Quadro di riferimento
Nel numero 5 del 2008 di IsF, si è proposta una lettura dell'andamento della ricerca clinica cardiovascolare a partire dai risultati di alcuni dei più recenti "grandi studi", che proponevano, nel loro complesso, una situazione di scarse-nulle novità rilevanti.
La logica che aveva suggerito questa seconda parte di una rilettura dello stato di avanzamento-produttività della ricerca, e perciò delle conoscenze, nel campo cardiovascolare (classicamente considerato il più produttivo ed affidabile in questo tempo di EBM) era molto semplice:
in fondo è "normale" che a tempi di forte innovazione succedano tempi di apparente stagnazione;
questo steady-state può essere letto come una opportunità per consolidare-appropriarsi-tradursi in pratica delle evidenze accumulate: tempo tutt'altro che irrilevante per sviluppare quella parte di "translational research" che — all'estremo opposto, ma complementare, della ricerca che va dalle conoscenze di base alla clinica — permette di verificare la continuità tra efficacia clinica-sperimentale ed efficacia epidemiologica e di salute pubblica (il classico paradigma di Cochrane da efficacy ad effectiveness);
è interessante dunque andare a valutare, su un periodo sufficientemente rappresentativo del turnover atteso delle conoscenze, lo stato dell'arte della letteratura riguardante linee-guida, Consensus, raccomandazioni, che possono essere considerate rappresentative di questa "ricerca di trasferibilità" del sapere, di cui tanto si sottolinea l'importanza in tempi di ECM, di management, di governance clinica.
Il procedimento previsto era molto impegnativo, ma lineare:
una ricerca bibliografica che copre gli anni dal 2000;
una valutazione quali-quantitativa di quanto disponibile;
un commento a partire dall'interno della pratica clinica.
Mentre il percorso di ricerca si stava completando, una vera e propria "esplosione" di pubblicazioni in alcune delle più prestigiose riviste internazionali toccava, da diversi aspetti ed in modo approfondito, lo stesso tema, con risultati strettamente coerenti con quanto si era trovato, ma con una completezza ed autorevolezza di analisi che suggeriva una modifica profonda della struttura di questo contributo. Si e' deciso dunque per una articolazione che comprende:
1. i risultati della "nostra" strategia, riportati in assoluta sintesi;
2. un confronto "letterale" con la pubblicazione più rilevante ed esauriente sulle linee-guida e la loro affidabilità;
3. i risultati di una ricerca sulla trasferibilità delle linee-guida a livello europeo;
4. uno sguardo più globale al problema della trasferibilità.
1. Linee-guida per il XXI secolo
1.1 La metodologia ed i risultati quantitativi principali sono riassunti, in forma schematica nella Figura 1. Sulla base di un algoritmo di ricerca molto rigoroso (ristretto peraltro alla lingua inglese ed italiana), la sola banca dati Medline ha prodotto 1.515 referenze potenzialmente rilevanti. Opportunamente "scremate" (attraverso una revisione puntuale di titoli e/o contenuti) la numerosità si "riduce" (si fa per dire!) a 873 pubblicazioni assolutamente "pertinenti" per l'obiettivo della ricerca. La loro suddivisione per argomento, proposta nella Figura1, non ha bisogno di essere commentata nel dettaglio. Il lavoro di screening-lettura dei documenti originali impone, tuttavia, alcune osservazioni decisamente significative:
l'universo delle pubblicazioni è assolutamente "specialistico-centrico": solo il 3% ha come oggetto specifico, e criterio di riferimento, la pratica di medicina generale;
la logica delle linee-guida è la focalizzazione sul problema "indice": la citazione-discussione delle co-morbidità (es. ipertensione e iperlipidemia; scompenso e BPCO; ipertensione e patologia renale; ecc.) è del tutto occasionale: complessivamente si aggira intorno al 2% delle pubblicazioni;
dello stesso ordine di grandezza è la frequenza di linee-guida dedicate espressamente alla gestione complessiva del "rischio cardiovascolare";
addirittura "ridicola" la presenza di linee-guida per "low income countries" (LIC): un documento OMS sul come garantire tecniche affidabili di misura della pressione arteriosa!
Applicazione delle linee-guida nella pratica clinica: il punto di vista del cardiologo clinico1.2
Non sorprende — anzi è profondamente coerente con questo scenario — l'insieme di commenti raccolti da "clinici informati" in occasione di incontri ECM su RCT, EBM, ecc. che nella loro sobrietà indicano bene la "distanza" tra un dover essere, che è "raccomandato", e la realtà.
Una ridotta applicazione delle linee-guida nella pratica clinica quotidiana si può considerare la regola, per motivi diversi, a partire dal loro contenuto, che può andare dall'estremo dettaglio su alcuni aspetti particolari all'assoluto silenzio sui contesti assistenziali nei quali si lavora.
Già anni fa si metteva in evidenza che non sempre le linee-guida rispettavano quella che era la metodologia di sviluppo che le maggiori società scientifiche raccomandavano per la loro stesura (Figura 2).
L'attuale metodo di codifica della "forza" della singola raccomandazione prevede tre differenti livelli. Soffermandosi solo sul livello di forza più alto, il livello A, bisogna considerare che perché possa essere attribuito tale livello sono necessari diversi studi, meglio se randomizzati controllati, comprendenti da 3 a 5 differenti sottopopolazioni di pazienti. Questa metodologia di codifica potrebbe comportare che l'evidenza di un beneficio derivante da uno studio controllato e randomizzato, per quanto ben disegnato e condotto, non avrà mai le caratteristiche per essere classificato come di tipo A. Se si considerano le problematiche per realizzare trial randomizzati oggi, epoca nella quale la ricerca è quasi sempre finanziata dall'industria, non sempre disposta a ritestare un intervento dopo averne dimostrato l'efficacia, si comprendono facilmente le difficoltà che le "nuove" evidenze trovano per essere classificate di livello A.
Nella formulazione delle raccomandazioni, non si tengono in debita considerazione caratteristiche fondamentali del paziente, dall'età avanzata alle co-morbidità (e spesso le due situazioni sono associate), che sono di fatto all'origine dei problemi di decisione clinica più controversi.
La differenza delle indicazioni in linee-guida promulgate da Società scientifiche diverse, si complica con il tempo necessario per la pubblicazione di nuove linee guida (e/o di loro revisioni-aggiornamenti), stimato essere complessivamente intorno ai 24-30 mesi: ovviamente con la conseguenza di "invecchiamento precoce" in caso di (verosimile) pubblicazione di nuovi dati (non solo di studi randomizzati).
Negli ultimi anni i risultati di molti studi, nella migliore delle evenienze "neutri", hanno ridotto l'importanza del lasso temporale necessario alla stesura delle linee guida ma hanno contemporaneamente accentuato la ritrosia dell'industria ad investire ulteriori risorse economiche una volta dimostrata anche la sola equivalenza con i trattamenti già in uso.
Sono tante le "evidenze" che dimostrano che la passiva divulgazione delle linee-guida è generalmente poco efficace determinando solo minimi cambiamenti nella pratica professionale. L'introduzione delle linee-guida dovrebbe avvenire utilizzando idonee strategie di implementazione, che siano adattate in relazione alle specifiche caratteristiche del cambiamento proposto, al gruppo al quale tali cambiamenti sono rivolti, alla realtà locale ed ai relativi ostacoli.
Il contesto organizzativo attuale orienta le linee-guida ad essere strumento di contenimento delle spese e a programmi burocratici di appropriatezza, accentuandone in tal modo la rigidezza e diminuendo l'attenzione alle componenti metodologiche e scientifiche.
Il cardiologo rimane un clinico poco motivato ad investire tempo e fatica nella compliance a "raccomandazioni" di cui è difficile vedere risultati; da aggiungere la poca familiarità con metodiche che potrebbero risultare difficoltose (ad es. la stima computerizzata del rischio globale) e la "resistenza" a linguaggi direttivi e/o pedanti.
Potrebbe non condividere le indicazioni delle linee guida, ed i risultati che se ne possono attendere. Due esempi. Sono di questi ultimi mesi le numerose discussioni sulle modifiche apportate nelle categorie di pazienti nei quali sarebbe indicata la profilassi dell'endocardite nelle ultime linee-guida sull'argomento, non universalmente condivise; le indicazioni alla modifica degli stili di vita quale prima misura di prevenzione cardiovascolare, spesso non sono neppure prospettate al paziente perché ritenute di difficile/impossibile realizzazione.
Manca sostanzialmente una pratica (cultura, linguaggio, tempo) di reale dialogo-formazione del paziente sui criteri di uso delle linee guida, come guida flessibile e non rigidamente "prescrittiva".
2. Le evidenze scientifiche alla base delle linee-guida di ACC/AHA1
L'articolo del JAMA sul livello di evidenza delle linee-guida dell'American College of Cardiology (ACC) e dell'American Heart Association (AHA) è da leggere con grande attenzione. E' il frutto di un lavoro veramente notevole per sistematicità, lucidità, disincanto, ben sottolineato dall'editoriale che lo accompagna " Reassessment of clinical practice guidelines: go gently into that good night"2.
I risultati principali (che riguardano 25 anni di linee-guida) non hanno bisogno di commenti migliori di quelli degli autori (che rappresentano alcuni dei gruppi più autorevoli in assoluto nella ricerca attiva degli Stati Uniti), che possono essere meglio compresi tenendo presenti i livelli di evidenza e le classi delle raccomandazioni (Tabella 1).
Risultati principali e commenti
(N.B. Si é costruito un testo unico e fluido con una articolazione di citazioni prese dalla sezione risultati, e da quello dei commenti, che sono in corsivo)
Dal 1984 al settembre 2008, ACC e AHA hanno pubblicato 53 linee-guida (24 su patologie, 15 su approcci interventistici e 14 su procedure diagnostiche) su 22 argomenti, comprese 7.196 raccomandazioni. Tra le 12 linee-guida con almeno una revisione o un aggiornamento, il numero delle raccomandazioni, dalla prima versione alle attuali, è aumentato del 48% (1.330 vs. 1.973). Complessivamente, le linee-guida si collocano più tra raccomandazioni di Classe II (mediana 15,3%) e meno tra quella di Classe III (mediana -16,4%), mentre le raccomandazioni di Classe I sono rimaste costanti nel tempo (mediana 0,2%). Le raccomandazioni contenute nelle linee-guida dell'ACC e dell'AHA sono aumentate progressivamente, in particolare le raccomandazioni di Classe II (quelle in cui le evidenze sono contraddittorie e/o vi sono divergenze di opinioni sulla utilità/efficacia della procedura o del trattamento).
16 linee-guida riportano il livello di evidenza e contengono un totale di 2.711 raccomandazioni. Tra queste, 314 vengono classificate in A, 1.246 in C. La maggior parte delle linee guida contiene raccomandazioni appartenenti al livello C in più del 50% dei casi (con la percentuale più alta del 71% appannaggio delle linee guida sulla valvulopatia) e una sola raccomandazione con un livello di evidenza basato su studi clinici (livello di evidenza A).
Inoltre, le raccomandazioni con livello di evidenza A sono per lo più concentrate in Classe I, ma tra tutte le 1.305 raccomandazioni di Classe I che riportano il livello di evidenza, soltanto 245 hanno un livello A (mediana 19%), mentre 481 un livello C (mediana 36%). La classificazione per livello di evidenza correla la raccomandazione con la solidità delle prove. Il livello di evidenza più basso (livello C: basato solo sull'opinione di esperti, su studi in aperto su casi o sul "trattamento usuale") risulta il più frequente nelle attuali linee-guida. L'opinione degli esperti rimane l'elemento dominante nell'orientare la pratica clinica, soprattutto in certe aree particolari, sottolineando la necessità di studi clinici in questi settori. Le raccomandazioni basate esclusivamente sull'opinione di esperti possono introdurre dei bias durante il processo di elaborazione delle linee-guida, primo tra tutti quello economico. Le linee-guida sono spesso un mezzo promozionale delle ditte farmaceutiche e dei produttori di dispositivi medici. Gli "esperti" possono ricevere finanziamenti dall'industria (per relazioni a convegni, per consulenze, per la ricerca) e questo può introdurre bias significativi nelle raccomandazioni delle linee-guida. I legami economici tra ditte farmaceutiche e gruppi di esperti sono molto frequenti: da una analisi condotta su 44 linee-guida è emerso che l'87% degli autori aveva qualche forma di legame con l'industria farmaceutica3. L'attuale ricerca clinica (negli Stati Uniti) è pesantemente influenzata dalla strategia dell'industria di commercializzare nuovi farmaci. C'è invece una scarsa propensione a finanziare studi che affrontino il problema della efficacia comparativa o della pratica clinica usuale. L'obiettivo dell'industria è quello di condurre studi di efficacia in gruppi selezionati di pazienti necessari per ottenere la registrazione da parte della FDA. Documentare l'efficacia di un farmaco senza l'effetto confondente di pluripatologie e di farmaci potenzialmente interagenti rappresenta una prima tappa importante, ma è necessario studiare i nuovi farmaci anche nella popolazione più ampia dei pazienti reali che poi riceveranno il farmaco nella pratica clinica quotidiana. Le linee-guida risultano spesso troppo concentrate sulla singola malattia e non sul paziente: raramente i pazienti presentano una singola patologia. La maggior parte delle linee-guida ha una impostazione rigida che si traduce in raccomandazioni poco flessibili e contestualizzate4,5.
N.B. Per una visione più ottimistica, ma basata sui "processi generali" di formazione delle linee-guida, più che sulla loro "scientific evidence" vedi l'editoriale "Tools for guiding clinical practice from the American Heart Association and the American College of Cardiology: what are they and how should clinicians use them?"6.
3. Linee-guida sulla prevenzione cardiovascolare applicate alla pratica quotidiana: le indagini EUROASPIRE I, II, e III in otto paesi euoropei 7 Risultati: nella prima indagine sono stati intervistati 3.180 pazienti, 2.975 nella seconda e 2.392 nella terza. Complessivamente, la percentuale di fumatori si è mantenuta pressoché costante (20,3% in EUROASPIRE I, 21,2% nel II, 18,2% nel III; p=0,64 per il confronto tra le indagini), ma la percentuale di fumatrici di età inferiore a 50 anni è aumentata. Il numero di obesi (con un indice di massa corporea = o > 30 kg/m2) ha subito un incremento, passando dal 25,0% di EUROASPIRE I, al 32,6% del II e al 38,0% del III (p=0,0006). La percentuale di pazienti ipertesi (con una pressione = o > 140/90 mmHg, o di 130/80 mmHg se diabetici) è risultata simile (58,1% in EUROASPIRE I, 58,3% nel II, e 60,9% in III; p = 0,49), mentre si è ridotta la percentuale di pazienti con ipercolesterolemia (colesterolo totale = o > 173 mg/dl): dal 94,5% di EUROASPIRE I, al 76,7% del II, al 46,2% del III (p<0,0001). E' aumentato il numero di pazienti che ha segnalato di essere diabetico, dal 17,4%, al 20,1%, al 28,0% (p=0,004).
Interpretazione: Questi trend temporali dimostrano la necessità urgente di intervenire in modo più efficace sulle abitudini di vita dei pazienti con coronaropatia. Nonostante sia aumentato il numero di farmaci disponibili per il controllo di pressione e colesterolemia, il trattamento dell'ipertensione è rimasto invariato, e quasi la metà dei pazienti continua ad avere livelli lipidici superiori ai valori target raccomandati. Trattare l'ischemia acuta del miocardio senza intervenire sulle cause è inutile; dobbiamo investire in prevenzione.
Curioso l'editoriale "Secondary cardiovascular risk prevention - we can do better"8: constata, ovviamente, il sostanziale fallimento di una storia che copre 12 anni di "raccomandazioni", soprattutto per quanto riguarda quelle che dovrebbero essere il "core" delle raccomandazioni ("gli stili di vita"): per concludere poi con raccomandazioni assolutamente generiche, ben riassunte dal "we can do better" del titolo, quasi patetico nella sua neutra buona volontà.
4. Disuguaglianze nell'accesso ai servizi di assistenza cardiovascolare: la sfida più grande per tutti 9
I gruppi che presentano questa riflessione appartengono a quell'universo geografico-culturale che sta producendo alcune delle ricerche più importanti nell'area asiatica e del Sud-Pacifico. E' uno dei più recenti contributi. Da leggere con un N.B.: gli autori raccomandano di "combinare" le strategie della EBM (cioè quelle delineate nel punto 2), con un "miglioramento" delle condizioni strutturali della "primary care", a cui le "evidenze" devono essere "adattate", perché i middle-low-income-countries (MLIC) (vedi punto 1 per l'attenzione che viene data loro nelle linee-guida internazionali!) sono proprio diversi. Consolante? Ingenuo? Demagogico?
Conclusioni
Il dossier è già troppo lungo.
Alcuni commenti sono proposti nell'editoriale di questo numero. Il tema della dissociazione tra la logica e la ridondanza delle linee-guida e la obbligatorietà di fare della trasferibilità intelligente il centro della pratica è del resto un tema fisso di IsF. E' consolante (?) trovare conferme nella letteratura. Ciò non significa certo immaginare di essere più vicini alla soluzione. Anche perché i pareri sul futuro della ricerca cardiovascolare sono tutt'altro che concordi10.
Bibliografia 1. Tricoci P et al. Scientific evidence underlying the ACC/AHA clinical practice guidelines. JAMA 2009; 301:831-41. 2. Shaneyfelt TM, Centor RM. Reassessment of clinical practice guidelines: go gently into that good night. JAMA2009; 301:868-9. 3. Choudhry NK et al. Relationships between authors of clinical practice guidelines and the pharmaceutical industry. JAMA 2002; 287: 612-7. 4. Shaneyfelt TM et al. Are guidelines following guidelines? The methodological quality of clinical practice guidelines published in the peer reviewed medical literature. JAMA 1999; 281:1900-5. 5. Boyd CM et al. Clinical practice guidelines and quality of care for older patients with multiple comorbid diseases: implications of pay for performance. JAMA 2005; 294:716-24. 6. Antman EM, Peterson ED. Tools for guiding clinical practice from the American Heart Association and the American College of Cardiology: what are they and how should clinicians use them? Circulation 2009; 119:1180-5. 7. Kotseva K et al. EUROASPIRE Study Group Cardiovascular prevention guidelines in daily practice: a comparison of EUROASPIRE I, II, and III surveys in eight European countries. Lancet 2009; 373:929-40. 8. Brekke M, Gjelsvik B. Secondary cardiovascular risk prevention - we can do better. Lancet 2009; 373:873-5. 9. Joshi R et al. Global inequalities in access to cardiovascular health care: our greatest challenge. J Am Coll Cardiol 2008; 52:1817-25. 10. Garber AM. An uncertain future for cardiovascular drug development? N Engl J Med 2009; 360:1169-71.