Gli studi che valutano efficacia e sicurezza di farmaci e di altri interventi sanitari devono essere sempre pubblicati? Questa domanda suona retorica: sembrerebbe ovvio infatti rispondere affermativamente, anzi sembra una domanda inutile tanto ovvia è la risposta. Attualmente però non è così, poiché circa la metà degli studi effettuati non vede mai la luce1: spesso perché i loro risultati non sono utili o possono addirittura arrecare un danno commerciale a chi li ha sponsorizzati, se i prodotti testati non hanno mostrato un profilo di efficacia e sicurezza favorevole. Non a caso, è stato ampiamente dimostrato che in particolare gli sponsor tendono a pubblicare più facilmente gli studi favorevoli ai propri prodotti, con risultati che sono mediamente più “benevoli” rispetto ai risultati di studi indipendenti2 e che a volte le ditte hanno anche utilizzato dati parziali a supporto di strategie di promozione fraudolenta3 (vedi anche l’articolo di Maestri su questo stesso numero4). Un’altra ragione della non pubblicazione dei risultati è che a volte, pur in assenza di conflitti di interesse, non si ritiene che renderli disponibili alla comunità scientifica e agli stessi pazienti che hanno partecipato costituisca un obbligo morale.
Quali che siano le ragioni della mancata pubblicazione, è intuibile la potenziale ricaduta negativa sull’assistenza e sulla programmazione di nuove ricerche. A proposito di obbligo morale, esiste un altro aspetto da considerare, almeno altrettanto importante: una persona malata che partecipa alla sperimentazione di un nuovo farmaco si sottopone a una terapia la cui efficacia non è nota (potrebbe anche essere inutile o addirittura dannosa) e i cui risultati non saranno utili a lui stesso, ma alle persone che si ammaleranno in futuro. Occultare o eliminare i risultati della sperimentazione significa tradire l’altruismo e la fiducia che queste persone ripongono nella ricerca.
La pubblicazione dei risultati degli studi non è l’unico requisito necessario per garantire la trasparenza nella ricerca clinica: almeno altrettanto importante è la necessità di pubblicare anche i protocolli di ricerca, che definiscono a priori obiettivi e metodologie previste. Quando ciò non avviene, può succedere che i risultati vengano distorti, modificandoli durante il corso dello studio o una volta che essi siano noti, per “adattarli” meglio ai presupposti dello studio e incrementarne artificialmente il significato scientifico e pratico, ad esempio modificando gli esiti clinici da investigare (outcome reporting bias)5. La pubblicazione sia dei protocolli che dei risultati degli studi faciliterebbe una rianalisi indipendente dei dati, ciò che spesso viene effettuato dalla Food and Drug Administration negli Stati Uniti (ma non dall’EMA in Europa).
Da dove si è partiti: i registri degli studi clinici
L’ennesimo scandalo legato alla soppressione di dati di studi clinici ha fornito la spinta decisiva per un consenso internazionale sulla necessità di rendere obbligatoria la pubblicazione dei protocolli di ricerca.
Nel 2004, il procuratore generale dello Stato di New York citò in giudizio la GlaxoSmithKline, casa produttrice di un antidepressivo (paroxetina), per non aver reso disponibili dati che mostravano potenziali danni indotti dal farmaco 6 .
L’International Committee of Medical Journal Editors prese così la decisione di pubblicare solo gli studi che avessero un protocollo registrato prima dell’inizio dell’arruolamento dei soggetti in studio7. Furono così costituiti, da agenzie quali i National Institutes of Health negli Stati Uniti o come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, dei registri web (ClinicalTrials.gov, WHO International Clinical Trials Registry Platform) dove è possibile registrare gli studi clinici. Tuttavia, molti protocolli continuano a non essere pubblicati.
La necessità della piena disponibilità dei protocolli (cioè della loro pubblicazione per esteso) viene sempre maggiormente riconosciuta8, soprattutto da quando si è dimostrato che spesso i risultati vengono “addomesticati” prima della pubblicazione, modificando a posteriori ipotesi e metodologie inizialmente definite nei protocolli9.
Le discussioni in corso al Parlamento Europeo
Per tutte queste ragioni un gruppo di organizzazioni indipendenti, ricercatori e singoli cittadini hanno costituito all’inizio del 2013 un network globale denominato “All Trials”, al quale hanno formalmente aderito anche istituzioni prestigiose come la British Medical Association e la Cochrane Collaboration, riviste medico-scientifiche come il British Medical Journal e PLOS, e anche una multinazionale del farmaco come la GlaxoSmithKline.
Questo network si propone di sensibilizzare decisori politici e opinione pubblica sulla necessità di pubblicazione di tutti i protocolli di ricerca clinica e dei risultati completi di tutti gli studi10. In questo senso, qualcosa forse sta succedendo anche in Europa: lo scorso 29 maggio è stato discusso dal Parlamento Europeo, in particolare dalla Commissione Parlamentare su Ambiente, Salute Pubblica e Sicurezza Alimentare, la bozza di un nuovo Regolamento sulla ricerca clinica (della quale parliamo anche in un altro articolo in questo numero riguardo al ruolo dei Comitati etici nella valutazione degli studi) che dovrebbe costringere le aziende sponsor, soprattutto aziende farmaceutiche, a rendere disponibili i dati degli studi 11.
Oltre che un evidente fondamento etico, questo cambiamento potrebbe avere ripercussioni positive sulle conoscenze e sulla stima corretta degli effetti dei trattamenti: gli operatori sanitari e i decisori potranno avere la possibilità di prendere decisioni su prevenzione, cura e organizzazione dei servizi sulla base di tutte le conoscenze disponibili; i ricercatori eviteranno di ripetere studi già fatti o che hanno limitate possibilità di successo, concentrandosi su ricerche che possano far avanzare le conoscenze e determinare un miglioramento dell’assistenza.
La bozza di regolamento approvata il 29 maggio rispecchia in buona parte le proposte avanzate dalla relatrice Glenis Willmott, parlamentare del Regno Unito12 .
Si tratterebbe comunque di un importante passo in avanti verso una maggior tutela dell’integrità scientifica. L’uso del condizionale è necessario, poiché questo regolamento dovrà essere votato da tutto il Parlamento Europeo tra alcuni mesi e ci sono quindi ancora spazi per modificarne la portata. In questo senso, le lobbies dell’industria del farmaco stanno operando a Strasburgo per promuovere l’approvazione di una versione più flessibile del regolamento che in sostanza non permetta l’accesso a tutti i dati degli studi16, portando a pretesto la riservatezza di dati commercialmente sensibili (comunque non in pericolo secondo il mediatore europeo, una sorta di garante amministrativo dell’Unione)17 e la protezione dei dati personali dei pazienti (che tuttavia non saranno accessibili attraverso il portale web previsto) 17. Apparentemente il fronte delle aziende farmaceutiche non è compatto, se si considera che una multinazionale del farmaco, la Glaxo Smith & Kline (pesantemente coinvolta in contenziosi legali sull’uso distorto e sull’occultamento di dati da studi clinici)13, ha formalmente aderito alla campagna “AllTrials” con il suo Chief Executive Officer Andrew Witty18, e ha preso pubblicamente posizione sulla propria disponibilità a fornire dati da studi clinici sul prestigioso New England Journal of Medicine e attraverso un sito web creato ad hoc19. Tuttavia, passando dalle dichiarazioni di intenti alla pratica, la stessa Glaxo ha mostrato in pratica una scarsa propensione a fornire l’accesso ai dati nell’ambito di un progetto europeo di ricerca farmacologica (Innovative Medicines Initiative, finanziato dalla Commissione europea) che vede la collaborazione tra aziende farmaceutiche e strutture pubbliche, nonostante questi dati siano stati prodotti anche grazie agli input e all’essenziale supporto di centri pubblici. Questa situazione ha determinato il ritiro dell’Istituto Mario Negri di Milano da questa collaborazione20. Il dubbio che l’adesione della Glaxo alla campagna “AllTrials” e la disponibilità a fornire dati di propri studi rappresentino un’operazione di facciata sembra dunque fondato.
D’altra parte questa multinazionale e le altre aziende che fanno capo alle federazioni europea e americana delle aziende farmaceutiche (rispettivamente EFPIA e PhRMA), hanno dichiarato di essere disponibili a fornire solo i dati su studi futuri che riguardino nuovi farmaci, o farmaci già in commercio testati su nuove indicazioni21. Quindi, pur in presenza di smentite in particolare sempre da parte della Glaxo, nelle dichiarazioni delle ditte tutti i dati di studi fatti nel passato su “vecchi” farmaci nelle indicazioni attualmente registrate sarebbero comunque esclusi. Ciò evidenzia la volontà di aprire solo molto parzialmente a una maggiore trasparenza sui dati della ricerca clinica. La stessa Glaxo, sul sito https://clinicalstudydata.gsk.com, specifica che si rendono disponibili dati sono per i farmaci con indicazioni registrate o per quelli che siano stati abbandonati durante il processo di sviluppo o per ritiro dell’indicazione già registrata.
Ci auguriamo che i risultati ottenuti con l’approvazione della bozza di regolamento possano consolidarsi e magari rafforzarsi, in base alle considerazioni esposte, nonostante le forti pressioni contrarie. Ci auguriamo soprattutto che il “patto” che esiste (o che dovrebbe esistere) tra ricercatori e pazienti nella ricerca clinica, troppo spesso disatteso per l’assenza di pubblicazione dei risultati degli studi, possa invece sempre essere pienamente onorato, anche dall’Agenzia e Agenzie Regolatorie che attualmente non richiedono tutti i dati su efficacia e sicurezza dei farmaci, ma solo le sintesi fornite dalle ditte. Vi terremo aggiornati.
Parere FDA positivo (7.155 pazienti) |
Parere FDA dubbio (2.309 pazienti) | Parere FDA negativo (3.100 pazienti) | |
Numero di pazienti con dati pubblicati in accordo con il parere FDA | 7.075 (99%) | 197 (6%) | |
Numero di pazienti con dati non pubblicati | 80 (1%) | 1.129 (49%) | 2.240 (72%) |
Numero di pazienti con dati pubblicati in contrasto con il parere FDA | 32 mg | 1.180 (51%) | 663 (21%) |
Bibliografia
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2. Lundh A, Sismondo S, Lexchin J, Busuioc OA, Bero L. Industry sponsorship and research outcome. Cochrane Database of Systematic Reviews 2012, Issue 12. Art. N.: MR000033. DOI: 10.1002/14651858.MR000033.pub2
3. Vedula SS, Goldman PS, Rona IJ, Greene TM, Dickersin K. Implementation of a publication strategy in the context of reporting biases. A case study based on new documents from Neurontin® litigation. Trials 2012, 13:136 doi:10.1186/1745-6215-13-136
4. Maestri E., Formoso G., Magrini N. Storie di fantasmi ed ospiti illustri alla corte del (fa) Re Ricerca: come ti costruisco un pozzo di scienza. (Sparizioni, apparizioni e fuochi d’artificio nel lungo viaggio dalla Ricerca alla Cura). Informazioni sui Farmaci 2013 n. 2 pagina 53
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16. Groves T, Godlee F. The European Medicines Agency’s plans for sharing data from clinical trials. BMJ 2013; 346:f2961 doi:10.1136/bmj.f2961
17. Gøtzsche PC. Deficiencies in proposed new EU regulation of clinical trials. BMJ 2012; 345:e8522
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19. Nisen P, Rockhold F. Access to patient-level data from GlaxoSmithKline clinical trials. N Engl J Med 2013; 369:475-8
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21. Doshi P. EFPIA-PhRMA principles for clinical trial data sharing have been misunderstood. BMJ 2013; 347:f5164
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Data di Redazione 08/2013