Si è preso in prestito per questo editoriale il titolo, al plurale, di una delle rubriche che caratterizzano pur con denominazioni diverse, tutti i bollettini di informazioni sui farmaci, che condividono, al di là delle loro differenze, obiettivi e strategie di lavoro comuni, riassumibili come: "permettere, a chi vuole, di ubicarsi, nel mondo intricato, ma soprattutto ridondante, dei farmaci (e ancor più di quanto sta loro intorno): non tanto per essere al corrente di ciò che succede, quanto per essere in grado di vedere, e scegliere, direzioni e percorsi".
Il plurale è importante. Vorrebbe ricordare che è bene non fidarsi mai di un solo criterio di direzione. La capacità di combinare il sapere dove si è, e lo scegliere, con autonomia, un progetto di cammino, non può essere il prodotto di una competenza "unica", per quanto affidabile essa sia, come quella di una bussola. Nella vita, anche quella che si esprime nel piccolo o grande territorio che è la competenza sanitaria e farmacologica, i punti cardinali o di riferimento possono essere solo un punto di partenza. Il viaggio è fatto di strade — scelte e camminate — dove la direzione si mantiene con bussole che non seguono la logica della linearità. Questa riflessione — ovvia, ma forse non inutile — è suggerita, e rivela la sua concretezza (oltre che la sua stretta pertinenza con gli obiettivi di IsF) dal dossier che si è venuto costruendo e in questo numero si conclude attorno al progetto di tentare un aggiornamento — di darsi una bussola — nel campo cardiovascolare, uno dei "mari" più ricchi e più intricati di conoscenze, più aperto a tante strade e cammini, tra quelli di cui ci si deve interessare, e soprattutto nei quali si deve vivere.
1) Il tema di questo numero — linee-guida — evoca quasi alla lettera la logica lineare di una bussola. Si è voluto esplorarlo, per identificare e scegliere cammini. Il risultato è stato più sorprendente di quanto si potesse immaginare.
Le linee-guida non guidano, le raccomandazioni ridondano fino a confondere, le regole di controllo di qualità sono usate senza criteri di qualità;
i pazienti e le popolazioni sono marginalizzati, a favore di farmaci, procedure, classificazioni di evidenze che pretendono di essere bussola, ma che rendono difficile le scelte di direzioni;
la realtà del quotidiano e dell'assistenza alle "maggioranze" — dove si dovrebbero percorrere le strade ed i cammini che portano ai pazienti-popolazioni concreti, quelli che hanno più bisogno, e rispetto ai quali sono necessarie bussole di intelligenza — è sostituita da una frammentazione-giustapposizione di problemi specialistici, che guardano a se stessi, attenti a non interfacciarsi gli uni con gli altri;
la autonomia-indipendenza dalle influenze esterne — caratteristica minima per garantire alle bussole l'affidabilità almeno degli orientamenti di base — non è [quasi mai] garantita: anzi, sembra essere l'occasione.
2) Il quadro non è confortante. Ma forse è illuminante. Da una parte si riconferma infatti la impressionante distanza tra, da una parte, chi pretende di fare dell'obbedienza, e non della lucidità critica, il criterio di comportamento, e, dall'altra parte, la realtà articolata, spesso ambigua, certo non lineare delle pratiche concrete. Quello che di specifico e positivo emerge da questo disincanto per le bussole che si vorrebbero autorevoli, e sono al massimo espressioni di una volontà autoritaria, è tuttavia più importante. Si rilancia infatti (non da parte solo di questo editoriale) la priorità assoluta di cambiare rotta. Le "evidenze" sono fin troppe. E fin troppo ripetitive. E' tempo di prenderle per quelle che sono: una delle bussole per la realtà.
La realtà è la bussola: chiede di mantenere la barra sulla capacità di dirigersi, ma assumendosi la responsabilità non di obbedire a raccomandazioni, ma di essere coscienti che la appropriatezza vera è quella dell'adottare ciò che non si sa, per ricercare-sperimentare nella realtà di tutti i giorni le soluzioni, non empiriche, "controllate" per quello specifico problema. Il discorso non è certo nuovo su queste pagine: anzi. Per una volta è bello ripeterlo non come la "fissazione" di un gruppo editoriale, ma come il risultato di un consenso critico che viene anche dalla letteratura "autorevole" (sono tutti presenti, nella pur piccola bibliografia, i "grandi" giornali). E' bene ricordarsi dei risultati "deludenti" delle ricerche "europee", dal nome tanto promettente, Euroaspire, estese lungo 12 anni a "valutare" dal di fuori e dall'alto le pratiche (che rimangono lontane dalle raccomandazioni proprio negli aspetti sostanziali), invece che impegnarsi a sperimentare (sul serio) la trasferibilità e la praticabilità. Come è bello concordare — ma domandandosi il perché di tanto ritardo — sul fatto che si riconosce che nelle realtà con scarse risorse ("low income countries", LIC) non servono tante raccomandazioni, quanto politiche e culture diverse.
3) Bussole per strade non lineari: la riflessione partita dal cardiovascolare ha implicazioni più ampie. Eccone una, tra le tante, ma non la più banale, anzi. Sono arrivate — e benvenute — tante lettere che hanno criticato la scelta editoriale di pubblicare nell'ultimo numero un contributo "atipico" per autore, tema-linguaggio. Quella scelta era un pro-memoria del fatto che nessuno è, a priori, linea-guida, bussola sul senso e la direzione del vivere, e del morire. Pro-memoria della irrinunciabilità ad una autonomia-libertà di scelte: non per affermare altre linee-guida, ma per dichiararsi in ricerca, come modo sobrio, senza pretese, di fare di qualsiasi linea-guida un'occasione per andare a guardarne i retroterra e le implicazioni. Le bussole al plurale sono una risorsa per camminare mantenendo la direzione, cioè la responsabilità di avere un progetto, che non è quello di avere già le risposte sempre date. Non c'è discontinuità, né contraddizione, anzi, tra ciò che si può imparare confrontandosi con la incertezza del vivere, e ciò che si deve imparare per praticare la medicina in modo "informato", e non succube di raccomandazioni che pretendono di imporsi con la ridondanza e non con la sobrietà. 4) I bollettini — come le linee-guida — non sono la, né una, bussola. Sono strumenti e campi di lavoro e dialogo dove si cerca di imparare ascoltando e verificando, tra e con le tante voci, se si è su una strada che non afferma la propria affidabilità, ma cerca di mantenere la capacità di essere lucidi e disincantati nell'uso delle tante, sempre parziali, "evidenze": per essere in grado di rispondere alle domande ed ai bisogni aperti della vita, e non di produrre obbedienze ripetitive.