Nel 1982, nel corso degli studi preliminari che si proponevano di valutare l'attività ipolipemizante del ciglitazone, il primo glitazone, si scoprì che il farmaco esercitava un azione ipoglicemizzante. Il ciglitazone non fu mai commercializzato per la sua tossicità epatica. Il meccanismo dell'azione ipoglicemizzante è stato oggetto di ricerche e a metà degli anni '90 era già in buona parte conosciuto, pur rimanendo alcune aree di incertezza.
Esiste una terapia razionale per il diabete di tipo 2?
Nel diabete di tipo 2 il paziente non riesce a produrre insulina in quantità sufficiente a contrastare la resistenza insulinica. Le sulioniluree aumentano la secrezione insulinica, la metformina riduce la velocità con cui il glucosio viene immesso in circolazione dal fegato. I glitazoni da un lato riducono l'output epatico del glucosio e dall'altro ne aumentano la captazione periferica, migliorando così l'azione dell'insulina endogena e diminuendo di circa il 30% la quan-
tità di insulina esogena necessaria a mantenere un determinato livello di glicemia. L'impiego di questi farmaci ha quindi un valido razionale teorico a condizione che sia supportato da solide prove di efficacia clinica.
La commercializzazione dei nuovi farmaci
Lo sviluppo di un nuovo farmaco è un processo che richiede tempi lunghi e ingenti investimenti economici e che vede da una parte le aziende produttrici che tendono a massimizzare vendite e profitti e dall'altra le istituzioni che devono assicurare ai pazienti nuovi farmaci sicuri ed efficaci. Le regole stabilite dall'FDA prevedono che i nuovi ipoglicemizzanti (es. glitazoni) vengano valutati rispetto al placebo e non verso i trattamenti disponibili. Logica vuole quindi che i pazienti da trattare siano quelli in cui la sola dieta non consente un adeguato controllo glicemico e che richiedono pertanto un trattamento farmacologico. Data la scarsa numerosità di pazienti di questo tipo, nella maggior parte dei casi i pazienti arruolati negli studi sui glitazoni erano pazienti già in trattamento con un ipoglicemizzante orale, ai quali il trattamento in corso veniva sospeso. Poiché i pazienti randomizzati al placebo sono andati incontro ad una rapida perdita del controllo glicemico, la differenza riscontrata fra i gruppi è attribuibile soprattutto al peggioramento del gruppo di controllo anziché al miglioramento del gruppo trattato con il farmaco attivo. In uno studio col pioglitazone, il trattamento già in corso è stato sospeso per 6 settimane prima di iniziare la somministrazione del nuovo farmaco (o del placebo); l'emoglobina glicosilata, che era al 9,4%, è salita al 10,7% all'inizio dello studio per ritornare al 9,3% dopo 24 settimane di trattamento con pioglitazone (il che equivale ad un guadagno "netto" dello 0,1% rispetto alla precedente terapia! ndr). Secondo Temple e Ellenberg dell'FDA, il controllo con placebo è "chiaramente inappropriato in quelle condizioni in cui il ritardo o l'omissione di un trattamento efficace potrebbe danneggiare il paziente". Negli studi con i glitazoni centinaia di "controlli" sono stati esposti a livelli di HbA1C delI'1-2% a più elevati rispetto ai valori di partenza anche per più di 6 mesi. "Una volta che la superiorità rispetto al placebo non sia in dubbio, sono necessari studi di confronto con farmaci attivi così da verificare cosa il nuovo farmaco apporti rispetto a quelli già disponibili". Il più delle volte i medici, al momento della commercializzazione di un nuovo farmaco, sono bombardati da materiale promozionale ma non sono veramente "informati": quello che sanno è che il nuovo principio attivo si è dimostrato superiore al placebo e che, per il momento, sembra sicuro. Dopo la commercializzazione si acquisiscono le conoscenze mancanti. Ma, come sta a dimostrare la vicenda del troglitazone, questo sistema non offre garanzie di sicurezza.
La storia del troglitazone
La prima autorizzazione all'immissione in commercio è stata concessa dall'FDA nel marzo del 1997; i dati sulla sicurezza del farmaco sono stati raccolti nel corso degli studi cImici su 2.510 pazienti. A Novembre dello stesso anno vi erano già 135 segnalazioni di grave tossicità epatica e di sei morti. In Inghilterra, dove è stato commercializzato più tardi quello stesso anno, è stato ritirato dal Committee on Safety of Medicines 6 settimane dopo la commercializzazione, mentre l'FDA ha atteso fino a Marzo del 2000 prima di prendere questa decisione. Nel frattempo sono morti 60 pazienti per il danno epatico prodotto dal farmaco, altri 10 sono stati sottoposti a trapianto di fegato (3 morti), 10 pazienti sano guariti e di altri 10 non è noto l'esito. E' degno di nota che l'FDA abbia tardato tanto a ritirare il farmaco. Fra le possibili cause vi è il credito che gli stessi medici hanno concesso al farmaco, nella convinzione, mai confermata, che il regolare monitoraggio della funzionalità epatica potesse evitare l'epatotossicità e che l'entità del rischio di tossicità epatica fosse tutto sommato comparabile all'ipoglicemia da solfoniluree e all'acidosi lattica da mettormina. Ma, forse ancor più determinante è stata la pressione politica a cui l'FDA è sottoposta in questi ultimi anni perché non sia così "ostile" alle aziende farmaceutiche. I nuovi glitazoni sono più sicuri? Il rischio di epatotossicità grave è molto inferiore rispetto al troglitazione. Altri effetti indesiderati tuttavia vanno evidenziati: la comparsa di edema nel 3,5% dei pazienti sotto i 65 anni e nel 7,5% di quelli oltre i 65 anni, l'insufficienza cardiaca nello 0,3-0,6% dei pazienti in trattamento combinato, percentuale che sale al 2,5% nel caso dell'insulina (l'associazione pertanto è controindicata), e l'aumento di peso. Ma la cosa più preoccupante è il fatto che questi agonisti recettoriali possono avere effetti ad ampio raggio e non prevedibili compresi gli effetti sulla differenziazione cellulare. Contrariamente alle sulfaniluree e alle biguanidi, utilizzate da decenni, gli effetti a lungo termine del trattamento con glitazoni non sono noti. Si può accettare un rischio ignoto al posto di uno ben conosciuto solo quando vi sia una ragionevole prospettiva che la nuova terapia sia migliore.
Il vuoto informativo
Il rosiglitazone, commercializzato in USA nel maggio deI '99, pur essendo privo di pubblicazioni cliniche rilevanti, è risultato fra i 25 farmaci più venduti dell'anno, trovando la strada spianata per sostituire il troglitazone, in virtù della sua minore epatotossicità. Sul pioglitazone giunto subito dopo, per tutto il primo anno dalla commercializzazione non era disponibile alcuna pubblicazione peer-reviewed al di fuori del Giappone. Le ditte produttrici citano files confidenziali, a cui tuttavia i medici non possono avere accesso, e numerosi abstract, il che può essere fuorviante: potrebbero infatti venire pubblicati per esteso solo gli studi con i risultati più favorevoli.
Il troglitazone si era rivelato un farmaco utile?
In monoterapia il troglitazone aveva prodotto risultati insignificanti: I'HbA1C non si era ridotta in modo significativo rispetto ai valori di partenza, anzi in alcuni casi era aumentata nonostante un trattamento a dosaggio pieno. Tutti gli studi tuttavia sono stati presentati come positivi con differenze altamente significative rispetto ai pazienti trattati con placebo dopo che era stato loro sospeso il precedente trattamento. E' risultato inefficace nei pazienti non adeguatamente controllati da una sulfanilurea. Nonostante le evidenze di una modesta efficacia a fronte di una elevata tossicità, il troglitazione è stato così ampiamente prescritto in monoterapia che, nel marzo del 1999, la stessa FDA doveva raccomandare di non utilizzano come prima scelta. Il farmaco si è rivelato più efficace quando aggiunto alla glibenclamide, con una riduzione dell'HbA1C dell' 1,8% e della glicemia a digiuno di 56 mg/dl, beneficio ottenuto a fronte di un aumento di peso di 5,9 kg in un anno. Inoltre, in uno studio, l'aggiunta di 600 mg/die di troglitazone ha consentito la riduzione del 29% della dose giomaliera di insulina, ha ridotto l'HbA1C ma ha comportato un aumento di peso. Non è stato condotto alcuno studio di confronto, anche se sarebbe stato facile. Il troglitazone è venuto e andato senza alcuna dimostrazione di superiorità rispetto alle terapie esistenti.
Rosiglitazone e pioglitazone
L'accesso ai dati degli studi su questi farmaci è limitato: la presentazione per esteso sarebbe il modo migliore per evitare il rischio di una interpretazione fuorviante dei risultati. La registrazione di tutti gli studi eviterebbe alle ditte l'accusa di nascondere risultati poco lusinghieri. Due studi non pubblicati di confronto fra rosiglitazone e metformina dimostrano che, pur se con difetti metodologici, gli studi di confronto producono molte più informazioni degli studi verso placebo e suggeriscono che il rosiglitazone in monoterapia ha un efficacia molto modesta.
La posizione del NICE in Inghilterra
Secondo le indicazioni del NICE (National Institute for Clinical Excellence), la terapia di associazione di prima scelta prevede la metformina+una sulfanilurea. Il rosiglitazone viene indicato come una alternativa ragionevole nei pazienti in cui non è possibile utilizzare l'uno o l'altro farmaco, dando la preferenza all'associazione metformina+rosiglitazone dato l'aumento di peso osservato nei pazienti trattati con rosigliatzone+sulfanilurea. Inoltre, in caso di glicemia elevata nonostante il trattamento con l'associazione metformina+sulfanilurea si dovrebbe fare un tentativo con un'associazione che preveda il rosiglitazone prima di passare all'insulina, indicazione quest'ultima circolata poi in modo semplificato: "il rosiglitazone deve essere proposto come alternativa all'insulina".
Si tratta di raccomandazioni veramente "notevoli", visto che non esiste alcuna prova che passare al rosiglitazone sia utile quando l'associazione standard non sia risultata efficace e non c'è ragione di credere che posticipare il trattamento con insulina in questa situazione sia di qualche beneficio dinico. Inoltre le informazioni per il paziente contenute in queste raccomandazioni non fanno menzione degli effetti indesiderati come l'aumento di peso e la ritenzione idrica e del fatto che non si conoscono gli effetti a lungo termine, né si evidenzia il fatto che l'unico beneficio a fronte di questi possibili effetti è di posticipare un po' l'insulina, una alternativa sicura e ben documentata. Questa raccomandazione, utilizzando in modo fuorviante irlinguaggio della "evidence based medicine", dà carta bianca ad una terapia non adeguatamente documentata.
Gli studi postmarketing
L'iter normativo, così com'è ora, fa sì che al momento della commercializzazione di un farmaco continui ad esistere una carenza di solide prove di efficacia. Le ditte farmaceutiche devono adottare un marketing aggressivo in questo periodo perché il conto alla rovescia della vita del loro prodotto è già iniziato. Anche la più "etica" delle ditte sarà riluttante a condurre degli studi che possano gettare di-scredito sul suo farmaco, quando i vantaggi che ne vengono vantati si fondano su dati poco consistenti, e studi che possano dimostrare che farmaci già noti e più economici sono altrettanto validi. Un espediente per distrarre l'attenzione è condurre studi collaterali che evidenziano qualche caratteristica peculiare ma di dubbia rilevanza clinica rispetto alle indicazioni del farmaco e studi relativi a possibili esaltanti applicazioni dei benefici non ancora dimostrati (questi ultimi erano molto numerosi nel "porifolio del troglitazone!").
In realtà quello che serve sono studi di efficacia comparativa, di costo/efficacia e di esito.
La logica del labirinto
Lo sviluppo di un farmaco è come un labirinto. I medici non chiedono altro che poter utilizzare in modo sicuro, razionale ed efficiente i farmaci disponibili e di poter disporre di farmaci nuovi sicuri, e con solide prove di efficacia. Ma ciò che accade è ben altro.Fino a quando le autorità regolatorie non esigeranno studi comparativi, le ditte farmaceutiche non li produrranno e non sarà possibile usare i nuovi trattamenti in base a dati solidi. Le abitudini prescrittive dei medici del resto lo confermano. In base alle evidenze disponibili al momento, i glitazoni sono da ritenersi un trattamento di seconda scelta, di efficacia modesta, senza alcun vantaggio dimostrato sulle terapie esistenti e dalla sicurezza a lungo termine sconosciuta. Non esiste per ora alcuna prova che questi farmaci consentano di posticipare la terapia insulinica. Inoltre, è dawero poco logico introdurti nel trattamento di un paziente nell'ultima fase dello scompenso beta-cellulare; potrebbero funzionare meglio se introdotti più precocemente, forse in combinazione con la metformina. Nonostante la disponibilità di nuovi farmaci per il trattamento del diabete, le basi della terapia rimangono ancora i farmaci in uso da 20 anni. I glitazoni sono farmaci meritevoli di attenzione perché sono i primi farmaci che offrono la prospettiva di un trattamento radicalmente nuova. Allora, perché non si sa come usarli? Ognuno ha la sua parte di responsabilità: l'FDA, che deve affrontare da un lato le pressioni industriali, dall'altro quelle politiche e le critiche della gente, l'industria, che riconosce l'inadeguatezza di certi studi ma che è obbligata a farli, il mercato, con le sue leggi e i medici il cui ruolo di intermediari con i pazienti viene messo in crisi dal marketing rivolto ora direttamente ai consumatori. Valutazioni critiche sulle nuove terapie èimprobabile che emergano dal momento che coloro che sono nella posizione migliore per farle emergere hanno legami, o di semplice amicizia ma anche di impegni contrattuali, con le ditte produttrici. Una lezione che si può ricavare dalla storia dei glitazoni è che l'attuale sistema di sviluppo dei farmaci non tiene conto dell'interesse pubblico. Gli studi che occorre presentare ai fini della registrazione di un farmaco sono insignificanti rispetto alle reali necessità cliniche, le ditte controllano la possibilità di accedere alle informazioni più importanti e le considerazioni di marketing dominano sul programma di sviluppo clinico. Questo sistema, governato ora dalle leggi del mercato, potrebbe cambiare. Le autorità regolatorie, come sembra stia avvenendo, dovrebbero richiedere studi comparativi e di outcome; la registrazione obbligatoria dei trial con l'impegno di una pubblicazione integrale dei risultati dissiperebbe molta della segretezza dei dati mentre l'accesso tramite Internet ai files delle autorità regolatore consentirebbe un monitoraggio efficace del sistema. I governi dovrebbero commissionare studi indipendenti i cui finanziamenti potrebbero essere ricavati dai risparmi ottenuti promuovendo il consumo di farmaci generici. Basterebbe il 3% di quello che si ipotizza che il Sistema Sanitario inglese spenderà nei prossimi 5 per il rosiglitazone per fare tutti gli studi di cui abbiamo bisogno per imparare ad usare questo farmaco. "Quando tutto il resto fallisce possiamo sempre contare sulla scienza!" ·