Come anticipato nella Parte 1 (IsF 2013; n.1), questo secondo contributo mira ad esplicitare le implicazioni pratiche - a livello di assistenza individuale e di organizzazione operativa - di una fotografia della complessità/fragilità della popolazione ultra85enne che ne pone in evidenza la sostanziale eterogeneità di profilo clinico/prognostico e perciò l’altrettanto critica necessità di prevedere logiche e scelte concrete di presa in carico corrispondenti alle diverse attese di rischio sul breve-medio periodo.
Dando per acquisita (o per essere nuovamente raccomandata anche solo come impressione concettuale/visiva) l’articolazione delle analisi presentate nella prima parte, sembrano chiare:
1. anzitutto le implicazioni specificamente riguardanti le modalità con cui si possono/devono considerare/scegliere/gestire le informazioni sui farmaci (e più in generale delle pratiche terapeutiche/preventive) che riguardano pazienti complessi;
2. quindi le implicazioni relative alle strategie assistenziali che si possono/devono adottare per muoversi nelle pratiche di Medicina Generale anche con gradi diversi di interfaccia/interazioni con le varie specificità medico/assistenziali.
Quando l’informazione [sui farmaci] incrocia la complessità/fragilità delle [malattie], [persone], [storie]
1. Come in tutti gli scenari clinico/epidemiologici che si rispettino (che non accettano di piegarsi al ricatto di una logica gestionale/economica nel rappresentare/interpretare ciò che succede effettivamente in sanità), le protagoniste di tutte le “curve” proposte nelle figure della Parte 1 sono persone/popolazioni. L’informazione che conta (che deve fare da sfondo ed insieme da obiettivo per tracciare/interpretare/adottare stime prognostiche) è quella che ha come soggetto i pazienti/cittadini di cui si vuole/deve contribuire a gestire la storia sanitaria più o meno complessa. I dati di queste persone/popolazioni diventano “informativi” nella misura in cui descrivono in modo comprensibile (affidabile e interpretabile nella pratica) la storia sul breve-medio periodo. In questa prospettiva certo non-lineare (chiaramente sottolineata nel titolo dato alla Parte 1 di questo contributo) la fragilità/complessità delle popolazioni anziane si traduce in un’articolazione di tante storie, con indicatori di gravità/gravosità molto variabili. Ma è proprio questa variabilità che li rende più efficientemente convertibili in strategie concrete di “prese in carico mirate”: da una parte in termini di pianificazioni assistenziali, dall’altra di programmi di collaborazione personalizzata tra medici e pazienti/cittadini nel gestire una fragilità, che non si risolve certo con la sua descrizione unilaterale.
2. I farmaci (e perciò le informazioni che li riguardano) sono una delle variabili - non solo come molecole ma anche come classi terapeutiche - che rimandano sempre a problemi/storie. I trattamenti sono “variabili dipendenti” della logica/prassi prescrittiva (conoscenze/percezioni/definizione dei problemi da parte di medici diversi). Il loro effetto - tanto più quanto più le “storie” clinico/assistenziali di cui entrano a far parte sono articolazioni di problemi clinici e non qualitativamente diversi - è misurabile solo sulla base di “esiti” che diventano evidenti lungo periodi più o meno lunghi di osservazione della storia complessiva di soggetti/popolazioni. Nelle rappresentazioni delle figure da 3 a 8 presenti nella Parte 1, l’indicatore è il più “duro ed esigente”, in quanto rappresentato dalla mortalità, ma la stessa regola vale se si volesse (e/o si fosse nella possibilità di) descrivere questa evoluzione in termini di morbilità e di qualità di e/o di autonomia di vita. Tale assunto trova conferma prendendo come caso esemplificativo i dati reali relativi ai 35 pazienti con un punteggio sia al Charlson che al DDCI maggiore di 10, indicativo di gravità clinica elevata (tali pazienti sono stati estratti dalla popolazione più ad alto rischio della Tabella 3 e Tabella 4 nella Parte 1). Di essi ben 22 (62,86%) risultano deceduti durante il 1° anno di osservazione e solo 1 paziente risulta ancora vivente al termine dei 7 anni totali di follow-up. Quest’ultimo soggetto è ricorso a 6 ricoveri ospedalieri durante i 7 sette anni successivi di follow-up generando una spesa ospedaliera complessiva di 18.404€ ed una spesa farmaceutica pari a 21.283€, dimostrando pertanto un carico assistenziale notevole conseguente ad un grado elevato di complessità clinica. In maniera opposta la coorte di soggetti con punteggio dei 2 indici pari a 0 risultano essere a minor rischio clinico, presentando una mortalità pari a 5,09% a 7 anni, ed un minor impatto assistenziale, presentando una spesa media ospedaliera pari a 634€/anno e farmaceutica di 261€/anno. L’apparente ovvietà di questa “informazione” sul ruolo del farmaco diventa più o meno ovvia quando si considera l’assoluta dominanza - nella letteratura più diffusa ed utilizzata nella formazione permanente e/o nei programmi valutativi di appropriatezza - dei dati che descrivono frequenze assolute o relative di prescrizione di farmaci e/o di loro interazioni farmacologiche, sganciate dai loro effetti sulle storie reali.
3. La complessità e le combinazioni dei farmaci - ovviamente più evidenti nella popolazioni anziane perché portatici più probabili di molti problemi - sono poco “informative” (e ancor meno lo sono le informazioni sui singoli farmaci) perché fotografano un solo lato del problema: la complessità/fragilità più o meno probabile del processo prescrittivo medico. Il “caso” proposto nella Parte 1 di questo contributo non è un’eccezione: il profilo complesso delle prescrizioni per un paziente a lungo indagato per un Parkinsonismo (v. riquadro) conferma anche la “fragilità” dell’informazione disponibile per il paziente (anziano? giovane? “colto”?”normale”?) che restava in uno stato di incertezza per la propria attesa terapeutico-prognostica, occupato nella gestione della propria compliance con le prescrizioni che scandiscono la sua giornata, ma incapace/desideroso di definire il proprio grado e non-autonomo al punto di vagare tra specialisti e risultati diagnostici.
4. L’informazione “utile” (gestibile in un dialogo tra medico e paziente che ha come obiettivo una interazione conoscitiva in grado di produrre autonomia e non dipendenza/incertezza) non è mai la somma di informazioni più o meno basate sull’evidenza. Le informazioni “puntuali” sui farmaci (e le loro ipotetiche/reali interazioni) si devono incrociare con la variabilità delle storie predette, dalla diversità delle interazioni prognostiche che sono il risultato della variabilità delle storie dei problemi quali/quantificati da un indicatore come quello di Charlson.
5. Solo in questo contesto le strategie farmacologiche diventano una componente informativa importante sulla prognosi: non sono infatti un descrittore distinto, ma un elemento innovativo di prognosi (e perciò utile in termini di strategia e carichi assistenziali). Il rimando alle figure da 3 a 8 della Parte 1 è evidentemente obbligatorio, per rendere visibile/esplicito/utilizzabile il nuovo contesto informativo sulle storie delle persone/popolazioni che sono i soggetti da cui gestire e valutare nel tempo le complessità/fragilità. Diventa così comprensibile l’apparente complessità del totale di questo paragrafo: l’incertezza e la variabilità segnalate dai farmaci, malattie, persone e storie che rivelano infatti una possibile/migliorabile/meno fragile gestibilità dei problemi proprio nella variabilità delle tante storie.
Farmaco | Dosaggio | Posologia | Orario somm. |
Levotiroxina cpr | 50 mcg | 1 cp/die | 7 |
Bisoprololo cpr | 5 mg | 1 cp/die | 7 |
Candesartan cpr | 32 mg | 1 cp/die | 7 |
Lamotrigina cpr | 50 mg | 1 cp x 3/die | 7 -18 - 20 |
Biperidene cpr | 2 mg | 1 cp x 2/die | 7 - 20 |
Duloxetina cps | 60 mg | 1 cp/die | 7 |
Omeprazolo cps | 20 mg | 1 cp/die | 7 |
Quetiapina cpr | 25 mg | ½ cp/die | 23 |
Ac. Acetilsalicidico cpr | 100 mg | 1 cp/die | 12:30 |
Levodopa + Carbidopa cpr | 100 + 25 mg | ½ cp x 6/die | 7 - 10 - 12 - 15 - 18 - 20 |
Levodopa + Carbidopa cpr a rilascio modificato | 100 + 25 mg | 1 cp/die | 23 |
Melevodopa + Carbidopa cpr | 100 + 25 mg | da 1 a 3 cp/die | al bisogno |
Diazepam cps | 2 mg | da 1 a 3 cp/die | al bisogno |
Verso una “gestibilità quotidiana” clinicamente/assistenzialmente utile della epidemiologia dei dati amministrativi
1. Ogni medico - tendenzialmente? obbligatoriamente? - potrebbe/dovrebbe organizzare la propria popolazione di assistiti “complessi” secondo la logica di stratificazione per problemi e prescrizioni proposta nelle tabelle 1 e 2 della Parte 1 di questo contributo. L’obiettivo è quello di esplicitare la variabilità della complessità per ridurre la “fragilità” (la difficile gestibilità complessiva) attraverso le esplicitazioni dei componenti (medici, anagrafici, contestuali) delle complessità e la visibilizzazione delle loro articolazioni. Non si tratta di produrre dati di per sé statisticamente elaborabili (data la bassa numerosità dei diversi “strati”), ma di farsi carico in modo più mirato e qualitativo della variabilità delle loro articolazioni.
2. La tendenza attuale di pratiche di gruppo (nelle loro diverse forme di articolazione e di gestione) può ritrovare in questo esercizio di stratificazione uno strumento interessante di valutazione micro-epidemiologica/puntuale e ancor più prolungata nel tempo, in forma di coorti di cui predire/documentare gli “esiti”) attraverso il pooling dei singoli database, che possono essere informativi anche sul ruolo e l’impatto dei diversi contesti culturali e assistenziali.
3. Uno dei prodotti più immediati e interessanti di questo esercizio (che è di per sé un potente mezzo per assicurare/verificare le qualità dell’assistenza attraverso il confronto tra diverse popolazioni di assistiti) è quello di poter mettere in evidenza “minoranze” particolarmente a rischio e/o portatrici di gravità clinica e gravosità assistenziale. La riproposizione della “minoranza” della popolazione ultra 85enne (Figura 1) è un buon esempio di questo risultato.
Le curve di sopravvivenza dei grandi anziani mostrano meglio che le altre l’esistenza di estreme eterogeneità/variabilità inter-individuali: infatti in questa popolazione “limite”, in cui i soli fattori anagrafici sono creduti spiegare la maggior parte della “fragilità”, esistono coorti di lungo-sopravviventi (che sono presenti per tutto il periodo di follow-up pari a 7 anni) la cui individuazione è fortemente favorita dall’applicazione degli indici di gravità/complessità oggetto di questo contributo. Infatti l’applicazione dell’Indice di Comorbilità di Charlson, ma ancor più attraverso l’applicazione del DDCI (Drug Derived Complexity Index), è possibile stratificare la popolazione ultra85enne in coorti con caratteristiche profondamente diverse in termini di sopravvivenza sia a breve che a medio termine (Tabelle 1 e 2).
Soprav. 1 ANNO | Soprav. 3 ANNI | Soprav. 5 ANNI | Soprav. 7 ANNI | |
CHARLSON non valutabile | 62.551 (90,29%) | 49.966 (72,12%) | 35.376 (51,06%) | 32.441 (46,83%) |
CHARLSON 0 | 3.315 (86,35%) | 2.421 (63,06%) | 1.425 (37,12%) | 1.192 (31,05%) |
CHARLSON 1-2 | 4.437 (81,31%) | 2.421 (63,06%) | 1.571 (28,79%) | 1.294 (23,71%) |
CHARLSON 3-4 | 2.185 (76,42%) | 1.313 (45,92%) | 650 (22,73%) | 538 (18,82%) |
CHARLSON ≥ 5 | 659 (67,45%) | 397 (40,63%) | 182 (18,63%) | 155 (15,86%) |
Sopravvivenza | Soprav. 3 ANNI | Soprav. 5 ANNI | Soprav. 7 ANNI | |
DDCI<=0 | 31.643 (93,04%) | 27.626 (81,23%) | 23.759 (69,86%) | 21.855 (64,26%) |
DDCI 1 | 10.670 (90,30%) | 8.275 (70,03%) | 6.047 (51,18%) | 4.330 (36,64%) |
DDCI 2 | 5.805 (88,90%) | 4.310 (66,00%) | 3.035 (46,48%) | 2.135 (32,69%) |
DDCI 3 | 6.218 (85,90%) | 4.427 (61,15%) | 3.029 (41,84%) | 2.083 (28,77%) |
DDCI 4 | 5.776 (85,27%) | 4.041 (59,65%) | 2.717 (40,11%) | 1.833 (27,06%) |
DDCI≥5 | 13.035 (81,26%) | 8.408 (52,42%) | 5.264 (32,82%) | 3.384 (21,10%) |
Tabella 2. Sopravvivenza a 1, 3, 5 e 7 anni della popolazione ultra85enne stratificata per DDCI
In relazione al dibattito circa la safety di alcuni farmaci in popolazioni anziane e ancor più come esempio rivelatore di come un farmaco possa essere un “marcatore” fortemente indicativo di una gravosità/complessità assistenziale (percepita dal medico anche al di là dell’indicazione clinica per una patologia ben definita), è interessante prendere in esame l’utilizzo degli antipsicotici nella popolazione ultra85enne.
Infatti questa classe di farmaci nei grandi anziani è più il segno della presa in carico da parte del medico di un bisogno assistenziale gravoso per i care-giver/operatori sanitari piuttosto che la risposta terapeutica appropriata ad una necessità clinica.
Quindi la decisione del medico di aggiungere alla terapia cronica tale categoria di farmaci può essere considerata come l’espressione, anche solo parzialmente consapevole, della percezione di una fragilità clinico/assistenziale e della conseguente difficoltà nel management, che riesce a esprimersi solo con un trattamento che “seda” le difficoltà.
I soggetti ultra85enni esposti ad antipsicotici erano 2.755, tali soggetti presentano una sopravvivenza nettamente inferiore rispetto ai soggetti non esposti (Figura 2).
Come appare dalla Tabella 3, l’esposizione ad antipsicotici, al netto dell’influenza di fattori anagrafici o delle comorbilità, dimostra un incremento nel rischio di mortalità pari al 76,8% rispetto alla popolazione di controllo.
Questa analisi a carattere esemplificativo appare una delle molteplici applicabilità su popolazioni reali e nel continuum delle cure dei dati amministrativi correnti, un cui uso intensivo/quotidiano è auspicabile in un’ottica orientata a persone/popolazioni.
DECESSO | ||
HR | IC 95% | |
Soggetti NON ESPOSTI ad antipsicotici | 1.000 | |
Soggetti ESPOSTI ad antipsicotici | 1.768 | 1.684 - 1.856 |
DDCI (passaggio a classe successiva) | 1.086 | 1.078 - 1.094 |
ETA’ | 1.060 | 1.054 - 1.067 |
SESSO (M) | 1.218 | 1.160 - 1.279 |
4. Una cultura dell’“appropriatezza assistenziale” - che deve privilegiare la “evidenziazione propositiva” dei bisogni più o meno “inevasi” e che richiedono perciò interventi correttivi/migliorativi - dipende strettamente dalle capacità di includere gli esiti attesi (ben diversi sul breve e/o sul medio termine) nei criteri di pianificazione e di valutazione.
Anche solo l’”intenzione” (che coincide quasi autonomamente con l’“attenzione”) di lavorare verso questa logica di epidemiologia prospettica (outcome oriented, non semplicemente descrittiva) individuale e/o collettiva costituisce uno strumento di miglioramento e di produzione di conoscenza.5. L’inclusione dei trattamenti come variabile da misurare attraverso i loro esiti rappresenta un’opportunità unica (e riconosciuta sempre più come essenziale) per ri-considerare ed “aggiustare” le linee-guida (la loro logica ed i loro contenuti) che spingono nella tappa delle “somme” degli interventi singoli, mentre dovrebbero essere al massimo uno dei punti di riferimento per la produzione di informazioni innovative da far confluire nella gestione delle complessità.
6. La gravità/gravosità delle popolazioni “anziane” diventa in questo senso non solo un “problema crescente” (la cui importanza quantitativa, in termini di numerosità di pazienti/popolazioni, costituisce oggettivamente un problema sempre più centrale, ma sempre più esposto al rischio di far prevalere l’attenzione ai “costi” economici più che alla visibilità e al rispetto dei diritti dei pazienti più fragili) ma molto di più la opportunità per l’alfabetizzazione operativa e a una continuità tra la cultura clinico-assistenziale al singolo paziente e la coscienza/documentazione epidemiologica della qualità complessiva dell’assistenza.
Data di Redazione 08/2013