Premessa
Nel mondo della sanità, in Europa e anche in Italia, si sta discutendo parecchio in questo periodo di proposte che hanno lo scopo di accelerare le procedure per l’approvazione degli studi clinici1,2,3,4. Infatti l’articolazione di queste procedure è spesso ritenuta alla base della riduzione, nel corso degli ultimi anni, nel numero degli studi effettuati in Europa, passati da più di 5.000 nel 2007 a 4.400 nel 20105. Sotto tiro è in particolare il ruolo dei Comitati Etici (CE). I CE sono spesso stati oggetto di discussione sin dalla loro iniziale istituzione, che fu promossa soprattutto a partire dagli anni ’70-80 quando, negli Stati Uniti, una Commissione Presidenziale raccomandò la creazione di Institutional Review Boards presso gli ospedali coinvolti in ricerca sanitaria, al fine di proteggere la sicurezza dei soggetti partecipanti e promuovere la ricerca clinica, in seguito a diversi scandali relativi alla partecipazione non informata e potenzialmente (o effettivamente) dannosa a studi clinici6. I CE sono stati nel tempo anche criticati sia per ostacolare la ricerca più che difendere l’etica 7, sia per una eccessiva e non giustificata variabilità nelle loro decisioni 8 , sia per essere poco incisivi nella discriminazione tra ricerche ad alto e basso valore aggiunto 9. I pro e i contro di una maggiore o minore centralizzazione nella valutazione di eticità degli studi, spesso corrispondenti alla discussione relativa a possibili inefficienze vs maggiore salvaguardia dei soggetti coinvolti, sono anche stati dibattuti 10. Attualmente, l’approvazione degli studi è regolata dalla Direttiva Europea sui Trial Clinici (Clinical Trials Directive 2001/20/EC) e dai suoi diversi decreti attuativi, con lo scopo di favorire la salvaguardia della salute e della sicurezza dei partecipanti, l’affidabilità dei dati ottenuti e la semplificazione delle procedure amministrative 11. In Italia tale Direttiva è stata ratificata con il Decreto Legislativo 24 giugno 2003, n. 211, che definisce anche il ruolo dei CE come organismi necessari al raggiungimento di quegli obiettivi, attraverso la valutazione scientifica ed etica degli studi 12 .
Quali le novità legislative? (in Italia e in Europa)
In Italia il decreto legge del ministro Balduzzi 13 convertito con modifiche nella legge n.189/201214 e poi un disegno di legge del ministro Lorenzin 15 hanno affrontato/stanno affrontando il problema di rendere più rapida l’approvazione degli studi; ciò anche considerando la procedura di infrazione aperta dalla Commissione Europea verso lo Stato italiano16 per via del frequente superamento da parte dei CE, nell’ambito di studi multicentrici, del limite di 30 giorni nell’accettazione o rifiuto dei ‘pareri unici’, superamento attribuito all’ambiguità nella formulazione del suddetto DLgs del 2003 che indurrebbe molti CE dei centri satellite a esprimere propri pareri e a ritardare l’iter di accettazione o rifiuto.
A seguito di tale procedura di infrazione era già intervenuta la legge 2/2012 che ha ridimensionato la valutazione dei CE satelliti ad una disamina della sola ‘fattibilità locale’ degli studi, oltre alla valutazione di merito sul Modulo di Consenso Informato, dando adito a più di una ambiguità interpretativa su un ruolo meramente autorizzatorio dei Comitati (in particolare di quelli dei centri satellite) rispetto alla valutazione scientifica ed etica del valore aggiunto degli studi.
In aggiunta a ciò che prevede la legge 2/2012, il Decreto Balduzzi ha previsto una sostanziale riduzione del numero dei CE, indicando una soglia orientativa di un Comitato per milione di abitanti. Il successivo Ddl Lorenzin (luglio 2013) prevede una delega al Governo per la riforma entro 12 mesi della normativa in materia di sperimentazione clinica attraverso una “semplificazione degli adempimenti meramente formali in materia di modalità di presentazione della domanda per il parere del Comitato Etico e di conduzione e di valutazione degli studi clinici”.
Le novità legislative in Italia riflettono un dibattito più ampio in corso al Parlamento Europeo, dove è in discussione un nuovo Regolamento sulle sperimentazioni cliniche (del quale parliamo anche in un altro articolo in questo numero riguardo alla trasparenza dei dati della ricerca)17, che andrà ad abrogare la Direttiva del 2001 proprio allo scopo di semplificare le procedure per l’effettuazione della ricerca, e sarà obbligatorio e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri 18 . Secondo uno studio finanziato dall’Unione Europea, infatti, i costi amministrativi degli studi clinici sarebbero pressoché raddoppiati in seguito all’implementazione della Direttiva e i tempi medi di approvazione aumentati di quasi il 70% 19 .
Per questo, la nuova bozza di Regolamento è orientata sia a semplificare gli aspetti meramente burocratici nella presentazione dei protocolli di ricerca, sia a limitare il numero di organismi deputati alla valutazione scientifica ed etica dei protocolli, nella convinzione che tale riduzione possa accelerare i processi autorizzativi e migliorare la valutazione degli studi.
Etica: pochi passi avanti, molti indietro?
Semplificare gli aspetti burocratici che accompagnano l’autorizzazione alla conduzione degli studi è senz’altro necessario: ad esempio, attraverso l’armonizzazione della modulistica da presentare ai vari CE rispetto alla totale eterogeneità che ad esempio esiste attualmente in Italia (pur in presenza del D.M. 21.12.2007 che avrebbe proprio lo scopo di rendere omogenea la modulistica); e attraverso la disponibilità di un portale web unico a livello europeo per sottomettere la documentazione e facilitare la trasparenza nelle informazioni sugli studi, come anche previsto dalla bozza del nuovo Regolamento europeo. Tale intento dovrebbe essere in parte perseguito dal nuovo sistema dell’Osservatorio sulla Sperimentazione Clinica (OsSC) presso l’AIFA che, dopo un’iniziale fase pilota, introdurrà un nuovo sistema non solo di registrazione degli studi, ma consentirà l’invio tramite internet (e-submission) della documentazione e un’archiviazione della stessa.
Esiste tuttavia a nostro avviso il rischio che un’eccessiva enfasi sugli aspetti burocratico-autorizzativi della ricerca clinica porti a identificare il CE come un semplice anello della ‘filiera burocratica’ che si frappone all’effettuazione degli studi. Nello specifico, c’è il rischio che una semplificazione brutale e acritica porti a limitare il ruolo dei Comitati alla valutazione della mera fattibilità locale, legata alla disponibilità di strutture e risorse adeguate per la conduzione della ricerca, e della comprensibilità/adeguatezza del consenso informato, sacrificando il ruolo di valutazione scientifica degli studi, del loro valore aggiunto in termini di conoscenze e della loro applicabilità rispetto ai rischi posti per la salute dei pazienti.
La bozza di testo della Commissione Europea per il nuovo Regolamento sulle sperimentazioni NON esplicita la necessità che un Comitato Etico autorizzi una sperimentazione. Sembra inoltre che l’intenzione della Commissione Europea sia di lasciare a uno Stato Membro, individuato come capofila dallo sponsor (nel caso di studi internazionali), la responsabilità dell’autorizzazione dello studio attraverso un non meglio identificato “organismo appropriato” che avrebbe la funzione di valutare scientificità ed eticità del protocollo, con obbligo di approvazione, tranne in casi eccezionali, per gli altri Stati. Il Comitato del Parlamento Europeo su Ambiente, Salute Pubblica e Sicurezza Alimentare (ENVI Committee) che sta esaminando il provvedimento prima della sua discussione plenaria (prevista entro novembre 2013) ha però proposto diversi emendamenti 18 per esplicitare la necessità che la valutazione di eticità degli studi sia effettuata da un Comitato Etico e che in ciascun Stato Membro nel quale viene proposta la sperimentazione non ci si debba limitare a valutazioni di fattibilità e di adeguatezza del consenso informato, ma si dovrebbe anche effettuare una valutazione di eticità in base a considerazioni sul contesto culturale e legislativo specifico del luogo e tenendo conto dei principi contenuti nella Dichiarazione di Helsinki (dove si afferma che “il benessere dei soggetti coinvolti nella ricerca deve avere la precedenza su qualsiasi altro interesse” - art 6) 20 e nella Convenzione di Oviedo (la ricerca può comportare solo rischi e aggravi minimi per gli individui coinvolti) 21 .
Nonostante gli emendamenti proposti, non è chiaro se nel testo proposto dall’ENVI Committee venga supportata l’opportunità di un’articolazione di CE sul territorio, ciascuno con la possibilità di esprimere liberamente valutazioni sul valore aggiunto degli studi e decisioni sulla loro accettabilità. Questo sembra essere il nodo principale: le scelte possibili per il nuovo Regolamento sembrano andare dalla semplificazione estrema della valutazione vincolante per tutti da parte di una ‘autorità competente’ di uno Stato capofila, non necessariamente di un CE, con al limite la possibilità di consultazione con le Autorità degli altri Stati interessati; alla possibilità degli altri Stati di poter decidere autonomamente, magari attraverso un CE, in base a specificità nazionali; alla possibilità infine di lasciare a ciascun CE locale l’autonomia di decidere sull’accettabilità di uno studio, ferma restando una semplificazione degli aspetti meramente burocratici (modulistiche, loro invio, ecc) e l’impossibilità di chiedere modifiche al protocollo di studio (che può così essere accettato o respinto).
Questo dibattito vede naturalmente impegnate le lobbies industriali, che auspicano una riduzione sia degli aspetti meramente burocratici sia dei vincoli posti dalle valutazioni di scientificità ed eticità in modo che sia un solo organismo di un Paese scelto (magari ad hoc) dallo sponsor ad effettuare tali valutazioni. La ‘battaglia’ delle ditte viene effettuata sia direttamente, attraverso le associazioni di categoria 22,23, sia indirettamente, attraverso le associazioni dei pazienti (come recentemente denunciato dalla stampa internazionale) 24 . Dall’altra parte lobbies di organizzazioni indipendenti e no-profit, come ad esempio la International Society of Drug Bulletins (di cui il nostro bollettino fa parte) stanno cercando di sensibilizzare i parlamentari e le istituzioni europee rispetto ai rischi, per la salute dei pazienti coinvolti in studi clinici, di una ‘semplificazione’ indiscriminata, con il prevalere degli interessi industriali su quelli della salute pubblica, ciò che potrebbe derivare da un indebolimento del ruolo dei CE 4.
Più etica con meno burocrazia? Alcune proposte
Alcune proposte In Italia una forte preoccupazione su questo punto è stata espressa da un gruppo di 27 CE italiani, coordinati dal CE di Trento, evidenziando il rischio di uno svuotamento del ruolo dei CE ad aspetti burocratici e ‘impiegatizi’ e la non adeguatezza della attuale riduzione del numero dei CE in base al criterio del numero di abitanti, che non tiene conto delle specificità territoriali rispetto a propensione per la ricerca, professionalità e risorse disponibili nelle Aziende Sanitarie cui i CE dovrebbero far capo 25.
Ma quanti CE ci sono in Italia? Prima del decreto Balduzzi ce n’era in media circa uno ogni 250.000 abitanti, un numero mediamente doppio rispetto alla media europea e a Paesi come Regno Unito e Olanda (circa uno ogni 500.000 abitanti) e ancora superiore se il confronto è con Paesi come la Francia o la Germania (meno di un CE ogni milione e 500 mila abitanti) 26 . È in corso di implementazione la riduzione prevista dal decreto, che trova comunque situazioni molto diverse nelle varie regioni (ad esempio, l’Umbria ha già un unico CE regionale e in Emilia-Romagna c’era già una densità di CE simile alla media europea). Un numero elevato di CE può forse comportare una maggiore possibilità di giudizi difformi rispetto al ‘parere unico’ espresso dal CE del centro capofila dello studio, ma non determina di per sé il ritardo nei tempi di approvazione, che dipende da aspetti organizzativi dei CE e che influenza l’effettuazione dello studio solo sul territorio di competenza.
La possibilità di giudizi difformi tra CE sull’eticità di studi clinici può essere giudicata sia in termini positivi, considerando il giovamento che i ricercatori e il mondo della ricerca in generale possono trarre da valutazioni approfondite fatte da più CE (non realizzate quindi solo da un CE ‘scelto’ dai promotori dello studio), sia in termini negativi, considerando che i CE dovrebbero tutelare i cittadini allo stesso modo su tutto il territorio nazionale (al di là di problemi di fattibilità locale).
La possibilità di esprimere, ovviamente con adeguate motivazioni, pareri difformi e non ‘tutti uguali’ aumenta a nostro giudizio le garanzie nei confronti dei pazienti e può rappresentare un arricchimento dal punto di vista scientifico e dello scambio di conoscenze, quando non sia legata a particolarismi locali (come ad esempio la presenza nel CE di ricercatori direttamente o indirettamente interessati a una determinata ricerca) o a una diversa attenzione nell’analisi dei protocolli. Per affrontare questo tipo di situazioni ‘negative’ che possono portare a un’eccessiva e non giustificata variabilità di giudizi e a ritardi nell’approvazione o respingimento dei protocolli, a nostro parere non esistono soluzioni facili, come quella del CE per milione di abitanti, anche se un’eccessiva parcellizzazione dei CE cui non corrisponda un’effettiva necessità (legata alla propensione per la ricerca nei territori di competenza) rischia di essere un elemento di confusione più che di supporto all’etica. Bisogna comunque sottolineare che un’interpretazione restrittiva della modifica introdotta dalla legge 2/2012, sulla (non) possibilità da parte dei CE di valutare aspetti che vanno oltre la fattibilità locale, non garantirebbe affatto sul rispetto dei tempi di approvazione, e potrebbe accentuare il rischio (già presente) che i promotori degli studi possano selezionare CE ‘compiacenti’ per favorire l’implementazione degli stessi studi in tutti i centri partecipanti.
Quali proposte per favorire sia la salvaguardia della salute, sia una maggiore efficienza dell’iter di valutazione e approvazione?
Nel box 1 proviamo a indicarne alcune, che si aggiungono alla già citata semplificazione sugli aspetti più ‘burocratici’ e legati alle modulistiche, a sottolineare come i CE dovrebbero rimanere (e semmai accentuare il loro carattere di) organi scientifici più che burocratici, ciò che può essere assolutamente compatibile con il rispetto dei tempi di approvazione o rifiuto dei protocolli, indipendentemente dalla riduzione ‘con l’accetta’ (fatta con il criterio del numero di abitanti) del numero dei CE. In particolare, una maggiore possibilità di scambio di informazioni tra CE potrebbe arricchire la discussione su scientificità ed eticità degli studi e allo stesso tempo velocizzare l’emissione di pareri, con una maggiore probabilità di ottemperare al ruolo di salvaguardia della salute e dei diritti delle persone.
Inoltre, linee comuni di indirizzo sulle modalità di valutazione dei protocolli e in particolare di alcune situazioni ‘tipo’ potrebbero anche facilitare la valutazione degli studi, rendere più omogenea (anche se non ‘standardizzata’) e veloce l’emissione di pareri, e soprattutto, anche in questo caso, aumentare la probabilità di difendere salute e diritti.
Nel box 2 indichiamo un esempio che evidenzia come sia essenziale che per svolgere fino in fondo il loro ruolo di tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti coinvolti negli studi, i CE debbano analizzare in modo approfondito e indipendente i relativi protocolli, senza il timore di esprimere pareri controcorrente, e che questo possa essere facilitato dalla presenza di un adeguato numero di CE. Senza dimenticare che esistono molte situazioni in cui non è possibile rifarsi a criteri oggettivi per la valutazione di eticità e che l’analisi, il confronto e la discussione favorite da un’articolazione territoriale di CE, se non si scade in atteggiamenti autoreferenziali e campanilisti, possono meglio promuovere i principi generali dell’etica e della ricerca clinica di quanto non possano fare organi (che rischiano di essere semi-burocratici) che centralizzino eccessivamente le decisioni sulla ‘autorizzabilità’ (più che sull’etica) degli studi clinici.
Bibliografia
1. Gøtzsche PC. Deficiencies in proposed new EU regulation of clinical trials. BMJ 2012; 345:e8522Elementi essenziali per coniugare etica ed efficienza nella valutazione degli studi
Un primo elemento fondamentale è favorire, attraverso infrastrutture informatiche, la disponibilità di informazioni che possono aiutare le decisioni dei CE e la pubblicità dei dati degli studi quando questi siano conclusi. In particolare con maggiore trasparenza su:
• valutazioni effettuate dagli altri Comitati: ad esempio, prevedendo su una parte riservata del sito web dell’AIFA (o su un sito web ad hoc) una sezione dove ciascun CE possa inserire in tempo reale queste informazioni per ciascuno studio (rintracciabile attraverso il n. del protocollo), con particolare segnalazione dei pareri negativi;
• pubblicazione (o mancata pubblicazione) degli studi effettuati, prevedendo l’obbligo per lo sponsor di segnalare la pubblicazione e ‘meccanismi’ web e centralizzati di segnalazione periodica in automatico della non disponibilità di tali pubblicazioni (vedi anche l’altro articolo pubblicato su questo numero della nostra rivista).
Tali strumenti sono peraltro già previsti, ma occorrerebbe renderli facilmente fruibili ed eventualmente sanzionare i casi di inadempimento.
Un altro elemento altrettanto fondamentale è quello di promuovere un confronto tra CE e favorire la definizione di criteri di valutazione più omogenei, anche sulla base di linee di indirizzo nazionali ed europee, ad esempio:
• su quando siano accettabili l’uso del placebo27o un disegno di non-inferiorità28,29 (e secondo quali modalità);
• sull’utilizzo di campioni per le indagini genetiche30;
• sulla individuazione di studi che potrebbero avere finalità di promozione di prodotti commerciali piuttosto che finalità di ricerca (come ad esempio studi osservazionali che arruolano chi comincia un trattamento) 31;
• sulle modalità per favorire un consenso realmente ‘informato’ da parte dei soggetti coinvolti nella ricerca 32,33;
• più in generale, su quali aspetti dovrebbero essere identificabili nel protocollo per poter evidenziare il valore aggiunto di uno studio, la sua validità scientifica, la selezione eticamente accettabile delle popolazioni studiate (non in base alla vulnerabilità dei soggetti o, al contrario, a situazioni di privilegio), un favorevole rapporto tra rischi e benefici e il rispetto dei soggetti coinvolti per quanto riguarda la privacy, un adeguato monitoraggio clinico e la possibilità di ritirarsi dallo studio 34.
Ciò implica la necessità per i CE di avere o di poter sviluppare adeguate competenze, con possibilità di formazione dei componenti su aspetti specifici, compatibilmente con le loro attività quotidiane e un ruolo non ‘esclusivo’ di partecipanti alle attività di un CE.
Esprimere pareri controcorrente: l’esempio di uno studio multinazionale sul rosiglitazone
All’inizio del 2010 la richiesta di approvazione di uno studio randomizzato multinazionale postmarketing, con l’obiettivo di valutare la sicurezza cardiovascolare del rosiglitazone 35, è arrivata all’attenzione di numerosi CE italiani.
Lo studio (denominato TIDE) seguiva una specifica richiesta della FDA fatta alla ditta produttrice del rosiglitazone nel 2008, conseguente ai dubbi sulla sicurezza del farmaco emersi pubblicamente a partire da una metanalisi di studi randomizzati del 2007 36 ,37.
In precedenza la stessa FDA aveva inviato una warning letter alla stessa ditta (Glaxo Smith & Kline) lamentando che alcuni dati, provenienti da studi clinici riguardo a eventi cardiovascolari conseguenti all’uso del farmaco, non erano stati resi pubblicamente disponibili 38.
Nonostante il protocollo di studio sia stato alla fine accettato da 480 CE in tutto il mondo39, esso ha suscitato numerose critiche che non si sono limitate a un dibattito tra ricercatori 40, ma si sono anche estese a un dibattito politico nel Senato americano41.
In particolare, si sosteneva che esistevano già prove sufficienti sull’aumento di eventi cardiovascolari conseguenti all’uso di rosiglitazone e sul miglior profilo benefici-rischi del pioglitazone, e che quindi uno studio testa-testa di confronto tra questi farmaci non era eticamente sostenibile.
Un’ulteriore valutazione dei dati e dei commenti emersi da varie fonti ha portato infine nel settembre 2010 la FDA a chiedere l’interruzione dello studio e il ritiro del farmaco dal commercio 42. L’EMA ha assunto in contemporanea un’analoga posizione in Europa 43.
Riguardo al coinvolgimento di centri italiani nello studio TIDE, ci è noto il parere negativo del CE di Parma (del quale ha fatto parte uno degli scriventi), sulla base di considerazioni aggiuntive a quelle (già rilevanti) di cui sopra. In particolare, lo studio prevedeva tre bracci di trattamento (rosiglitazone, pioglitazone e placebo) da confrontare rispetto a un esito cardiovascolare composito, e due ipotesi co-primarie: superiorità dei tiazolidinedioni vs placebo (unendo quindi i bracci dei due trattamenti attivi) e non inferiorità del rosiglitazone vs placebo.
Vennero sottolineate la non accettabilità dell’ipotesi di non inferiorità vs placebo di un farmaco utilizzato per prevenire eventi cardiovascolari (nonostante la stessa FDA abbia promosso questo tipo di valutazione per verificare la sicurezza degli antidiabetici 44); e la non accettabilità di riservare al confronto diretto tra rosiglitazone e pioglitazone, farmaci tra loro alternativi, il rango di valutazione secondaria.
L’impressione fu che lo studio fosse stato impostato per evitare di rilevare sia una sostanziale inefficacia del rosiglitazone rispetto ad esiti clinicamente rilevanti (accontentandosi di dimostrare una non inferiorità vs placebo invece che una superiorità), sia una maggiore efficacia del pioglitazone.
Tali considerazioni furono anche oggetto di uno scambio di lettere con alcuni ricercatori della McMaster University, responsabili del protocollo di studio, peraltro molto solleciti nel rispondere alle richieste e alle valutazioni espresse 45.
Dunque, uno studio che ha suscitato numerose controversie giunge all’attenzione di un CE. In uno scenario più che probabile, queste controversie potrebbero non essere note ai membri del CE, i quali d’altra parte si confrontano con un parere unico favorevole e con centinaia di CE in tutto il mondo che hanno già approvato lo studio. A rilassare l’attenzione del CE potrebbe anche intervenire la percezione del rischio di farsi un cattivo nome nel rifiutare studi di rilevanza internazionale.
Partendo dalla considerazione che un CE dovrebbe sempre analizzare con molta attenzione la documentazione di uno studio, agendo quindi da organo scientifico più che burocratico, ciò è a maggior ragione vero in questo caso per il quale conosciamo la fine della storia (chiusura dello studio TIDE e ritiro del rosiglitazone).
Ma quanti CE avranno infine espresso parere negativo nei confronti di quello studio? Quanto avrebbe aiutato altri CE (o lo stesso CE di cui sopra) il conoscere le motivazioni relative a pareri negativi espressi da altri CE?
Quello appena descritto potrebbe rappresentare un esempio di come un’articolazione territoriale di CE e una maggior facilità nello scambio di informazioni tra questi possano favorire la promozione dei principi dell’etica, accelerando allo stesso tempo l’emissione di pareri che, come sottolinea la Dichiarazione di Helsinki, dovrebbero anteporre sicurezza, diritti e benessere dei soggetti coinvolti a qualsiasi interesse commerciale15.