Dalla revisione sistematica dell'efficacia del trattamento dell'ictus acuto e dei metodi di prevenzione secondaria emerge chiaramente che la cosa più importante da fare è quella di istituire una unità operativa per l'ictus (stroke unit) e creare uno staff multidisciplinare in grado di erogare un'assistenza coordinata. I pazienti colpiti da un ictus ischemico devono essere trattati immediatamente con aspirina (300 mg al giorno) e, laddove ciò sia possibile, inseriti in studi controllati che prevedano l'uso di un trombolitico. Superata la fase acuta, l'aspirina deve essere continuata ad una dose più bassa, 75 mg al giorno. Altri interventi prioritari consistono nell'invitare il paziente a smettere di fumare; trattare l'ipertensione arteriosa con un diuretico e, nei pazienti con fibrillazione atriale con una storia di TIA o di ictus ischemico, iniziare un trattamento anticoagulante di lunga durata con warfarin o somministrare aspirina se l'anticoagulazione non è praticabile. Le statine sono probabilmente indicate nei pazienti che già soffrono di coronaropatia sintomatica. L'aggiunta di dipiridamolo all'aspirina, la sostituzione dell'aspirina stessa col clopidogrel e l'endoarteriectomia carotidea costituiscono delle strategie di prevenzione costose, che potrebbero risultare maggiormente sostenibili qualora si riuscisse a limitarle ai pazienti a rischio molto alto.
Premessa ed introduzione
Tra le aree di interesse da tempo programmate (e commissionate) nella strategia editoriale di Informazioni sui Farmaci, si era indicata una duplice attenzione:
al trattamento,
alla prevenzione della patologia cerebrovascolare (ictus).
Come spesso succede, la letteratura internazionale è stata più tempestiva degli autori da noi previsti. Si è pensato (vista anche la lunga tradizione di collaborazione degli autori della review di Lancet con gruppi italiani che sono di riferimento per il Bollettino) che non aveva senso rifare un lavoro, e che era più ragionevole riprendere in modo sostanziale le elaborazioni, i commenti, le proposte già contenute nell'articolo di Hankey G.J. e Warlow C.P. pubblicato su Lancet 1999; 354:1457-63.
La logica con cui la revisione è stata composta è particolarmente interessante: al di là del riprendere la metodologia classica delle review Cochrane, a partire dai trial formali, si è proceduto ad una analisi-modellizzazione economica. Pur inserita in un contesto diverso da quello italiano (dall'Australia alla Svezia), la proposta di lettura è metodologicamente trasferibile ad una situazione come quella italiana, dove si intrecciano aspetti di valutazione-costo centrati sui farmaci, ed altri (più di base) che hanno a che fare con le scelte organizzative istituzionali.
Il modello può essere operativamente utile per una applicazione-verifica nelle realtà ASL, dove il problema delle scelte di (dis-)continuità tra ospedale e territorio, e/o le discussioni sullo sviluppo di "stroke units" (o di loro equivalenti organizzativi) è sempre più frequente. Come per altri settori, i dati che qui si propongono e le indicazioni di "ciò che si dovrebbe fare" possono essere meglio compresi da coloro [specialisti, (soprattutto) medici di medicina generale, riabilitatori, infermieri] che si pongono nella posizione di far seguire alla lettura la verifica delle coincidenze/dissonanze sul campo.
Si è deciso di mantenere il riferimento in euro contenuto nella versione originale dell'articolo dal momento che qualsiasi trasposizione economica deve essere fatta partendo da costi nazionali. Per l'applicabilità delle stime relative al trattamento dell'ictus è interessante leggere la corrispondenza comparsa sul numero del Lancet del 22 gennaio 2000 pag. 319-22.
Obiettivi e note metodologiche
Scopo dell'articolo è quello di rivedere sistematicamente tutti gli studi più importanti effettuati sul trattamento e la prevenzione dell'ictus. I risultati verranno poi applicati ad un campione ipotetico di 1 milione di persone per confrontare tra loro l'efficacia e i costi di ogni singolo intervento e stabilirne il presumibile impatto sugli esiti dell'ictus1. Pur nella sua semplicità, questo approccio consente di farsi una idea precisa delle priorità per un'assistenza appropriata e sostenibile a partire dalle procedure che hanno un costo molto modesto a quelle che hanno un costo superiore a quello che potremmo essere in grado di sostenere.
I costi riportati nelle tabelle sono espressi in euro e non comprendono i costi per le visite mediche, per il monitoraggio e quelli indotti dalla comparsa di effetti indesiderati2.
Possibili implicazioni di un trattamento dell'ictus acuto su un campione di 1 milione di persone
In un paese industrializzato, su una popolazione di 1 milione di abitanti, ogni anno, 2.400 persone richiedono un intervento medico per un primo episodio di ictus (1.800) o per una recidiva di ictus (600)3-5; altre 500 persone vanno incontro ad un attacco ischemico transitorio (TIA)6-7. Dei 2.400 individui colpiti da ictus, 480 (20%) moriranno entro il primo mese e 1.300 (55%) o moriranno (700) o diventeranno non autosufficienti (600) a distanza di 1 anno8-9. Questi 1.300 decessi e i 600 casi di invalidità permanente sono quanto si potrebbe evitare con un trattamento efficace dell'ictus acuto.
Possibili implicazioni di un trattamento di prevenzione secondaria
Le 1.700 persone che ogni anno sopravvivono all'ictus (600 delle quali con una invalidità permanente, 1.100 autosufficienti) vanno continuamente ad aggiungersi al gruppo di 12.000 persone che, su una popolazione di 1 milione di abitanti, hanno avuto in passato un TIA (3.000), un ictus (8.000) o entrambi gli eventi (1.000)6,10. Di questi 12.000 pazienti, ogni anno, 800 (7%) avranno un ictus (600 recidive, 200 primi ictus in pazienti con pregressi TIA)6,11. Questi 800 casi di ictus (33% dei 2.400 che ogni anno si verificano in una popolazione di 1 milione di persone) sono quelli che si possono evitare con un trattamento efficace di prevenzione secondaria, con interventi cioè mirati ai 12.000 pazienti con una storia di ictus o di TIA.
TRATTAMENTI DELL'ICTUS IN FASE ACUTA
I trattamenti per i quali esistono convincenti prove di efficacia sono le stroke units, l'aspirina e i trombolitici; i dati a favore di tutti gli altri trattamenti medici e dell'intervento chirurgico per l'emorragia cerebrale sono inadeguati. La Tabella 1 sintetizza tutte le informazioni disponibili relative a questi tre trattamenti.
Stroke units
Rispetto a quella convenzionale di un reparto di medicina generale, l'assistenza coordinata e multidisciplinare garantita da una stroke unit può ridurre dal 62% al 56,4% la mortalità e l'invalidità ad un anno dopo l'ictus. Questo corrisponde ad una diminuzione del 9% del rischio relativo (RRR) e del 5,6% del rischio assoluto (ARR). Trattando 1.000 pazienti con ictus in una stroke unit anziché in un reparto di medicina generale si potrebbero evitare 56 tra decessi e casi di invalidità. Il numero di pazienti da trattare (NNT) per evitare un evento sfavorevole (decesso o invalidità) è di 18.
L'impatto che una stroke unit ha su una popolazione dipende non solo dal suo livello di efficienza ma anche dal grado di accessibilità. In Australia (Perth) e in Europa (Perugia, Italia), l'80% dei pazienti colpiti da ictus viene ricoverato in ospedale, ma le percentuali sono le più diverse, potendo passare dal 55% del Regno Unito al 95% della Svezia12. Se il numero delle stroke unit fosse tale da accogliere, approssimativamente, l'80% dei pazienti con ictus che vengono ricoverati in ospedale, su una popolazione di 1 milione di abitanti, ogni anno 1.920 pazienti (l'80% dei 2.400 casi di ictus all'anno) verrebbero trattati in una stroke unit e tutto ciò si tradurrebbe in 107 casi in meno, fra morti o invalidi (5,6% dei 1.920). Questo corrisponde all'8,3% delle 1.300 persone che ogni anno muoiono o diventano non autosufficienti in seguito ad un ictus nell'ambito di questa popolazione.
Ad oggi, non è possibile stabilire quali siano i costi di una stroke unit; una cosa che pare certa è che non comporta un aumento della degenza ospedaliera13; poiché i costi principali di una stroke unit sono i costi "alberghieri" e per il personale, la durata della degenza rappresenta un parametro di riferimento accettabile14,15. A parità del numero di operatori, il costo assistenziale di una stroke unit non è superiore a quello di un reparto di medicina.
Aspirina
L'aspirina (160-300 mg al giorno) riduce la mortalità e l'invalidità dal 47% al 45,8%16. In una popolazione di 1 milione di abitanti, ogni anno si registrano circa 2.000 casi (85% di 2.400) di ictus ischemico9. Escludendo il 5% dei pazienti che non possono assumere o non tollerano l'aspirina, il trattamento dei restanti 1.900 (95%) pazienti con ictus ischemico salva, ogni anno, 23 persone (1,2%) dalla morte o dalla invalidità permanente, che rappresentano solo l'1,8% delle 1.300 persone che ogni anno muoiono o diventano non autosufficienti a causa di un ictus. Il costo del trattamento di 1.900 pazienti con ictus ischemico con 300 mg al giorno di aspirina per 2 settimane, a 0,6 euro per paziente, è di circa 1.140 euro, per prevenire 23 tra decessi e casi di invalidità (o di circa 50 euro per prevenire un solo caso).
Trombolitici
La somministrazione endovenosa di un trombolitico entro 6 ore dall'inizio di un ictus ischemico può ridurre le percentuali di mortalità e di invalidità dal 62,7% al 56,4%17. Al momento attuale, tuttavia, la trombolisi è accessibile, ed indicata, solo in 240 (10%) dei 2.400 pazienti colpiti da ictus su una popolazione di 1 milione di abitanti quelli cioè che, ricoverati in ospedale entro poche ore dall'inizio dell'evento ischemico acuto, vengono valutati in modo appropriato (compresa una TAC per escludere una possibile emorragia cerebrale) e non presentano controindicazioni all'impiego di un trombolitico. Da una indagine condotta recentemente a Cleveland nell'Ohio, Stati Uniti, ad un anno di distanza dall'approvazione dell'impiego dell'attivatore tessutale del plasminogeno (tPA) nell'ictus da parte della Food and Drug Administration, è risultato che solo l'1% dei pazienti con ictus veniva trattato col farmaco18. Inoltre, uno studio olandese sull'ictus ha rilevato come solo il 5% dei pazienti colpiti da ictus rispondesse pienamente ai criteri per l'impiego di un trombolitico19. Prevedendo, in termini molto ottimistici, che il 10% dei pazienti colpiti da ictus possa essere sottoposto a trombolisi, ciò si tradurrebbe in 15 casi in meno tra decessi e casi di invalidità, che rappresentano solo l'1,2% dei 1.300 casi complessivi che ogni anno si verificano in seguito ad un ictus. Trattando 240 pazienti con l'alteplase, al costo di 1.350 euro per flacone da 50 mg, si spenderebbero circa 324.000 euro per prevenire 15 tra decessi e casi di invalidità, o 21.600 euro per prevenirne uno solo. Se la streptokinasi, il cui costo è di 120 euro per una fiala da 1,5 MIU, risultasse efficace quanto il tPA, per evitare un decesso o un caso di invalidità si spenderebbero 1.920 euro.
Eparina
La metanalisi più recente effettuata sull'impiego della eparina e degli eparinoidi nell'ictus ischemico indica che il trattamento non è in grado di ridurre il rischio di morte o di invalidità (RRR 1%, 95% CI 5% al 6%)20.
PREVENZIONE SECONDARIA
Le strategie di prevenzione secondaria per le quali esistono prove convincenti di efficacia sono il controllo dei fattori di rischio vascolare, l'uso di antiaggreganti piastrinici, di anticoagulanti e l'endoarteriectomia carotidea. La Tabella2ne sintetizza i dati di efficacia.
Riduzione della pressione arteriosa
I dati al momento disponibili (si attendono quelli, si pensa importanti, dello studio PROGRESS21) suggeriscono che nei pazienti ipertesi che hanno avuto un TIA o un ictus, la diminuzione della pressione diastolica di 5-6 mmHg e della pressione sistolica di 10-12 mmhg per due-tre anni consente di ridurre dal 7% al 4,8% il rischio annuale di ictus22,23. In una popolazione di 1 milione di persone, 12.000 hanno una storia di TIA o di ictus, di questi 6.000 sono ipertesi (50%)6,24. In questi pazienti la diminuzione della pressione arteriosa dovrebbe ridurre il numero annuale degli ictus da 420 circa (7%) a 288 (4,8%), prevenendo così 132 (5,5%) dei 2.400 casi di ictus, fra primi eventi e recidive, che si verificano in una popolazione di 1 milione di persone. Il costo della terapia antipertensiva varia da 18 euro all'anno per la bendrofluazide (5 mg/die) a 240 euro per gli ACE-inibitori2, quindi il trattamento di 45 pazienti ipertesi che hanno avuto un TIA o un ictus, allo scopo di prevenire un altro ictus, ha un costo che va dagli 810 euro ai 10.800 euro.
Il fumo
Pur in mancanza di studi clinici controllati, studi osservazionali suggeriscono che il fumo aumenta il rischio di TIA e di ictus di almeno una volta e mezzo24,25. Se, in una popolazione di 1 milione di persone6,24, tutti i 3.600 fumatori che hanno avuto un TIA o un ictus smettessero di fumare, il numero annuale di ictus potrebbe ridursi da 252 (7%) a 168 (4,7%), evitando così 84 ictus (3,5%) sui 2.400 totali. L'NNT è 43; ciò significa che ogni 43 persone che smettono di fumare si evita un caso di ictus. Per aiutare questi pazienti a smettere di fumare può rendersi necessaria una adeguata opera di educazione e di informazione ("counselling") nonché l'uso di sostituti della nicotina (gomme da masticare o cerotti). Un trattamento sustitutivo di 12 settimane con cerotti di nicotina costa 275 euro. Se tutti i 3.600 fumatori che hanno avuto un TIA o un ictus utilizzassero cerotti alla nicotina per 3 mesi per smettere di fumare, si spenderebbero 11.760 euro per trattare 43 persone e prevenire un ictus.
Riduzione del colesterolo
Gli studi osservazionali non mostrano alcun legame tra aumento del colesterolo plasmatico e ictus di tutti i tipi26,27. Questo può derivare, almeno in parte, dal fatto che l'associazione positiva fra l'aumento del colesterolo e l'ictus ischemico causato da una trombosi aterosclerotica delle arterie di grosso calibro viene controbilanciata da una più debole associazione con l'ictus ischemico dei piccoli vasi intracranici e da una possibile correlazione negativa con l'ictus emorragico27. Non sono stati condotti studi clinici controllati che abbiano valutato la terapia ipocolesterolemizzante in pazienti con TIA o ictus in generale; tuttavia, gli studi effettuati in alcune condizioni specifiche (come la coronaropatia sintomatica e l'ipercolesterolemia), suggeriscono a sorpresa, considerati i dati osservazionali che diminuendo per alcuni anni la colesterolemia con una "statina" si riduce il rischio di ictus del 24%28-30. Se si potesse ottenere una simile riduzione di rischio relativo nei pazienti con TIA o ictus, un trattamento con statine ridurrebbe l'incidenza annuale di ictus dal 7% al 5,3%. Se venissero trattati con statine i 4.800 (40%) pazienti con TIA o ictus che hanno una "ipercolesterolemia" (270 mg/dl), su una popolazione di 1 milione di persone6,24, l'incidenza annuale di ictus scenderebbe da 336 (7%) a 255 (5,3%), riducendo di 81 (3,4%) i 2.400 casi di ictus che si verificano ogni anno nella popolazione.
Se si utilizzasse la simvastatina, 20 mg al giorno (o la pravastatina 20-40 mg) che costa 420 euro per paziente all'anno2, si spenderebbero 24.600 euro per trattare 59 pazienti con ictus per evitare un ictus ogni anno.
Antiaggreganti piastrinici
L'aspirina, somministrata a pazienti con TIA o ictus ischemico, ad un dosaggio superiore a 75 mg al giorno, riduce del 13% il rischio relativo di ictus e di altri eventi vascolari maggiori31. Questa stima si basa su una revisione sistematica limitata agli 11 studi condotti sull'impiego dell'aspirina in pazienti con storia di TIA o ictus31. Sono stati esclusi gli studi condotti su pazienti affetti da un più ampio spettro di vasculopatie sintomatiche a livello cardiaco o cerebrale o agli arti (ad esempio angina, infarto miocardico, ictus, TIA, vasculopatia periferica o storia di intervento chirurgico vascolare recente) che dimostrano invece come l'aspirina sia in grado di diminuire del 22% il rischio relativo di eventi vascolari maggiori32. Se l'aspirina riduce il rischio di ictus in pazienti con precedente TIA o ictus dal 7% a 6% per anno, il numero di pazienti da trattare (NNT) per evitare un ictus è 100. I pazienti candidati al trattamento con aspirina rappresentano il 75% di quelli con storia di TIA o di ictus ischemico (il 5% dei pazienti non tollera l'aspirina e 20% ha bisogno di anticoagulanti per la presenza di fattori di rischio tromboembolico come la fibrillazione atriale). Perciò l'aspirina, somministrata a 8.000 (75%) dei 10.650 pazienti con storia di TIA o ictus [3.000 TIA + 7.650 (85% x 9.000) ictus] su una popolazione di 1 milione di persone, potrebbe ridurre ogni anno il numero di ictus da 560 (7% ) a 480 (6%), prevenendo così 80 ictus ogni anno (3,3% di tutti gli ictus).
Rispetto all'aspirina, il clopidogrel riduce ulteriormente il rischio di ictus e di altri eventi cardiovascolari maggiori portandolo dal 6% (con l'aspirina) al 5,4% per anno33. Quindi, trattando tutti gli 8.000 pazienti con precedente TIA o ictus ischemico con clopidogrel si potrebbero evitare ogni anno 48 ictus in più rispetto all'aspirina (il 2% di tutti gli ictus). I casi di ictus evitati diventerebbero 128 (5,3% di tutti gli ictus, NNT = 62), se il confronto venisse fatto rispetto a pazienti che non assumono alcun antiaggregante.
L'associazione fra aspirina e dipiridamolo in una preparazione a lento rilascio può essere più efficace dell'aspirina da sola. Sommando i risultati dei quattro studi precedenti con quelli del secondo Studio Europeo sulla Prevenzione dell'Ictus (ESPS-2)34, si ottiene che l'associazione tra aspirina e dipiridamolo riduce il rischio di ictus dal 6% circa (con l'aspirina) al 5,1% ogni anno35. Se questi risultati verranno confermati dagli studi in corso (ad es. l'ESPRIT)36 e se gli 8.000 pazienti con precedente TIA o ictus ischemico assumessero l'associazione aspirina/dipiridamolo, il numero di ictus per anno si ridurrebbe da 480 (6%) a 408 (5,1%), evitando così ogni anno 72 ictus in più rispetto alla sola aspirina (3% di tutti gli ictus). Se il confronto venisse fatto rispetto a pazienti che non assumono alcun trattamento antiaggregante, gli ictus evitati sarebbero 152 (6,3% di tutti gli ictus, NNT = 53).
L'aspirina costa 12 euro all'anno per paziente2, il che significa che per prevenire 1 ictus si spenderebbero 1.200 euro per trattare per un anno 100 pazienti con percedente TIA o ictus. Il costo del clopidogrel è di 720 euro per paziente/anno; occorrono perciò circa 44.640 euro per trattare 62 pazienti per un anno per prevenire un ictus. Il costo del dipiridamolo è di 198 euro all'anno; occorrono quindi circa 11.130 euro per trattare per un anno 53 pazienti con precedente TIA o ictus con aspirina (636 euro) e dipiridamolo (10494 euro) per prevenire un ictus.
Anticoagulanti
Nei pazienti con storia di TIA o di ictus ischemico che sono affetti da fibrillazione atriale37, il trattamento a lungo termine con anticoagulanti (INR prefissato 3) riduce dal 12% al 4% il rischio annuale di ictus. L'anticoagulante può essere indicato nel 20% (2.130) dei pazienti con precedente TIA o ictus ischemico che presentano fattori di rischio tromboembolico, soprattutto una fibrillazione atriale6,24. Tuttavia, solo una parte di questi possibili candidati al trattamento anticoagulante (circa un quarto) viene effettivamente trattata38. Se, per ipotesi, ad assumere l'anticoagulante fosse anche solo la metà dei pazienti candidati, il trattamento di questi 1.065 soggetti si tradurrebbe in una diminuzione di due terzi del numero degli ictus per anno, passando dal 12% (128) al 4% (43), e si eviterebbero così 85 (3,5%) dei 2.400 ictus che si verificano in un anno.
Escludendo le spese richieste per il monitoraggio ematologico, per le visite mediche non programmate e relativi viaggi, e i costi indotti dalla comparsa di gravi emorragie (che si manifestano nello 0,5%-0,8% dei pazienti), il costo medio annuale di un trattamento anticoagulante è di circa 60 euro per paziente2,39. Pertanto, trattare con un anticoagulante 12 pazienti con precedente TIA o ictus ischemico costa almeno 720 euro ed evita un ictus all'anno.
Endoarteriectomia carotidea per stenosi sintomatica della carotide
Nei pazienti con una storia recente di TIA con sede nel distretto carotideo o di ictus ischemico lieve, che hanno una grave stenosi carotidea, che sono idonei, e favorevoli, all'intervento chirurgico, l'endarterectomia carotidea riduce il rischio di ictus a 3 anni dal 26,5% (8,8 all'anno) al 14,9% (5,0% all'anno)40. Solo l'8% dei pazienti con TIA o ictus ischemico rientra nei criteri precedenti, il che significa 850 dei 10.650 che si contano in una popolazione di 1 milione di persone6,41. L'endoarteriectomia carotidea, eseguita su questi 850 pazienti, diminuirebbe di 32 il numero annuale degli ictus (1,3% di tutti gli ictus ogni anno). Questo intervento ha un costo complessivo di 4.200 euro per paziente, tenendo conto degli esami preoperatori, dell'intervento chirurgico in sé e del decorso postoperatorio42. Servono quindi 109.200 euro per eseguire questo intervento su 26 pazienti per evitare un ictus ogni anno per 3 anni42.
Commenti e prospettive
Al momento, l'assistenza coordinata presso una stroke unit è l'unico trattamento valido per tutti i pazienti, ma si tratta di una possibilità non concessa ai più data la scarsa disponibilità di tali strutture. Anche nell'eventualità che esistesse un numero tale di stroke unit da accogliere l'80% di tutti i casi di ictus (percentuale poco realistica ma raggiungibile in molti paesi), il ricovero in questa struttura consentirebbe di prevenire solo l'8% dei decessi e dei casi di invalidità nei pazienti che sopravvivono ad un ictus, ma si tratta di un risultato che vale la pena perseguire. L'aspirina è un farmaco facilmente disponibile e indicato nella maggior parte dei pazienti con ictus acuto, ma nel complesso ha una efficacia modesta, essendo in grado di prevenire il 2% dei decessi e delle invalidità. I trombolitici rappresentano una nuova, promettente, forma di trattamento. L'uso dei trombolitici si basa su un presupposto teorico molto valido, ma è limitato ad una minoranza di pazienti, quelli cioè che riescono a capire di aver avuto un ictus, che si rivolgono all'ospedale rapidamente e in condizioni di sicurezza, che ricevono un'accurata valutazione clinica e vengono sottoposti alla TAC e che possono essere dichiarati esenti da qualsiasi diatesi emorragica o fattori di rischio importanti per emorragia intracranica; il tutto, al massimo, entro 6 ore, preferibilmente entro 3 ore17,18. Ed anche in questo caso, sarebbe necessario trattare 16 di questi pazienti così poco rappresentativi con un farmaco potenzialmente letale e costoso per prevenire 1 caso di morte o di invalidità, riducendo appena dell'1% il numero totale di morti e di non autosufficienti.
Anche se limitati, i dati dimostrano che il costo assistenzale di una stroke unit non è superiore a quello di un reparto di medicina generale13-15. È quindi probabile che l'assistenza erogata da una stroke unit possa avere un rapporto costo/efficacia molto vantaggioso dal momento che, a parità di esiti clinici col trattamento trombolitico, può essere estesa ad un numero molto più elevato di pazienti con ictus. Garantire un approccio multidisciplinare coordinato nell'ambito di una struttura "dedicata" deve quindi diventare il principale obiettivo cui tendere per migliorare l'assistenza ai pazienti con ictus; l'istituzione di una stroke unit potrà inoltre favorire il miglior uso dei trombolitici e consentirà di valutare in condizioni controllate altri farmaci promettenti.
Implicazioni sulla popolazione della prevenzione secondaria dell'ictus
Una prevenzione efficace rappresenta l'intervento che ha le maggiori possibilità di ridurre l'impatto dell'ictus sulla popolazione. Esistono due strategie complementari, l'approccio "di massa" e l'approccio su "pazienti ad alto rischio"43. In questa rassegna sono stati analizzati solo alcuni aspetti della seconda strategia, e più precisamente il trattamento dei pazienti con storia di TIA o di ictus. Non è stato preso in considerazione l'effetto molto più grande che potrebbe avere un approccio "di massa", già affrontato da altri16,43, né è stato valutato il beneficio addizionale di altre strategie complementari nella prevenzione dell'ictus, come ad esempio, quello di praticare una regolare attività fisica.
Dall'analisi condotta emerge che gli interventi che potrebbero avere il maggior impatto nella prevenzione dell'ictus a livello di popolazione sono una efficace riduzione della pressione arteriosa con i diuretici, l'impiego di aspirina o di anticoagulanti in pazienti con patologie cardiache favorenti il tromboembolismo e l'astensione dal fumo. Ciascuno di questi quattro interventi di prevenzione secondaria dell'ictus costa meno di 1.200 euro ogni ictus prevenuto, molto meno di ciò che si spende mediamente per trattare un ictus. Gli studi in corso potranno fornire dati più certi sul rapporto costo/efficacia degli ACE-inibitori, sulla combinazione aspirina/dipiridamolo e sulle statine. Al momento, l'uso del clopidogrel e il ricorso all'endarterectomia carotidea nei pazienti con precedente TIA o ictus non sembrano interventi il cui costo sia commisurato all'efficacia. Bibliografia
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