Per una vaccinazione contro le pandemie di norme in assenza di evidenze
Gianni Tognoni
1. Punto di partenza "minore" (per rilevanza clinica, ma non per "significato") di questa riflessione: i due paragrafi conclusivi della nota sulla metoclopramide. Siamo agli albori della farmacologia e all'ABC dei problemi che si incrociano nella vita, molto prima che nella pratica medica. In un mondo armonizzato (ICH) da solenni agenzie con grande rispetto delle regole, le "norme" per gestire un sintomo tanto antico come la nausea in gravidanza danno "suggerimenti" che eludono di fatto il problema. 2. Punto di partenza "maggiore": la vera e propria pandemia di "norme in assenza di evidenze" che ci accompagna a proposito di virus dell'influenza (e siamo in buonissima ed autorevole compagnia nel mondo, proprio come si addice ad una pandemia vera, qualcosa che evoca l'universale, non la nuova definizione coniata recentemente dall'OMS: nella atmosfera attuale italiana la chiameremmo "ad personam"). 3. Un preludio importante, che si è andato sedando (o semplicemente adattando empiricamente e pazientemente alla aggressiva scienza del mercato?) lo si era avuto con il vaccino HPV, assunto ed adottato come problema urgente di salute pubblica nei Paesi che non ne hanno bisogno e messo in lista di attesa là dove sarebbe, ragionevolmente, essenziale ma certo incompatibile per problemi di costi. 4. Ora è la volta dell'influenza "suina", rapidamente ribattezzata con il suo acronimo molecolare che è divenuto una delle sigle più gettonate della stampa scientifica, e, certo ancor di più, di quella dei quotidiani o dei dibattiti tra esperti. Il tema si può considerare talmente noto in termini di "massa di informazioni" da non richiederne un supplemento.
Di fronte a tanto fiorire di iniziative, sequestro di energie, cambiamenti di priorità soprattutto nei paesi in via di sviluppo, le certezze-senza-evidenze sono poche:
il problema non è un problema in termini di aggressività della patologia di base; la "probabile possibilità" di complicanze gravi polmonari attende ancora (ma questa attesa non sembra essere considerata urgente: i dati rimangono frammentati, ipotetici: o "clandestini"?) una quali-quantificazione epidemiologica degna di questo nome. E non si ha neppure un'idea seria (nonostante tutti gli articoli sulle riviste più prestigiose) del perché e del come questo virus si esprimerebbe così specificamente (e raramente) in individui "sani" (a rischio? di che? "normali": perché "giovani"? o nonostante siano giovani: e/o "adulti"?);
il vaccino non ha richiesto nessun investimento serio di ricerca (di fronte a quanti investimenti, e ritorni, finanziari e, questi sì, anche preventivi?);
le previsioni dei picchi di influenza contro cui vaccinare si sono "saggiamente" spostate in avanti, per permettere di avere a disposizione il vaccino (caso estremamente suggestivo, atipico, di "prevenzione"?);
i farmaci antivirali rimangono (nell'opinione "evidence based" della comunità internazionale) tuttora classificati come sostanzialmente irrilevanti (forse addirittura tra loro in competizione per eccessi di rischio), ma oggetto di acquisti massicci-strategici da parte di autorità nazionali (non necessariamente italiane) e di raccomandazioni "tranquille" (subliminali e no) di usarli, lanciate da esperti e non sui mass-media: come parte di quella strategia della "cautela", che include le raccomandazioni di lavarsi "spesso" le mani e di non frequentare i luoghi "affollati" (le "scuole" sono in questo senso più gettonate di cinema, metropolitane, autobus, ma solo per pochi giorni, eventualmente: basta spaventare un po' il virus? sempre nella logica della prevenzione atipica, sopra ricordata?);
le sperimentazioni-valutazioni "controllate" obbediscono al clima generale di "allerta" (che coincide con la non-trasparenza): "si sa" che ci sono "trial": su/con chi? e quanti? dove? come? difficile saperlo). Così come avere un'idea del "per quando", e "per chi" sono attesi i risultati. Arrivano notizie che parlano di studi osservazionali con protocolli in cui obiettivi "soft" di sicurezza in primo piano si intrecciano con gli obiettivi "hard" (ma "secondari"! finezze della metodologia!) di efficacia preventiva delle polmoniti (su che base epidemiologica? e con che gruppi di confronto? v. sopra).
5. Sembra legittima - anzi obbligatoria - la domanda sul come è possibile che in tempi di EBM, e di "governance globale" si possa essere spettatori (e' l'unico termine appropriatamente "passivo" che si possa usare) di una campagna così massiccia di disinformazione collettiva e globale: più ancora che nei contenuti, nei metodi. Che i toni da "guerra totale" usati per annunciare le pandemie degli anni recenti (per fortuna rivelatesi tutte "ragionevoli", tanto da non manifestarsi) vogliono introdurre l'idea che, come in guerra, le regole dell'informazione possono/debbano essere sospese (per confondere il "nemico"? virus, in questo campo?). 6. Non si cita qui la letteratura - molto abbondante e documentata sulle radici di queste operazioni e le loro implicazioni di mercato (nel suo senso più globale: anche se, come sempre capita in economia, non "pandemico", ma ben concentrato in pochi gruppi industriali/finanziari). In fondo sono componenti "ovvie" di uno scenario che vede sempre più la "epidemiologia reale" dei problemi sanitari come un indicatore della vita e della cultura complessiva delle società. E non si entra neppure nel gioco delle parti che "l'emergenza" scatena tra SSN, regioni, medici di medicina generale: chi è responsabile del vaccino e del vaccinare? con che "incentivi"? in che condizioni di sicurezza? vaccinare o no gli "operatori"? e le donne in gravidanza? e perché? (N.B. Per chi fosse interessato si raccomanda — l'indirizzo sarà dato su richiesta — lo scambio di corrispondenza su questi temi tra i medici dello CSERMEG, che è una delle espressioni più ironiche, intelligenti, disincantate di questi aspetti). 7. Questa non è una riflessione sull'influenza "suina" (N.B. è bene lasciarle questo suo nome originale, la ricolloca — come fanno per altro gli studi "originali" — nel suo habitat di origine, la riporta alle sue "cause evitabili", la ripropone come indicatore dell'epidemiologia reale, che a sua volta non è una citazione a caso: l'articolo principale dell'Epidemiological Reviews di quest'anno è proprio dedicato a questa visione non-sanitaria della epidemiologia1: anche qui vale la raccomandazione di lettura, ugualmente seria, anche se per altre ragioni, come quella formulata al punto precedente).
L'influenza suina è un punto di partenza come si è detto sopra. Questo contributo, che si vorrebbe metodologico, rimanda ad un atteggiamento che non ci si stanca di riproporre su queste pagine: il disincanto. Che è il contrario della rassegnazione. E' il chiamare le cose per nome. Non credere mai che le "emergenze" siano motivo per sospendere le regole. Al contrario. Impongono di averle rigorosamente presenti, per usarle in modo intelligente: non solo, possibilmente, da spettatori o da "lettori critici" di articoli. 8. E' bene dare almeno un esempio, per documentare come una cultura della [pseudo]-emergenza entra sistematicamente nel processo delle decisioni sanitarie che si dichiarano "basate sull'evidenza", e perciò traducibili in norme, e/o protocolli applicativi o terapeutici, e/o in criteri di appropriatezza e prescrivibilità-rimborsabilità. Anche questa volta il tema non è nuovo (ma si sa che è impresa ardua trovare qualcosa di realmente nuovo di questi tempi….): ma è molto "aggiornata" una sua ricollocazione rispetto al rapporto tra evidenze, normatività, pratiche. Il problema è quello dell'uso degli antipsicotici, tipici e atipici, con tutti i loro protocolli terapeutici, dentro e fuori la psichiatria, o la geriatria. Nei due ultimi numeri di Psychological Medicine, rivista di riferimento del settore, c'è un vero e proprio dossier sugli antipsicotici: gli articoli trattano vari aspetti che non possono essere sviluppati qui per ragioni di spazio2. Per chi vuol "vedere" concretamente come la logica della non-evidenza si trasforma in criterio di giudizio e di comportamento (non solo "normato", ma condiviso-richiesto dai medici e dai pazienti, "condizionati" dalla ripetizione, gridata e subliminale, che si è a rischio, e, qualsiasi sia, occorre dare una risposta al bisogno) la lettura è molto raccomandata: per la articolazione (che va dai dati più di moda e tecnologici derivati dalle RMN cerebrali sugli effetti dei farmaci, ai trial, al NICE, alle associazioni dei pazienti); per la collocazione anche geograficamente "rappresentativa" degli autori (UK, USA, Svizzera, Germania) che non sono psichiatri "critici"; per il disincanto delle conclusioni: "Sembra, finalmente, che si debba accettare il fatto che gli antipsicotici di 2a generazione o atipici non rappresentino una reale novità terapeutica, come si era finito per credere per un decennio. Colpisce ancor di più come l'accettazione di questo giudizio si sia trasformata tanto rapidamente in un dato di fatto. Ma forse questo indica solo che ne eravamo, in fondo, consapevoli fin dall'inizio".
Bibliografia 1. Beckfield J, Krieger N. Epi + demos + cracy: Linking Political Systems and Prioritaties to the Magnitudo of Health Inequities—Evidence, Gaps, and a Research Agenda. Epidemiologic Reviews 2009 pag. 1-26. 2.Psychological Medicine 2009; 39 :1591-606; 39: 1763-82.