05 (da 0,91 a 1,21). Da un confronto diretto con l'ibuprofene, il rapporto fra le incidenze in corso di trattamento è stato di 0,83 (da 0,69 a 0,98). Pertanto lo studio sembra negare che il naproxene possieda qualche effetto cardioprotettivo. Tuttavia, lo studio ha parecchi limiti potenziali che dovrebbero essere tenuti presenti nell'interpretare i risultati. I più importanti fra questi sono: la mancanza di informazioni su eventuali fattori di confondimento (ad esempio: fumo, obesità), una possibile errata attribuzione del trattamento e, infine, l'assenza di informazioni sull'eventuale impiego di aspirina come farmaco da banco.
Prove di segno opposto provengono invece da tre recenti studi caso-controllo, uno condotto negli Stati Uniti, uno in Canada e uno in Inghilterra, pubblicati in simultanea, i quali indicano che l'incidenza di infarto miocardico fra i pazienti che assumono naproxene è inferiore a quella nei pazienti che non assumono alcun FANS18,19 o che assumono FANS diversi20.
Il primo studio ha confrontato l'utilizzo di FANS in pazienti registrati in un vasto database sanitario statunitense, 4.425 pazienti ospedalizzati per infarto miocardico acuto e 17.700 controlli, costruendo modelli multivariati per controllare potenziali fattori confondenti. Un quarto dei casi e dei controlli aveva ricevuto una prescrizione di un FANS nei 6 mesi precedenti all'infarto (casi) o prima di una data indice stabilita random (controlli). Complessivamente gli utilizzatori di FANS hanno avuto lo stesso rischio di infarto miocardico acuto dei non utilizzatori ma coloro che avevano assunto naproxene hanno avuto una riduzione significativa del rischio di infarto miocardico acuto rispetto a coloro che non assumevano FANS (odds ratio aggiustata: 0,84; 95% I.C. 0,72 a 0,98)18. Vale la pena di evidenziare che l'apparente effetto cardioprotettivo del naproxene è molto modesto se confrontato con quello prodotto dell'aspirina (vedi ad esempio la riduzione del 44% nel rischio di infarto miocardico acuto ottenuto nel Physician Health Study)21.
Il secondo è uno studio caso controllo sponsorizzato dalla Merk & Co (la ditta produttrice del celecoxib) che ha valutato il rischio di eventi tromboembolici cardiovascolari acuti (ETC) in corso di trattamento con naproxene in pazienti con artrite reumatoide. Sono stati valutati 16.937 pazienti fra i 40 e i 75 anni inclusi nel database del British General Practice Research19. Ogni caso con un primo ETC (n. 809: 435 infarti miocardici, 27 morti improvvise, 347 ictus) è stato confrontato con 4 controlli. I risultati dello studio suggeriscono che i pazienti con artrite reumatoide in trattamento con naproxene hanno un rischio significativamente minore di ETC rispetto ai pazienti che non hanno assunto naproxene nel corso dell'anno precedente (RR 0,61; da 0,39 a 0,94). Il rischio tuttavia non è risultato inferiore se il naproxene era stato assunto in passato, suggerendo che qualsiasi effetto il naproxene abbia è comunque di breve durata. Inoltre questa differenza nell'incidenza di infarto, che è risultata statisticamente significativa in caso di trattamento in corso con naproxene, non è stata più rilevabile analizzando separatamente i casi di infarto miocardico (RR 0,57; I.C. da 0,3 a 1,06). Lo studio non ha dimostrato alcun effetto protettivo per ETC in caso di trattamento con FANS diversi dal naproxene.
Il terzo studio20, anche questo sponsorizzato dalla Merk & Co, è stato disegnato per verificare l'associazione fra impiego di naproxene e ospedalizzazione per infarto miocardico acuto rispetto ad altri FANS non selettivi. I pazienti provenivano da un database: 14.163 pazienti di età superiore o uguale a 65 anni ricoverati per infarto miocardico acuto e un ugual numero di controlli. Un trattamento con naproxene ha dimostrato di avere un effetto protettivo nei confronti dell'infarto miocardico rispetto ad altri FANS non selettivi diversi dall'aspirina (RR 0,79; I.C. da 0,63 a 0,99). Tuttavia questo effetto era presente solamente in caso di trattamento in corso ed era più accentuato negli utilizzatori cronici. Anche questo studio presenta però parecchi limiti che possono comprometterne il valore. Infatti potrebbero non essere stati presi in considerazione alcuni importanti fattori di rischio, come il fumo e l'obesità, non essere stati considerati pazienti morti per infarto miocardico prima di raggiungere l'ospedale, e sussiste qualche incertezza su un eventuale utilizzo concomitante di farmaci da banco, soprattutto aspirina.
In conclusione, nonostante gli studi sopramenzionati suggeriscano che i pazienti trattati con naproxene possano avere una minore incidenza di infarto miocardico rispetto ai pazienti che assumono altri FANS o quelli che non assumono FANS, i dati sull'efficacia del naproxene sugli eventi cardiovascolari sembrano discordanti e non offrono una prova definitiva che il naproxene possieda un effetto cardioprotettivo. Pertanto in base ai dati disponibili, il rischio di comparsa di eventi cardiovascolari gravi con i COX-2 inibitori impone cautela e, ancora una volta, sono necessari più studi.
Poiché molti pazienti che fanno uso di FANS o COX-2 inibitori sono a rischio di malattia coronarica, è stato suggerito che l'uso concomitante di un COX-2 inibitore con aspirina a basse dosi possa evitare eventi cardiovascolari gravi. Tuttavia la conseguenza di questa combinazione potrebbe essere un aumento della tossicità gastrointestinale e una perdita del beneficio offerto dalla inibizione della COX-2. Questo è già stato dimostrato col celecoxib e il beneficio della combinazione fra rofecoxib e aspirina richiede ulteriori studi.
La selettività nei confronti della COX-2 rappresenta un'arma a doppio taglio che produce sia benefici che danni. Poiché nei pazienti adulti con artrite reumatoide o osteoartrite il rischio cardiovascolare è superiore al rischio gastrointestinale, nella maggior parte dei contesti clinici il danno sarebbe superiore agli eventuali benefici. Questo significa che complessivamente gli effetti avversi gravi aumenterebbero con l'uso dei COX-2 selettivi rispetto ai FANS non selettivi. La selettività nei confronti della COX-2, che è considerata un concetto terapeutico attraente, si rivelerebbe un fallimento clinico9. Considerazioni conclusive
I risultati degli studi sui COX-2 inibitori propongono alcuni spunti di riflessione e utili indicazioni operative.
L'unica ragione che può giustificare la prescrizione di un COX-2 inibitore sta nella supposta minore tossicità gastrointestinale rispetto ai FANS tradizionali. Al di là dei dubbi non chiariti dai trials clinici, esistono ulteriori problemi relativi:
- alla difficoltà insita nel valutare il rischio di tossicità gastrointestinale dei FANS non selettivi nel singolo paziente;
- alla diffusa, mancata, adozione di strategie preventive alternative ai COX-2 inibitori;
- alla non osservanza delle linee guida di utilizzo dei COX-2 inibitori che ha portato ad una quasi automatica sostituzione dei "vecchi" FANS.Nel singolo paziente è difficile valutare l'entità del rischio di tossicità gastrointestinaleattribuibile ai FANS. Che l'impiego dei FANS tradizionali (aspirina inclusa) sia gravato da una tossicità gastrointestinale (ulcera peptica e sue complicanze in particolare) è noto da tempo, ma non è altrettanto evidente quale sia l'entità del danno. Le stime ricavabili dagli studi epidemiologici e dagli studi clinici sono, infatti, variabili e spesso sovrastimano il rischio reale. Non solo, ma nel determinare il rischio dei FANS tradizionali occorre tenere conto di altri fattori di rischio aggiuntivi che incrementano il loro potenziale gastrolesivo. Si considerano fattori di rischio la storia di ulcera peptica, l'età avanzata, le dosi elevate di FANS, l'impiego concomitante di corticosteroidi o anticoagulanti orali, la positività per l'Helicobacter pylori, la presenza di più fattori di rischio contemporaneamente e la tipologia dei fattori di rischio stessi. Ad esempio, il rischio è maggiore nei pazienti che fanno un uso combinato di anticoagulanti o che hanno una storia di emorragia gastrica rispetto a quelli che hanno una età avanzata o una infezione daHelicobacter pylori. I pazienti che assumono FANS tradizionali o aspirina non sono, perciò, tutti uguali rispetto al rischio di una complicanza gastrointestinale grave dal momento che il farmaco rappresenta solo uno dei numerosi fattori di rischio conosciuti. Questo fatto dovrebbe guidare le scelte terapeutiche e profilattiche da mettere in atto per ridurre il possibile danno gastrointestinale. Le possibilità di prevenire il danno gastrointestinale da FANS non selettivi sono molteplici e riguardano:
- la sostituzione, ove possibile, del FANS tradizionale col paracetamolo;
- l'impiego dei FANS dimostratisi meno gastrolesivi rispetto ad altri (es. ibuprofene) o l'esclusione di altri potenzialmente più lesivi (es. piroxicam, ketorolac);
- l'utilizzo della dose minima efficace di FANS e per la durata strettamente indispensabile
- la co-prescrizione di misoprostol o di un inibitore della pompa protonica; V'è un acritico diffuso impiego dei COX-2 inibitori pur in assenza di dati certi sulla loro minore gastrolesività. La stima dell'impatto complessivo dei COX-2 inibitori quali sostituti dei FANS tradizionali risulta a tutt'oggi mal definita, almeno per due ordini di motivi:
1° - gli studi endoscopici a 3-6 mesi hanno dimostrato una riduzione consistente (stimata in circa 4 volte) della tossicità gastrointestinale rispetto ai FANS non selettivi, ma il significato clinico di questa riduzione risulta incerto in quanto molte delle ulcere rilevate endoscopicamente risultano asintomatiche e prive di conseguenze per il paziente. Gli studi di "outcome", invece, non forniscono dati conclusivi;
2° - il rapporto beneficio/rischio complessivo (cardiovascolare, gastrointestinale, renale) sul lungo termine non è stato ancora definito e potrebbe essere a sfavore dei COX-2 inibitori. La scelta di sostituire i FANS tradizionali con i COX-2 inibitori in tutti i pazienti risulta, perciò, almeno discutibile. Così come discutibile, in quanto non giustificata dalle evidenze disponibili, è l'abitudine di associare un inibitore di pompa protonica al COX2 inibitore.
Esiste peraltro un consenso quasi unanime sul fatto che l'impiego dei COX-2 inibitori debba essere mirato ai pazienti ad alto rischio di tossicità gastrica. Il NICE (National Institute of Clinical Excellence, l'organo tecnico consultivo del Ministero della Salute inglese) ha individuato 5 circostanze, condivisibili, nelle quali ritiene giustificato il loro impiego : 1. l'uso prolungato di FANS tradizionali alla dose massima raccomandata; 2. pazienti anziani (> 65 anni); 3. pazienti con storia di ulcera peptica complicata (sanguinamento); 4. pazienti in trattamento concomitante con corticosteroidi o anticoagulanti; 5. pazienti con grave comorbidità (es: cirrosi, ca-gastrico), esclusi quelli con malattie cardiovascolari; in questi pazienti appare prudente non impiegare i COX-2 inibitori sia per le incertezze esistenti sulla loro sicurezza sia per l'uso concomitante di aspirina a basso dosaggio che essi spesso fanno, che annulla il potenziale beneficio di questi farmaci.
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