Quando dosare e come interpretare i valori della Vitamina D
Emilio Maestri Endocrinologo, Azienda USL di Reggio Emilia
Servizio Assistenza Territoriale, Direzione Generale Sanità e Politiche Sociali, Regione Emilia-Romagna
Con la diffusione delle metodiche di dosaggio, oramai alla portata della maggior parte dei laboratori, si sono posti numerosi problemi sull’appropriatezza della misurazione della vitamina D nella pratica clinica. Inoltre, il frequentissimo riscontro di dati refertati come anomali (col tristemente famoso asterisco, marchio d’infamia) pone l’accento sul reale significato clinico del dato e quindi sui limiti di normalità da adottare, e sui conseguenti provvedimenti da proporre in caso di risultati anomali. L’estensione del dosaggio a popolazioni sempre più ampie (come sostengono i fautori dello screening) espone al rischio di sovradiagnosi di ipovitaminosi D e pertanto di trattamenti inappropriati. Ad uno sguardo superficiale risulta difficile comprendere come nonostante l’abbondanza di dati, non si sia in grado di fornire indicazioni univoche per i clinici. Se si analizza in dettaglio la tipologia di studi disponibili (essenzialmente osservazionali) e le condizioni in cui si sono realizzati (spesso lontane dalla pratica reale) non si può non condividere la posizione astensionistica di importanti agenzie sanitarie nel fornire solide indicazioni per la pratica1 . Anche in quest’area, oltre i dati contradditori che rischiano di creare confusione, vi sono anche acquisizioni sulle quali esiste un consenso tale da essere raccomandabili per una “buona pratica clinica”. Quale parametro misurare?
Esiste consenso unanime nell’identificare il 25 idrossi colecalciferolo ( 25OHD) come indicatore dello status vitaminico; fanno eccezione i pazienti con difetto periferico della 1 idrossilasi con ridotta conversione a calcitriolo (es. nefropatie avanzate) dove dovrebbe essere misurato il prodotto finale calcitriolo o 1,25(OH)2D2,3 . Il dato viene solitamente espresso in ng/mL, tuttavia alcune metodiche (più diffuse nei paesi anglosassoni) presentano i risultati in nmol/L ed è ovviamente importantissimo fare attenzione all’unità di misura in quanto per convertire i dati da ng/mL a nmol/L bisogna moltiplicarli x 2,5. Bassi valori espressi in nmol/L corrono il rischio di essere giudicati normali se superficialmente parametrati agli intervalli di riferimento in ng/mL. Chi è candidato al dosaggio?
Non esistono al momento studi in grado di definire la validità o meno di uno screening mediante dosaggio della vitamina D nella popolazione generale o in categorie di persone: una revisione della prestigiosa US Preventive Services Task Force (USPSTF) americana conclude che non è possibile fare raccomandazioni a favore o contro lo screening di popolazione4 mentre la linea guida NICE sostiene che l’esame della vitamina D non è giustificato al di fuori di particolari condizioni di rischio5 . Il clinico dovrebbe quindi prendere in considerazione il dosaggio della vitamina D principalmente in soggetti sintomatici (astenia severa, mialgie o documentata osteomalacia) in presenza di condizioni predisponenti6 . Predispongono alla ipovitaminosi situazioni ambientali dove la persona non si espone ai raggi UV in modi e per tempi adeguati (v. Vitamina D: figlia del sole IsF - anno 39, n. 2, 2015 pag. 17), tra essi anche adulti che per qualsiasi motivo non trascorrono tempi sufficienti all’aria aperta e non fanno uso dei cibi ricchi in vitamina D (vedi Tabella). Gli anziani istituzionalizzati sono in genere carenti di vitamina D: il dosaggio non aggiunge nulla e in questa categoria di persone vengono ritenuti utili supplementi vitaminici anche senza verificarne i valori di partenza. Condizioni di malassorbimento, congenite o acquisite, trattamenti protratti con determinate categorie di farmaci possono essere alla base di condizioni carenziali clinicamente rilevanti (vedi box)7 . Come interpretare i risultati ?
Non esiste ancora univocità nella interpretazione dei risultati, soprattutto nel trasferimento “pratico” del dato alla decisione di intraprendere una terapia sostitutiva. L’Institute of Medicine (IOM) americano individua8 : • al di sotto di 12 ng/mL, soprattutto se in presenza di sintomi come astenia e mialgie, una condizione carenziale il cui trattamento è in grado di conseguire benefici clinici; • tra 12 e 20 ng/mL un intervallo che (soprattutto in estate) indica una condizione che – in presenza di sintomi – può beneficiare del trattamento; • tra 20 e 30 ng/mL livelli adeguati per il fabbisogno della maggioranza delle persone dove il trattamento difficilmente porta a benefici clinicamente rilevabili; • oltre 40-50 ng/mL potenziali rischi predisponenti allo sviluppo di cadute, fratture o neoplasie (prostata e pancreas) con incremento del rischio di morte per tutte le cause. In pratica i livelli ideali secondo IOM sarebbero tra 30 e 40 ng/mL ma anche livelli da 20 a 30 ng/mL ancorché ritenuti “insufficienti” da esperti di alcune Società scientifiche, non dovrebbero tradursi in un trattamento, soprattutto se dosati nella stagione invernale (o primaverile precoce) quando fisiologicamente i livelli di vitamina D si riducono; le oscillazioni tra nadir invernale e zenit estivo si aggirano attorno ai 10 ng/mL (25 nmol/L). Controlli??
Anche sulla necessità e sulla cadenza dei controlli non esiste una posizione univoca. Sono certamente necessari almeno 2 mesi prima di potere apprezzare una modifica clinicamente significativa, e quando si parte con dosi superiori per correggere livelli basali molto carenti è raccomandabile una verifica a 2-3 mesi per evitare di proseguire con dosi non necessarie. Ad equilibrio raggiunto, in condizioni di apporto vitaminico regolarmente assunto si ritiene superfluo un programma di controllo. Quindi???
I dati a disposizione non sono favorevoli al dosaggio sistematico della vitamina D nel siero. Il prelievo per la determinazione della 25OH vitamina D è indicato solo in caso di fondato sospetto di ipovitaminosi su base anamnestica o clinica. Solo per livelli inferiori a 12 ng/mL è indicato un trattamento anche in assenza di sintomi. Gli anziani istituzionalizzati risultano carenti nella quasi totalità dei casi: in queste condizioni viene proposto un trattamento a dosi sostitutive anche senza un dosaggio di conferma. Il monitoraggio del livello di 25OH vitamina D è indicato solo in casi sporadici.
Bibliografia 1. Newberry SJ, Chung M, Shekelle PG, et al. Agency for Healthcare Research and Quality U.S. Department of Health and Human Services. Vitamin D and Calcium: A Systematic Review of Health Outcomes (Update). Evidence Report/Technology Assessment No. 217. www.ahrq.gov. 2. Dawson-Hughes B, Mithal A, Bonjour JP et al. IOF position statement: vitamin D recommendations for older adults Osteoporos Int 2010 DOI 10.1007/s00198-010-1285-3. 3. Holick MF Vitamin D Deficiency N Engl J Med 2007; 357:266-81. 4. LeFevre ML Screening for Vitamin D Deficiency in Adults: U.S. Preventive Services Task Force Recommendation Statement Ann Intern Med 2015; 162:133-140. 5. NICE Vitamin D: increasing supplement use in at-risk groups. Public health guideline Published: 26 November 2014 nice.org.uk/guidance/ph56. 6. Holick MF, Binkley NC, Bischoff-Ferrari HA, J Clin Endocrinol Metab 2011; 96:1911-1930. 7. Linee guida su prevenzione e trattamento dell’ipovitaminosi D con colecalciferolo Adami S, Romagnoli E, Carnevale V et al. Reumatismo 2011; 63:129-147. 8.IOM (Institute of Medicine) 2011. Dietary Reference Intakes for Calcium and Vitamin D. Washington, DC: The National Academies Press.