Introduzione
Il diabete di tipo 2 rappresenta un serio problema di salute pubblica, destinato a crescere rapidamente nei prossimi anni, di pari passo con il continuo aumento della prevalenza dell'obesità e con l'innalzamento dell'età media della popolazione. In Italia, la prevalenza di diabete noto si aggira attorno al 3-4%, ma un numero altrettanto cospicuo di soggetti ne è affetto senza saperlo. In futuro l'incidenza è destinata ad incrementare ulteriormente: si calcola che nel 2025 ben 300 milioni di persone in tutto il mondo saranno affette da diabete mellito.
In tale prospettiva, si comprende la necessità impellente e non ulteriormente rimandabile di attuare una politica sanitaria seria nella prevenzione del diabete di tipo 2 e delle sue complicanze. Le complicanze del diabete di tipo 2
Come inevitabile conseguenza del crescente numero di casi diagnosticati di diabete, anche le complicanze d'organo della malattia sono destinate ad aumentare, accanto al loro peso sul bilancio sanitario. È ben noto, infatti, che il diabete può essere difficilmente considerato una singola malattia, ma piuttosto una sindrome complessa che si manifesta con un insieme di condizioni patologiche concomitanti, principalmente a carico del sistema vascolare e del sistema nervoso.
Le complicanze macrovascolari rappresentano la causa più importante di morbilità, mortalità e consumo di risorse correlate al diabete di tipo 2.
In presenza di diabete, gli eventi cardiovascolari sono da 2 a 4 volte più frequenti e la mortalità per cause cardiovascolari è di 1,5 4,5 volte più alta (Tabella 1)1.
La ridotta tolleranza al glucosio (IGT)
La necessità di attuare il più presto possibile delle strategie di prevenzione del diabete e delle sue complicanze è confermata, e complicata, dall'evidenza che l'aumento del rischio cardiovascolare è già presente nella fase preclinica di ridotta tolleranza al glucosio (IGT). Questa rappresenta una condizione intermedia fra la normale omeostasi glucidica e il diabete ed è indicatrice di disfunzione della beta-cellula e di resistenza insulinica. L'intolleranza ai carboidrati è definita da valori di glicemia plasmatica fra 140 e 200 mg/dl alla seconda ora dopo curva da carico di glucosio in presenza di valori di glicemia a digiuno inferiori a 126 mg/dl.
In Italia, la prevalenza di IGT in soggetti di età fra i 45 e i 75 anni è attorno all'8-10%, ma aumenta con l'età e il peso corporeo, raggiungendo il 20% nei soggetti con indice di massa corporea (IMC) superiore a 30.
Oltre a rappresentare il più importante fattore di rischio per lo sviluppo di diabete2,3, l'IGT si associa ad un significativo aumento del rischio cardiovascolare. In particolare, in presenza di IGT il rischio di morte risulta di 1,5-2 volte maggiore rispetto a soggetti normoglicemici di pari età e sesso, un eccesso di rischio sovrapponibile a quello dei soggetti con diabete manifesto4.
E' quindi di fondamentale importanza ricercare la presenza di IGT, sia perché la sua scoperta potrebbe portare ad attivare interventi rivolti a prevenirne la progressione verso il diabete, senza peraltro escludere una regressione alla normoglicemia, sia perché, essendo un predittore importante di rischio cardiovascolare, potrebbe far aumentare il livello di attenzione ed intensificare il controllo degli altri fattori di rischio.
Di fondamentale importanza è, inoltre, l'osservazione, confermata da un'enorme mole di lavori, che solo la glicemia post-carico orale di glucosio, e non quella a digiuno, rappresenta un predittore importante della morbilità e mortalità cardiovascolare5. Peraltro, molti soggetti, pur avendo una glicemia a digiuno nella norma, presentano un IGT dopo curva da carico orale di glucosio, rendendo di fatto la curva da carico di glucosio indispensabile per un'efficace individuazione dei soggetti a rischio6. La prevenzione del diabete di tipo 2: nuove evidenze
Alla luce delle considerazioni precedenti, sono state attivate diverse sperimentazioni cliniche controllate in soggetti con IGT, per esplorare la possibilità di prevenire l'insorgenza del diabete e lo sviluppo delle complicanze cardiovascolari. Nel corso degli ultimi due anni sono stati pubblicati i primi risultati di questi studi, che hanno evidenziato in modo inconfutabile la possibilità di prevenire il diabete attraverso interventi sullo stile di vita o con l'uso di farmaci.
Gli interventi sullo stile di vita
Uno degli studi di maggiore rilevanza in tale ambito è rappresentato dal Diabetes Prevention Study (DPS)7: lo studio ha dimostrato come una modesta perdita di peso, ottenuta modificando le abitudini alimentari e praticando un'attività fisica regolare, di intensità paragonabile a una camminata sostenuta (30 minuti al giorno per 5 giorni alla settimana), possa ridurre di oltre il 50% la progressione verso il diabete nei soggetti con IGT. Risultati analoghi sono stati ottenuti nel Diabetes Prevention Program (DPP)8,9, con interventi sugli stili di vita volti a ottenere, e soprattutto mantenere, una riduzione del 7% rispetto al peso iniziale e la perdita di 700 calorie a settimana attraverso l'esercizio fisico.
È interessante notare come in entrambi gli studi sia stata ottenuta una riduzione del 58% nel rischio di sviluppare il diabete in soggetti francamente obesi, con una perdita di peso molto modesta, pari a circa 3,5 kg e con programmi di attività fisica di facile applicazione anche in soggetti anziani.
Questi studi rappresentano una importante conferma di precedenti studi, condotti su popolazioni numericamente molto più piccole10-12. I trattamenti farmacologici
Molti studi recenti, in corso o appena conclusi, hanno preso in considerazione la possibilità di utilizzare trattamenti farmacologici nel tentativo di rallentare o prevenire lo sviluppo di diabete di tipo 2 in soggetti con ridotta tolleranza al glucosio (Tabella 2).
Il già citato Diabetes Prevention Program8,9, condotto su una popolazione di oltre 3.000 soggetti con IGT, ha dimostrato una riduzione del 31% del rischio di sviluppare diabete con l'utilizzo di metformina, evidenziando quindi un'efficacia minore, ma assolutamente degna di considerazione, rispetto all'intervento sullo stile di vita. A sviluppare il diabete ogni anno è risultato il 7,8% circa dei pazienti trattati con metformina, contro l'11% del gruppo placebo e il 4,8% del gruppo trattato con le sole modificazioni dello stile di vita. La metformina è risultata di pari efficacia negli uomini e nelle donne, ma più efficace negli individui di età compresa tra 25 e 44 anni e in quelli con un IMC 35.
Gli effetti indesiderati più comuni riguardano i disturbi gastrointestinali, con un'incidenza di 77,8 episodi /100 individui ogni anno.
Ulteriori dati sulla prevenzione farmacologica del diabete in soggetti con IGT derivano dallo studio STOP-NIDDM13. In questo studio veniva valutata l'efficacia dell'acarbose, un inibitore dell'alfa-glucosidasi, rispetto al placebo in una coorte di oltre 1.300 soggetti. Il trattamento con acarbose è risultato associato ad una diminuzione del 25% nel tasso di progressione da IGT a diabete. Questo studio è stato il primo a dimostrare come, agendo sulla glicemia post-prandiale, sia possibile ridurre il rischio di malattie cardiovascolari. Infatti, l'acarbose ha determinato una notevole riduzione, pari al 49%, del rischio relativo di incorrere in eventi cardiovascolari14. Tra gli eventi cardiovascolari, la riduzione maggiore, pari al 91%, ha riguardato il rischio di infarto miocardico. Inoltre, è stata documentata una riduzione del 34% nel rischio di sviluppare ipertensione arteriosa. Purtroppo l'uso del farmaco si associava ai ben noti effetti indesiderati, quali flatulenza (68% dei casi) e diarrea (32%) che hanno portato all'interruzione precoce del trattamento in quasi un terzo dei pazienti.
Alcuni studi hanno aperto la strada alla valutazione degli effetti benefici di altre classi di farmaci, non ipoglicemizzanti, sulla prevenzione del diabete. In particolare, una analisi combinata di tre sperimentazioni che confrontavano l'efficacia dell'orlistat, un farmaco che inibisce l'assorbimento dei grassi alimentari, rispetto al placebo, ha documentato una sostanziale riduzione nel rischio di sviluppare il diabete (riduzione relativa del rischio del 60%) nel corso di due anni, associata ad una riduzione del peso corporeo di circa 3 Kg15. Questi dati sono stati recentemente confermati dallo studio XENDOS, condotto su una coorte di 3.304 soggetti obesi, di età compresa tra 30 e 60 anni e con IGT, che ha dimostrato una riduzione del 37% del rischio di sviluppare il diabete nel braccio trattato con orlistat dopo un follow-up di 4 anni 16.
Tra i farmaci che suscitano particolare interesse vanno annoverati anche gli inibitori del sistema renina-angiotensina. Infatti, gli ACE-inibitori e i sartani, oltre che funzionare da antiipertensivi, hanno mostrato la capacità di migliorare la sensibilità insulinica, e quindi di rallentare o prevenire il diabete. Tale effetto è stato riscontrato, come dato collaterale, in diverse sperimentazioni riguardanti l'uso degli inibitori del sistema renina-angiotensina (Tabella 3).
Anche le statine, tradizionalmente utilizzate nella cura delle dislipidemie, hanno evidenziato la capacità di ridurre il rischio di sviluppare diabete. Nello studio WOSCOPS23, condotto su una coorte di 5.974 soggetti dislipidemici di età compresa tra 45 e 64 anni, la pravastatina si è rivelata in grado di ridurre del 30% il rischio di sviluppare il diabete. Alla base di tale proprietà del farmaco potrebbero esserci azioni di miglioramento della sensibilità all'azione dell'insulina e di maggiore utilizzazione del glucosio circolante24, anche se i meccanismi non sono ancora stati del tutto chiariti. Le prospettive
Due studi internazionali attualmente in corso forniranno probabilmente una risposta definitiva riguardo la possibilità di prevenire il diabete e le complicanze cardiovascolari nei soggetti con IGT tramite interventi farmacologici in aggiunta a quelli sullo stile di vita, ormai considerati come imprescindibili. Lo studio NAVIGATOR valuta l'efficacia di un ipoglicemizzante orale di nuova generazione, la nateglinide, e di un sartano, il valsartan, nella prevenzione del diabete e degli eventi cardiovascolari in una coorte di oltre 9.000 soggetti con ridotta tolleranza al glucosio. Analogamente, lo studio DREAM testa l'efficacia di un altro ipoglicemizzante orale di recente sviluppo, il rosiglitazione e di un ACE-inibitore, il ramipril, in una popolazione di 4.000 pazienti con IGT. Entrambi gli studi prevedono interventi sullo stile di vita in tutti i pazienti, e permetteranno quindi di valutare quale sia l'effetto aggiuntivo dei farmaci, singolarmente o in associazione (entrambi gli studi hanno disegno fattoriale). Inoltre, l'ampio numero di pazienti arruolati, assieme alla durata dei trattamenti (circa sei anni per lo studio NAVIGATOR e tre anni per lo studio DREAM) consentiranno di stimare con accuratezza l'impatto dei trattamenti sullo sviluppo degli eventi cardiovascolari maggiori. Conclusioni
I dati epidemiologici a disposizione lasciano prevedere nel prossimo futuro una vera e propria epidemia di diabete e malattie cardiovascolari, con importanti ricadute in termini assistenziali, sociali ed economici. I dati emersi nel corso degli ultimi due anni aprono tuttavia la strada ad interventi mirati, in grado di contrastare questa epidemia. Tali interventi includono una diagnosi precoce delle alterazioni del metabolismo glucidico ed un approccio aggressivo che preveda interventi strutturati sullo stile di vita, rivolti primariamente alla riduzione del peso corporeo. Recenti evidenze suggeriscono che diversi tipi di approccio farmacologico potrebbero a loro volta essere efficaci nel prevenire il diabete. La risposta definitiva sarà disponibile entro pochi anni, quando gli studi attualmente in corso ci diranno se l'aggiunta di interventi farmacologici potrà ulteriormente ridurre il carico di morbilità e mortalità legati alla malattia diabetica. Bibliografia 1. Haffner SM. 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