Vale la pena, ora più che mai, analizzare nel dettaglio il significato dell'osteoporosi della quale esistono diverse definizioni con risvolti psicologici ed implicazioni pratiche molto diverse. Dimenticata per anni o relegata a semplice ipotesi radiologica, l'osteoporosi ha attraversato varie fasi di notorietà legate essenzialmente alla pressione per promuovere farmaci: dapprima calcitonina ed ipriflavone fino ai vari bisfosfonati e stronzio ranelato passando attraverso le esperienze di fluoruri ed estrogeni. Si è passati dall'approssimazione della radiologia convenzionale e dall'erronea identificazione del problema col sintomo dolore a metodiche di laboratorio (marcatori, test di Nordin) e strumentali (densitometrie) per individuare le persone "a rischio" - e quindi non ammalate - alle quali proporre un trattamento preventivo.
Nel 1994 un ristretto gruppo di lavoro associato all'O.M.S. definì "normale" la densità minerale ossea della donna giovane-adulta. Il gruppo era stato finanziato dall'industria farmaceutica; nel documento si legge: "This meeting was organized by the WHO Collaborat-ing Centre for Metabolic Bone Disease, Sheffield … with financial support from the Rorer Foundation, Sandoz Pharmaceuticals and Smith Kline Beecham."1 Fu definita "osteoporosi" una condizione con densità ossea (BMD) di 2,5 deviazioni standard al di sotto del picco di massa ossea della donna giovane; gli stessi autori ammisero che questi erano limiti arbitrari, identificati per finalità epidemiologiche e non certo quella discriminante diagnostica che sarebbe invece poi entrata nell'uso clinico comune. Partendo dalla definizione di uno standard, grazie al contributo dell'industria, ha preso forma l'immagine di un'epidemia silenziosa e terribile che affligge milioni di donne dopo la menopausa: un'operazione al confine (spesso oltre i limiti) della malattia costruita, il cosiddetto "disease mongering", dove un fattore di rischio del tutto naturale viene trasformato in malattia.
Nell'ambito di questa strategia, la misurazione della BMD è ampiamente propagandata come il mezzo principale per scoprire l'osteoporosi, distogliendo di fatto l'attenzione dall'importanza delle cadute nel determinare le fratture clinicamente più importanti.
La linea guida americana del 2001 definisce, invece, l'osteoporosi come un "disturbo dello scheletro caratterizzato da una compromissione della resistenza dell'osso che predispone ad un aumentato rischio di frattura"2 e precisa che "la resistenza dell'osso esprime l'integrazione della densità e della qualità dell'osso", puntualizzando il concetto che esistono caratteristiche qualitative dell'osso che ne determinano la fragilità indipendentemente dalla mineralizzazione.
È dei primi mesi del 2008 la pubblicazione di tre articoli3,4,5 sulla prevenzione delle fratture, contenenti riflessioni che vanno decisamente in controtendenza rispetto al criterio di agire solo sulla BMD per diminuire il rischio di frattura.
Senza nulla togliere all'importanza dei bisfosfonati in popolazioni selezionate, i passaggi di queste messe a punto conducono ben oltre l'orizzonte angusto degli interventi sul contenuto minerale e stigmatizzano distorsioni della realtà tanto clamorose quanto ignorate. Si parte dal rilievo consolidato che la maggioranza delle fratture si verifica a seguito di una caduta in persone nelle quali la BMD non indica osteoporosi, per passare alla constatazione che il trauma, magari lieve, agisce su un osso reso fragile da cause diverse dalla demineralizzazione. Si giunge, infine, alla conclusione che agire sulla densità ossea consente di prevenire solo una percentuale modesta di fratture e quindi converrebbe impegnarsi piuttosto in strategie che riducano il rischio di caduta. Giustamente stigmatizzate le contorsioni statistiche che tentano di giustificare interventi terapeutici in sottogruppi di soggetti non osteoporotici utilizzando dati estratti da campioni insufficienti.
A seguito di tutto questo processo di rianalisi obiettiva, la densitometria si trova relegata ad un ruolo meno che secondario in una strategia ideale di prevenzione delle fratture, risultando inefficace nell'identificare la maggior parte delle persone che poi si frattureranno ed inutile nella decisione di iniziare una terapia già indicata dopo una frattura da fragilità o in una terapia cortisonica.
Il trattamento con bisfosfonati (BSF, denominazioni alternative bifosfonati o difosfonati) rappresenta l'intervento maggiormente studiato ed adottato nella riduzione del rischio di frattura. Sviluppati come farmaci inibitori del riassorbimento osseo per il trattamento della malattia di Paget, i BSF hanno ricevuto un impulso iniziale determinante dalla ricerca italiana; la proposta come possibili agenti anti-riassorbimento nell'osteoporosi è successiva e risale alla fine degli anni '80. Alla fine degli anni '90 sono divenute disponibili le prove di efficacia nella riduzione del rischio di nuove fratture in prevenzione secondaria, mentre le evidenze a sostegno della prevenzione primaria di fratture sono ad oggi decisamente limitate e circoscritte a popolazioni a rischio molto elevato. Dagli studi all'impiego clinico.Il festival delle "quasi verità" Pochi studi sulle fratture
L'effetto dei diversi BSF è stato valutato in numerosi studi riguardanti le modificazioni dei marcatori di rimodellamento osseo e l'incremento della BMD; gli studi sulla prevenzione delle fratture sono un'esigua minoranza. Questa asimmetria tra la moltitudine di studi che mostra un miglioramento degli esiti surrogati e lo sparuto numero di trials sulle fratture fa sì che per alcuni farmaci di ampio utilizzo manchino prove di efficacia (o addirittura esistano dimostrazioni di inefficacia) nella prevenzione delle fratture.
Prevenzione primaria al traino della secondaria
Esiste una ben pilotata attenzione a generalizzare l'efficacia di farmaci che hanno fornito risultati solo in specifiche popolazioni a rischio, estendendola ad una condizione generica di osteoporosi. Inoltre, in diversi trials6,7,8 la popolazione studiata include donne già fratturate assieme a donne con bassa BMD, estendendo artificiosamente l'efficacia dei trattamenti ad entrambe le condizioni; quando possibile, l'analisi dei dati disaggregati mostra invece come l'efficacia dell'intervento si limiti al solo gruppo di donne con fratture pregresse, mentre nessun beneficio è riscontrabile nelle donne che non avevano subito fratture6. In questo modo, i risultati della prevenzione secondaria "trascinano" i risultati della prevenzione primaria ad una significatività statistica che altrimenti non esisterebbe.
Se consideriamo come la maggior parte dei trattamenti con BSF avviene attualmente in prevenzione primaria, questo effetto artificioso di "traino" si traduce nella pratica quotidiana nell'esposizione per anni ai farmaci di popolazioni per le quali l'efficacia non è chiaramente documentata.
Uso in fasce di età dove l'efficacia non è documentata
Un altro caso di inappropriata estensione delle evidenze disponibili è rappresentato dal trattamento di persone di età diverse da quelle incluse negli studi di riferimento. Nei primi anni dopo la menopausa, le donne sono esposte ad un rischio di frattura decisamente minore rispetto a quelle incluse nei grandi trials; per loro, anche se mancano dati di efficacia per i BSF nella prevenzione delle fratture, vengono correntemente proposte strategie di screening e conseguenti trattamenti.
Prevenzione delle fratture: non tutti i farmaci hanno uguali prove di efficacia
Nello sviluppo della ricerca sui BSF, non tutte le molecole hanno fornito risultati sovrapponibili. Nelle recenti revisioni della nota 79 sono stati definiti concedibili in fascia A alendronato, risedronato ed acido ibandronico e la scheda tecnica riporta l'indicazione "osteoporosi" anche per acido clodronico e zoledronico (non per l'acido neridronico), ma le evidenze della letteratura non pongono tutte le molecole sullo stesso piano. Etidronato
Il miglioramento della BMD non si associa a riduzione delle fratture
L'etidronato è stato il primo BSF studiato nella prevenzione delle fratture da fragilità. Con lo schema che prevedeva 400 mg/die per 14 giorni, seguiti da 76 giorni di trattamento con calcio carbonato ogni tre mesi, i risultati dei primi studi in donne con osteoporosi post-menopausale avevano mostrato effetti incoraggianti sulla mineralizzazione e sugli indici di turnover osseo, autorizzando prospettive ottimistiche nella prevenzione delle fratture anche a lungo termine9,10. Studi condotti in seguito su campioni adeguati e per periodi sufficientemente lunghi non hanno confermato le speranze iniziali: la BMD migliorava nelle donne trattate, ma il beneficio in termini di riduzione del rischio di frattura era controverso. L'insuccesso fu attribuito – soprattutto per trattamenti continuativi protratti – allo sviluppo di osteomalacia11,12, rivelando ancora una volta come il miglioramento della BMD non necessariamente debba tradursi in un ridotto rischio di frattura. La ricerca si è quindi spostata verso composti caratterizzati da un effetto meno aggressivo sugli osteoclasti e nello stesso tempo dotati di una maggiore potenza.
Alendronato
Efficace su tutte le fratture in prevenzione secondaria e primaria in donne a rischio molto elevato
Le prime prove di efficacia di un BSF su grandi numeri nella prevenzione delle fratture riguardano l'alendronato. I risultati furono conseguiti inizialmente in donne con una storia di fratture vertebrali13,14; successivamente, studi di adeguata potenza ne hanno dimostrato l'efficacia sulle fratture da fragilità in generale ed in prevenzione primaria (cioè donne che non avevano subìto fratture in precedenza)15. L'effetto è evidente soprattutto sulle fratture vertebrali, ma nelle donne con demineralizzazione più accentuata (T score medio del campione in esame – 3,13) anche il rischio di fratture non vertebrali risulta ridotto in modo significativo da un trattamento protratto per 4 anni in prevenzione primaria.
Una recente revisione Cochrane16 ha valutato tutti gli studi clinici ed è giunta alla conclusione di una efficacia in prevenzione primaria e secondaria della somministrazione orale giornaliera del farmaco in dose di 10 mg. La monodose settimanale di 70 mg possiede al momento solo documentazioni di equivalenza rispetto alla dose giornaliera in riferimento ad esiti surrogati: BMD, marcatori di riassorbimento – neoformazione ossea17.
Uno studio realizzato in una popolazione mista di 241 maschi, composta per metà da pazienti già fratturati e da soggetti a rischio in prevenzione primaria, ha rilevato una riduzione del rischio di fratture vertebrali nel gruppo trattato per due anni con alendronato 10 mg al giorno; nel maschio non sono disponibili dati in prevenzione primaria o sull'effetto preventivo in sedi non-vertebrali.18 Risedronato
Efficace su tutti i tipi di frattura, ma solo in prevenzione secondaria
Il risedronato è stato commercializzato dopo l'alendronato. Del farmaco veniva vantata la "maggiore potenza" (che significa semplicemente efficacia a dosi inferiori) e una migliore tollerabilità rispetto all'alendronato: studi successivi di più ampie dimensioni hanno delineato un profilo di rischio non dissimile per le due molecole.
Alcuni trial importanti hanno dimostrato l'efficacia di 5 mg/die di risedronato nella riduzione delle fratture vertebrali in donne con una storia di fratture19,20,21.
In una popolazione mista di donne con grave demineralizzazione, 5 mg/die di risedronato si sono dimostrati efficaci nella prevenzione delle fratture femorali; se si considerano i dati disaggregati, l'effetto è limitato alle donne che già avevano subito una frattura, mentre nella sottopopolazione in prevenzione primaria i risultati non sono significativi nonostante l'elevata demineralizzazione o l'età avanzata22. Nel 2002, è stata fatta una analisi dei dati di studi precedenti confrontando gli effetti del risedronato e del placebo sulle fratture vertebrali in donne senza storia di fratture. La metodologia dell'analisi è discutibile e le conclusioni favorevoli degli autori sono state criticate23; una recente revisione Cochrane, comprendente anche altri studi, ha concluso che non esistono prove di efficacia del risedronato in prevenzione primaria24.
La somministrazione di risedronato 75 mg/die per 2 giorni consecutivi al mese, rappresenta la "risposta" del risedronato alle altre molecole a somministrazione intermittente: i risultati preliminari sono incoraggianti, ma le esperienze sono al momento limitate ad un solo anno di sperimentazione25.
Acido clodronico
Efficace solo per via orale e non nelle fratture di femore
Le preparazioni iniettabili di acido clodronico vengono ampiamente utilizzate nella pratica corrente nel trattamento dell'osteoporosi con diversi schemi posologici. L'indicazione "osteoporosi" è inclusa nella scheda tecnica del clodronato, ma la nota 79, anche nell'ultima versione, non ne prevede la concedibilità in fascia A.
Nel corso del 2007 sono stati pubblicati i risultati di un RCT26 in cui il clodronato, somministrato per via orale, è stato confrontato col placebo in una popolazione di donne selezionate esclusivamente in base all'età (³75 anni) e a rischio elevato di frattura (all'arruolamento il 38% aveva già presentato una frattura). In questa popolazione, 800 mg/die di clodronato hanno ridotto significativamente il numero di fratture "cliniche" (tutte le sedi), senza tuttavia incidere sul rischio di frattura di femore (obiettivo primario dello studio). Lo studio dimostra, quindi, l'efficacia del farmaco nella prevenzione delle fratture non femorali, ma con modalità di trattamento differenti da quella maggiormente in uso in Italia.
Per la formulazione iniettabile del clodronato non esistono ad oggi dati di efficacia sulla riduzione del rischio di fratture osteoporotiche. Acido ibandronico
Efficace solo in prevenzione secondaria e limitatamente alle fratture vertebrali
I dati di efficacia dell'ibandronato per os sulla riduzione delle fratture sono limitati allo studio BONE pubblicato nel 200427. Gli studi successivi hanno documentato solo le preferenze delle pazienti o gli effetti sulla densità minerale ossea di somministrazioni intermittenti confrontate alla somministrazione giornaliera (studio MOBILE) oppure hanno analizzato sottogruppi di pazienti già incluse nello studio BONE28,29. Resta il fatto che gli unici dati di efficacia disponibili per l'ibandronato nella prevenzione delle fratture sono relativi al distretto vertebrale e limitatamente a donne con una storia di fratture.
L'acido ibandronico, con uno schema di somministrazione diverso da quello approvato per l'osteoporosi (2 mg endovena ogni 3 mesi), è risultato efficace nella prevenzione delle fratture indotte da terapia con glucocorticoidi30.
Acido zoledronico in monodose annuale
Efficace quasi esclusivamente in donne a rischio molto elevato
L'acido zoledronico viene impiegato con successo nella riduzione del rischio di fratture in pazienti neoplastici con metastasi ossee e nella malattia di Paget ossea con schemi di somministrazione circa-mensile31. Il farmaco è efficace a dosi molto basse e questa caratteristica ne consente l'infusione endovenosa in breve tempo (15-30 minuti)32; la lunga durata dell'effetto terapeutico ha portato a valutarne l'efficacia in donne affette da osteoporosi post-menopausale con somministrazioni a cadenza annuale33. La monodose annuale e.v. di 5 mg di acido zoledronico per 3 anni ha ridotto il rischio di fratture vertebrali morfometriche ed il rischio di fratture cliniche in generale (comprese le fratture di femore) in donne in post-menopausa a rischio molto elevato (nello studio HORIZON, il 64% aveva già presentato una frattura8). Lo studio HORIZON HF34ha arruolato in prevenzione secondaria donne e uomini, sottoposti ad osteosintesi di femore (entro 30 giorni): nel gruppo di pazienti trattati è stata osservata una riduzione del rischio di fratture vertebrali e cliniche in generale (ma non di femore) e della mortalità dopo osteosintesi.
La documentazione disponibile sull'acido zoledronico ne sostiene ragionevolmente l'impiego in prevenzione secondaria, tenendo conto del fatto che le evidenze provengono solo da due studi e che la modalità di somministrazione endovenosa di dosi elevate espone maggiormente ad effetti indesiderati anche gravi legati ai picchi ematici del farmaco. Acido neridronico
Per ora off-label, mancano studi sulle fratture da osteoporosi
L'acido neridronico è disponibile in fiale da 25 mg per somministrazione i.m. o e.v. e in flaconi da 100 mg per somministrazione e.v. approvati per il trattamento della malattia di Paget e dell'osteogenesi imperfetta, ma non dell'osteoporosi. La maggior parte degli studi è stata effettuata in pazienti affetti da osteogenesi imperfetta; i dati relativi all'impiego nell'osteoporosi (50 mg i.m. al mese o 100 mg e.v. ogni 2 mesi) sono limitati all'analisi della BMD e degli indici di turnover osseo in campioni di popolazione esigui, non idonei a valutare l'effetto sulle fratture35. Conoscere gli eventi avversi per una corretta analisi beneficio/rischio
Se somministrati in modo corretto, i BSF sono farmaci generalmente ben tollerati. Per annullare il rischio di esofagite, primo evento avverso serio descritto per l'alendronato36, è molto importante evitare il contatto prolungato con la mucosa esofagea. L'assunzione a stomaco vuoto da 2-3 ore è essenziale per non interferire con l'assorbimento dei BSF, già basso di per sé, ma è altrettanto importante introdurre almeno 200 ml di acqua non gasata, avendo cura di mantenere una posizione eretta o seduta per almeno 30 minuti onde evitare la permanenza del farmaco a livello esofageo–cardiale. Da evitare l'assunzione dei BSF in concomitanza di integratori, cibi o bevande ricchi di calcio (latte e derivati) che ne limiterebbero grandemente la biodisponibilità.
I problemi più comuni sono legati ad una tossicità intestinale diretta, con dispepsia di varia gravità (sino al 20-25% dei pazienti trattati). Altri disturbi relativamente frequenti, soprattutto con le modalità di somministrazione intermittenti di alte dosi (sino al 20% dei casi), sono sintomi di malessere generale, anche gravi (febbre, mialgie, cefalea, ecc.) per 2-4 giorni, che tendono ad attenuarsi nelle somministrazioni successive.
È importante sottolineare come gli studi clinici controllati non rappresentino il "setting" ideale per l'identificazione degli eventi rari che vengono meglio individuati da una attenta farmacovigilanza. Gli studi condotti in popolazioni relativamente ristrette e selezionate evidenziano gli effetti indesiderati più frequenti, non necessariamente quelli più gravi che sono più rari e rilevabili solo con un loro uso più ampio. Soprattutto se gravi, anche gli eventi avversi meno frequenti devono essere tenuti presenti sia nella scelta prescrittiva che, soprattutto nel corso del trattamento, per interromperlo in caso dovessero manifestarsi. La maggiore frequenza di effetti indesiderati è stata segnalata in pazienti con età avanzata, nei politrattati e con l'utilizzo intermittente di alte dosi37.
Fibrillazione atriale grave.Nello studio HORIZON, è stata descritta nell'1,3% delle donne trattate con acido zoledronico e.v. rispetto allo 0,5% delle donne trattate con placebo, con un NNH (Number Needed to Harm) di 125, cioè un caso in più di fibrillazione ogni 125 donne trattate con acido zoledronico. La segnalazione di casi di fibrillazione atriale in pazienti trattati con alendronato fa ritenere possa trattarsi di un effetto di classe; è in corso una revisione della FDA sul profilo di sicurezza dei BSF per questo evento, non confermato in altri RCT e da un recente studio caso-controllo38. Perforazione esofagea39 ed esofagite grave40 sono state descritte (circa 1 caso ogni 9.000 trattati), ma le segnalazioni si sono ridotte con l'assunzione orale corretta dei farmaci. Disturbi oculari.Nelle pazienti trattate sia con i BSF iniettivi che con le formulazioni orali sono stati riportati casi di uveite, sclerite e anche cecità: la frequenza non è ben definibile, ma in caso di insorgenza è prudente sospendere il trattamento41. Osteo-artro-mialgie croniche. Spesso trascurate dai pazienti che le attribuiscono erroneamente all'osteoporosi, le sindromi dolorose conseguenti all'assunzione dei BSF vengono segnalate con frequenza sempre maggiore. Questo ha indotto l'FDA a diffondere nel gennaio 2008 una nota che invita a sospendere i trattamenti con BSF quando associati a dolori osteo-artro-mialgici per i quali è richiesto l'uso protratto di analgesici42.
Osteonecrosi della mandibola. Rappresenta l'effetto avverso che, per gravità, più ha colpito l'opinione pubblica, causando reazioni a volte esagerate nella stessa classe medica. L'osteonecrosi mandibolare è riportata più frequentemente in pazienti neoplastici trattati con BSF ad alte dosi, ma anche a seguito di trattamenti orali per osteoporosi. La prevalenza stimata è di 7 casi ogni milione di trattati e sembrano essere fattori di rischio aggiuntivi l'età >65 anni ed i trattamenti concomitanti con estrogeni o cortisonici43.
Un trauma da avulsione dentaria è quasi sempre correlato all'insorgenza del problema la cui gravità è solitamente proporzionale alla severità del trauma stesso. La sede preferenziale della mandibola sembra legata alla contaminazione batterica ed è per questo che l'adozione di rigorose misure igieniche è ritenuta elemento essenziale nella prevenzione e nel trattamento di questo effetto avverso. Non esistono test diagnostici in grado di prevedere l'insorgenza del problema che viene segnalato dal dolore: la complicanza va sospettata quando una avulsione dentaria o una manovra chirurgica sono seguite da una sintomatologia dolorosa ingravescente o che non si risolve. Le raccomandazioni emesse dall'Associazione dei Dentisti Americani consentono di ridurre (ma non annullare) il rischio di osteonecrosi44.
Raccomandazioni per limitare il rischio di osteonecrosi della mandibola
- Una corretta e costante igiene orale è utile nel ridurre il rischio di osteonecrosi mandibolare.
- In caso di malattie dentali multiple si deve procedere alla cura di un dente per volta, lasciando trascorrere almeno 2 mesi prima di procedere e mantenendo la disinfezione accurata del cavo orale con clorexidina.
- In caso di infezioni odontoiatriche sono consigliate terapie di 14 gg. con amoxicillina 500 mg x 3/die ± metronidazolo 250 mg x 3/die; nei pazienti allergici ai beta-lattamici, clindamicina 300 mg x 3/die per 14 gg. o azitromicina 250 mg/die per 10 gg.
- Gli interventi chirurgici maxillo-facciali sono da riservare a casi selezionati, previo consenso informato del paziente.
Linea Guida Pratica sull'osteonecrosi della mandibola (2006) Associazione dei Dentisti Americani
Prevenzione delle fratture con BSF Quando? Con quali farmaci? Per quanto tempo?
La scelta di iniziare un trattamento di prevenzione delle fratture con BSF deve essere effettuata dopo una rigorosa valutazione caso per caso, tenendo conto degli importanti eventi avversi che possono verificarsi per trattamenti inevitabilmente protratti. Negli studi che hanno dimostrato l'efficacia dei BSF, era previsto un apporto controllato di calcio e vitamina D. Come rilevato da un gruppo italiano, la somministrazione di supplementi calcio-vitaminici non è un "optional" prescindibile del trattamento con BSF, ma ne rappresenta un complemento importantissimo senza il quale si rischia di compromettere l'efficacia anti-frattura della terapia45. Resta la consapevolezza dei limiti del trattamento con BSF, in grado di ottenere risultati in una ristretta fascia di soggetti a rischio molto elevato e allo stesso tempo va sottolineata l'importanza di interventi atti a sviluppare una coscienza diffusa sul ruolo delle cadute, vero elemento determinante della maggior parte delle fratture4.
La Tabella riassume le evidenze attualmente disponibili sulla efficacia dei bisfosfonati nella prevenzione delle fratture osteoporotiche.
Prevenzione secondaria
I risultati migliori nella prevenzione delle fratture con BSF sono stati conseguiti in prevenzione secondaria in persone con una storia pregressa di frattura da trauma lieve. Pur sapendo che il trattamento farmacologico è solo uno dei provvedimenti finalizzati alla diminuzione del rischio di frattura, in tutti i pazienti con pregressa frattura da fragilità dovrebbe essere preso in considerazione un trattamento con BSF. Nonostante l'assenza di studi di confronto "testa a testa", per questa indicazione alendronato e risedronato risultano documentati sia nella riduzione del rischio di frattura del femore che delle vertebre e di tutte le fratture cliniche; l'ibandronato si è dimostrato efficace limitatamente alla prevenzione delle fratture vertebrali. I dati relativi all'acido zoledronico (una somministrazione annuale di 5 mg per via endovenosa) sono di buona qualità, ma del farmaco è prevista attualmente la sola erogazione ospedaliera.
Prevenzione primaria
Nelle persone che non hanno subito fratture esistono provvedimenti preventivi che, se applicati correttamente, possono ridurre il rischio di caduta in modo consistente e risultare più efficaci dei trattamenti farmacologici nel ridurre l'incidenza di fratture. Poiché l'efficacia in prevenzione primaria è stata dimostrata solo in donne anziane e con demineralizzazione severa, i BSF non dovrebbero essere utilizzati in altre categorie di pazienti. La decisione di iniziare un trattamento con BSF deve tenere conto dei criteri della nota 79 che ne stabiliscono la concedibilità in fascia A, ma anche e soprattutto della valutazione clinica complessiva; i benefici del trattamento sono, infatti, quantitativamente modesti visti gli elevati NNT, cioè la necessità di trattare un numero elevato di persone per periodi molto lunghi (minimo 3 anni) al fine di evitare un evento (frattura). Il giudizio operativo deve pertanto considerare l'età e i vari criteri clinici che individuano situazioni a rischio superiore: solo in questi casi ha senso l'esecuzione della densitometria.
Tra i BSF solo l'alendronato possiede dati di efficacia in prevenzione primaria16.
Uno studio osservazionale ha valutato il rischio di fratture non vertebrali in due coorti di pazienti trattate con alendronato o risedronato, mostrando dopo un anno di trattamento un rischio di frattura leggermente inferiore nelle donne trattate con risedronato (2,0%) rispetto al gruppo che aveva assunto alendronato (2,3%). I risultati di questo studio retrospettivo non hanno ovviamente lo stesso valore di quelli di un RCT e indicano comunque una differenza di dubbia rilevanza clinica, con possibilità di distorsioni provenienti dalle diversità tra le due coorti46.
Le somministrazioni intervallate da 1 o 4 settimane, oggi assai diffuse per una indiscutibile comodità di impiego, non dispongono di prove di efficacia sulle fratture, ma solo di incremento della BMD.
In assenza di studi di confronto "testa a testa" sulle fratture, visto che il profilo di tollerabilità dei vari farmaci non differisce in modo significativo, sembra giustificato orientare le scelte verso i farmaci meglio documentati (alendronato e risedronato). Prevenzione durante trattamenti cortisonici
Per periodi di trattamento superiori a 3 mesi con dosi di 7,5 mg/die di prednisone o dosi equivalenti di altri cortisonici, esiste indicazione ad iniziare un trattamento con un BSF47. Per pazienti ultracinquantenni, la nota 79 prevede la prescrivibilità in fascia A anche in caso di trattamenti steroidei per dosi e tempi diversi laddove coesista una demineralizzazione femorale con T score < -3. Alendronato e risedronato risultano i composti meglio documentati per via orale48,49, mentre per l'acido ibandronico l'effetto preventivo sulle fratture in pazienti trattati con cortisonici è stato dimostrato solo per la somministrazione endovenosa30.
Durata dei trattamenti
Con i BSF, il problema principale riguarda la decisione se iniziare o meno il trattamento; non vi sono indicazioni sulla la sua durata. Gli studi hanno considerato generalmente periodi di 2-4 anni; sono disponibili pochi dati per periodi di trattamento superiori. La lunga persistenza dei BSF nell'osso consente tuttavia di ipotizzarne un effetto preventivo anche dopo la sospensione del trattamento. In uno studio, 1.009 pazienti che avevano assunto alendronato (5 o 10 mg/die) per 5 anni sono state randomizzate a sospendere il trattamento (placebo) o a continuarlo; dopo 5 anni, nelle pazienti non più trattate si è osservata una riduzione della BMD all'anca (-2,4%) ed in sede vertebrale (-3,7%), con livelli che si mantenevano comunque oltre il livello basale di 10 anni prima50. Il rischio cumulativo di fratture non-vertebrali non differiva tra le pazienti che avevano continuato il trattamento e quelle che l'avevano sospeso; l'unica differenza era relativa alle fratture vertebrali clinicamente evidenti (2,4% vs.5,3%). I risultati indicano che la sospensione dell'alendronato dopo 5 anni di trattamento non sembra aumentare significativamente il rischio di fratture. Le donne ad alto rischio di fratture vertebrali clinicamente rilevanti potrebbero, però, beneficiare della continuazione della terapia oltre i 5 anni.
Viste le particolari fasce di popolazione nelle quali i BSF sono impiegati, nella scelta se continuare o meno il trattamento dovranno essere presi in considerazione, oltre ai dati della letteratura, anche i contesti clinici e soprattutto le patologie e le terapie concomitanti in grado di modificare il profilo beneficio/rischio del trattamento.
Conclusioni "per punti"
L'osteoporosi non è una epidemia silenziosa che affligge milioni di donne dopo la menopausa: è un fattore di rischio naturale, una "malattia" letteralmente inventata.
La maggior parte delle fratture si verifica a seguito di una caduta in donne non osteoporotiche alla densitometria.
Agire sulla densità ossea consente di evitare solo poche fratture; è più importante impegnarsi per ridurre il rischio ambientale di cadute.
Nella strategia di prevenzione delle fratture, la misurazione della densità ossea non serve. Ai fini decisionali quello che conta è il giudizio clinico complessivo.
Il trattamento con bisfosfonati è indicato dopo una frattura da fragilità o in corso di terapia cortisonica orale. Alendronato e risedronato dispongono delle migliori prove di efficacia in somministrazione orale continuativa.
Nelle donne in età immediatamente post-menopausale, il rischio di fratture è molto remoto. Il trattamento deve essere riservato alle donne con fattori predisponenti (storia familiare di fratture vertebrali, menopausa prima dei 45 anni, artrite reumatoide e altre connettiviti) e demineralizzazione marcata (solo in questo caso ha senso eseguire la densitometria). L'alendronato è l'unico farmaco dimostratosi efficace in prevenzione primaria.
Il trattamento con bisfosfonati va sempre associato a calcio e vitamina D.
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