Questo editoriale avrebbe già raggiunto un suo scopo (certo minimale, ma serio) se contribuisse ad assicurare qualche lettore attento in più all'articolo di Maestri et al.
Un obiettivo aggiuntivo – forse ancor più rilevante, ma con verosimilmente molto più scarse speranze di esito favorevole – è quello di fare della lettura "attenta" del contributo su bisfosfonati (BSF) e prevenzione il punto di partenza per (almeno) immaginare, e (addirittura) definire-adottare un protocollo che permetta di collegare i dati (ed ancor più la logica) dell'articolo con la realtà del quotidiano: quella che si riflette nelle stime economiche del "valore" di mercato dei BSF nella variabilità delle pratiche mediche (quella della MG e non solo degli specialisti), nel grande successo dei BSF sulle scene dell'ECM e della propaganda, ma anche dei mass-media.
Una chiave di lettura "autorevole", e che può introdurre perfettamente alla metodologia (e alla cultura) dell'articolo che si raccomanda (per l'ultima volta!) di leggere, può essere trovata in un altro editoriale di un "bollettino di informazione" più blasonato di ISF come è JAMA (October 15, 2008, n. 15 pag. 1817), che ricorda, ed analizza in modo puntuale, uno degli snodi vari del rapporto tra "conoscenze disponibili" e "conoscenze praticabili", che è al centro delle contraddizioni attuali della medicina (N.B. Per i non-soddisfatti dell'autorevolezza di questo editoriale, può essere utile la lettura di quello che, nello stesso numero di JAMA, lo segue a pag. 1819).
Che cosa dice dunque – culturalmente e metodologicamente – il contributo di Maestri et al, proponendone una sinossi grafica nella Tabella, e un promemoria nelle "conclusioni per punti"? In estrema sintesi: le "evidenze" sono un groviglio inestricabile di "so e non so", di "è chiaro che, ma non so se", di "raccomandazioni e cautele", di "domande aperte" su durata, popolazioni……
Che cosa sottolinea l'editoriale di JAMA, fin dal suo titolo, e con una saggia-antica citazione bibliografica per descrivere come e perché i medici sono in dis-equilibrio perenne tra sapere e fare [è la nota 16 (Profession of Medicine: A Study of the Sociology of Applied Knowledge), che rimanda agli albori, 1970, della terapia farmacologica "moderna")?
Le "linee guida per la pratica" sono/saranno/non possono che essere "disconnected" (= non in sintonia, in perenne problema di comunicazione-continuità con) "la pratica clinica".
Il caso dei BSF così come analizzato (con passione per la logica e le metodologie delle evidenze), mette molto bene in evidenza di fatto un problema generale: che non può essere considerato transitorio, o marginale, in quanto è generato dal modo con cui [finora] si produce la conoscenza da cui nascono le linee guida. E' in questo stadio iniziale che si produce la "dis-connection". A situazioni cliniche si cerca di rispondere con interventi mirati ad un aspetto, o ad un marker, o ad una sottopopolazione. In quanto farmaci con un target ed un meccanismo d'azione, i BSF rappresentano bene la frattura logica, conoscitiva, assistenziale, operativa che esiste tra un loro ruolo "definito", e le tante componenti del problema "prevenzione dell'osteoporosi".
Il passo [in avanti?] proposto da questo editoriale è molto semplice, sostanzialmente ovvio:
la constatazione di una dissociazione, non la cancella, anzi ne impone l'adozione come "punto di vista" e "criterio di comportamento";
si tratta, nella "pratica clinica" di identificare e rendere visibile la [piccola? grande?] frazione di coloro che coincidono con uno o l'altro o tanti dei "buchi" conoscitivi che le "linee guida" devono riconoscere, proprio per essere fedeli alla logica delle "evidenze";
le "linee guida" definiscono ambiti di intervento ben delimitati, di cui diventa essenziale documentare (attraverso la misura prospettica di esiti) la corrispondenza in termini di efficacia e sicurezza con le "attese" delle stesse linee guida;
"l'intervento" sulla frazione [piccola? grande?] delle tante popolazioni che cadono fuori delle "linee guida" sugli interventi "raccomandati" è quello di considerarli ed adottarli come "ipotesi" di ricerca valutativa (sperimentale e/o osservazionale, a seconda che esista o meno un quadro conoscitivo e/o assistenziale che suggerisca-imponga una valutazione comparativa di due o più opzioni);
il caso-scuola BSF sottolinea che nella grande maggioranza dei problemi che oggi si affrontano nella medicina, la logica è quella di divenir capaci di guardare ed adottare "percorsi" dove le domande aperte riguardano (riconoscendone la reciproca "dipendenza") procedimenti e decisioni diagnostiche, interventi farmacologici e non, definizioni di "attese" che vengono discusse ed adottate in modo legittimo solo se si creano condizioni di dialogo-condivisione reale tra medici e pazienti, tenendo presenti le dimensioni economiche del problema.
La sequenza logica dei punti così formulati è in fondo ovvia: nulla di nuovo. Manca la documentazione di quale sarebbe una epidemiologia – delle incidenze, delle prevalenze, dell'assistenza di quel problema non dal punto di vista delle "linee guida" ma della "pratica clinica". Ad un tempo che ha fatto entrare come protagonista della "pratica" le "linee guida per la pratica", deve succedere un tempo – non alternativo, né tanto meno "negazionista", ma complementare, e parimenti "obbligatorio" – in cui protagoniste siano le tante pratiche cliniche che di fatto si producono per le popolazioni, i contesti assistenziali, le percezioni diagnostiche, i percorsi di prevenzione e cura, per cui mancano "linee guida".
Si tratta di ri-definire il ruolo, la plausibilità, il significato, la legittimità, i contenuti delle strategie che si rifanno a termini come "appropriatezza", "governo clinico", "gestione del rischio". Una interpretazione di questi obiettivi nella logica che le caratterizza come sorveglianza-misura di corrispondenza della "pratica" con le "linee guida" è di fatto profondamente riduttiva, e fuorviante. Se le linee guida delimitano di fatto solo "frazioni" del problema, le "appropriatezze", il "governo clinico", la gestione del rischio dovrebbero avere come oggetto prioritario ciò che si fa, ed i risultati che si producono, con le pratiche cliniche per le quali non esistono linee-guida.
Il caso-scuola dei BSF nella prevenzione dell'osteoporosi dice dunque che ad ogni revisione della letteratura che produce tabelle o conclusioni come quelle del contributo di Maestri et al. così dense di "non si sa", "non è chiaro", devono corrispondere uno o più protocolli di ricerca, che definiscono comportamenti che generano conoscenze "appropriate". L'informazione sui limiti dell'informazione disponibile si trasforma così in una guida alla produzione d'informazione.
Conclusioni → Prospettiva
Lo scenario che si è delineato può apparire difficile, o irrealistico. Di fatto fotografa una realtà dalla quale non si può sfuggire, se non nei termini che la nota bibliografica 16 evocata sopra rimandando all'editoriale di JAMA: quando non sono disponibili linee guida chiare e definitive, i medici (specialisti e non) "fanno qualcosa": dichiarano cioè che il problema dell'incertezza o dell'ignoranza (= riconoscere di non sapere ancora) non esiste, e che l'unica regola è quella di imporre ai/alle pazienti la "negazione dell'ignoranza", che è evidentemente la cronicizzazione dell'ignoranza, di cui è facile ignorare le conseguenze semplicemente non misurandole. Questo scenario non riguarda evidentemente solo il caso BSF. La lista dei problemi che riproducono la condizione della prevenzione della osteoporosi è lunga: per definizione, almeno quanto quella delle "linee guida". Ci si trova di fatto di fronte alla sfida più di fondo che la medicina deve affrontare una volta che ha incorporato, almeno in termini di principio, le linee-guida. Produrre nuove conoscenze, come unica strategia responsabile per gestire intelligentemente, le conoscenze che già ci sono è il compito di "appropriatezza" con cui ci si deve confrontare. E' una (ormai vecchia!) fissazione di IsF: quella che si è tradotta, ad esempio, nel protocollo sulla depressione (ISD) , e che attende di divenire la "normalità". Magari (chiedendole a Maestri et al?) a partire dall'osteoporosi.