Dedicare in modo specifico, ma non esclusivo, un editoriale all’area cardiovascolare è in un certo senso obbligatorio per questo numero. La specificità dell’interesse deriva da due contributi, che appaiono tra loro opposti, ma che sembra interessante considerare come complementari. Il primo occupa un posto importante nella bussola. Si tratta nello scenario del controllo del colesterolo, dell’apertura di un capitolo con profili farmacologici ed economici certamente molto “innovativi”. Il secondo contributo rimanda ad un commento – molto tecnico ed ancor più culturalmente ricco ed originale – dei risultati dello studio SPRINT dal punto di vista della medicina generale, che ne è in un certo senso la destinataria prioritaria. La proposta “rivoluzionaria” è quella di migliorare la morbi-mortalità cardiovascolare con un livello di PAS 120mmHg, prescindendo dal sesso, dall’origine etnica, dall’età. Domanda obbligata: quanto, ancora una volta, il cardiovascolare è specchio e simbolo di quanto accade e vale un po’ per tutta la medicina? La non-esclusività dell’interesse è una prova di risposta: coincide con la esplicitazione, attraverso citazioni sintetiche della più recente letteratura, del come oggi il vivere-agire da operatori sanitari obbliga a prendere sempre più sul serio il fatto di trovarsi ad essere protagonisti obbligati di scelte – conoscitive, professionali, etiche – tra scenari operativi che riproducono le sfide proposte dalle “rivoluzioni cardiovascolari”: dove è, e per chi, e come, il “nuovo” nella fruizione del diritto a più e miglior vita?
Rivoluzioni a confronto
I contributi cui si è fatto riferimento sono abbastanza dettagliati da dispensare da qualsiasi ulteriore richiamo di dati. Importa sottolineare la coincidenza cronologica dei due messaggi che si propongono come “normativi” per il futuro e la loro contrapposizione-complementarietà conoscitiva e di salute pubblica. Il protagonista di SPRINT è, sostanzialmente, la componente “personale-professionale” della conoscenza/assistenza: i risultati sono prodotti non con nuovi farmaci, ma con strategie molto (troppo per essere riproducibili?) intensive di monitoraggio, con un obiettivo di outcome assolutamente semplice da un punto di vista tecnologico, senza obiettivi diretti né implicazioni di tipo economico.
Dall’altra parte, l’anticorpo monoclonale che dichiara insufficiente, se non superata, un’era dominata dalle statine (delle quali è tutt’altro che chiarito il profilo di beneficio, non-teorico, né proiettato, ma di fatto attribuibile, per la maggior parte delle popolazioni) propone un cambiamento di paradigma che sta all’opposto del precedente: senza un supporto epidemiologico consolidato in termini di bisogni reali, si impone alla pratica medica ed ai servizi sanitari una scelta che ha una potenziale giustificazione di tipo scientifico e di salute pubblica, ma è anzitutto indiscutibile dal punto di vista economico1,2 . La domanda è di fondo, non solo per il CV: che cosa scegliere, non in teoria, ma avendo le persone-popolazioni reali come riferimento, quando i valori oggetto di scelte sono ambivalenti, quando non alternativi? Le “evidenze sul singolo problema” possono essere valutate comparativamente, ma quale è la loro “affidabilità” nella realtà di mercati e modelli predittivi che suggeriscono (così dicono anche editoriali autorevoli) più dubbi che certezze, escludendo variabili fondamentali come quelle dell’equità3-5 ?
Due ultime note, molto legate nel loro significato a quanto detto finora, prima di lasciare l’ambito cardiovascolare.Dal modello cardiovascolare alle rivoluzioni globali
La letteratura è stata particolarmente occupata (Lancet soprattutto, e PLoS Medicine, che se ne sono fatti portavoce,ma non solo) da vere e proprie “rivoluzioni” di linguaggio,di categorie di giudizio, di metodologie di valutazione, di ragionamenti etici, che vengono proposti come riferimento per l’agire, il ricercare, l’esprimere le proprie responsabilità professionali nel rapporto sanità → società, locale → mondo, medicina → altre discipline che sono competenti-determinanti di vita. Le citazioni che si propongono (sperando che se ne leggano attentamente almeno titoli e abstract) sono solo e semplicemente un pro-memoria assolutamente minimale9-16 , che può dare un’idea delle “novità” e delle implicazioni. I risultati del vertice di Parigi sul clima, così come le posizioni drammaticamente senza-dignità dell’Europa sui migranti, dicono sufficientemente quanto il “piccolo modello” cardiovascolare si riproduce a livello globale. Si costruiscono e approvano scenari che garantiscono, sanciscono, celebrano, misurano, il futuro, ma si lascia che le storie delle popolazioni reali siano affidate (± misurabili) al “destino”. Difficile la coerenza, culturale e operativa, tra sperimentazioni di linguaggi che annunciano nuove opportunità17 , e la povertà delle proposte operative, che proclamano come garanti di futuro cose così nuove come una generica primary health care18 , e/o la telenovela, esplicitamente contraddittoria (ma che proprio per questo si vende bene) che sono i dati, tanti, pieni di buone intenzioni e raccomandazioni, che portano salvezza: i progetti, che continuano a latitare-nascondersi-negarsi al di là delle “miniere a cielo aperto”, molto dannose, dei big-data, possono attendere: anzi, non servono19-20 . Si scopre infatti che chi soffre ha bisogno del vecchio “human touch”, e non di indicatori computerizzati che vigilano sull’evoluzione del suo star-male-della vita21 . Ne sanno qualcosa perfino gli inglesi che applicano alla storia di salute della loro nazione, 1990-2013, gli ultimi modelli di analisi e quantificazione: del carico globale di anni di vita guadagnati o persi, e di anni di vita più o meno aggiustati per disabilità. E “scoprono” che ciò che fa la differenza (drammatica, al di là della neutralità del linguaggio epidemiologico che rende tutto molto “ragionevole”, e dei ±70 autori che firmano l’articolo) sono i livelli di deprivazione socioeconomica22 . Nulla di nuovo. Ora ben quantificato. Rilocalizzato nelle diverse regioni. Avendo sottolineato che l’avere “stili di vita non salutari” è decisamente un fattore di rischio. La rivoluzione promessa dai MDG*, ma anche dall’abolizione del NHS, può attendere i prossimi obiettivi “sostenibili” (SDG*). E si ri-scopre perfino che anche la Grecia – non avendo dati, né risorse, né la possibilità di “studiarsi”, impegnati come si è nel sopravvivere – conferma che la “rivoluzione dell’austerità” fa proprio male, globalmente, alla vita, anche attraverso la dichiarazione, non verbale, ma sostanziale, che i servizi non sono legittimi finché le banche non lo permetteranno23 .