La Dichiarazione di Helsinki 2008 incontra la realtà
Gianni Tognoni
1. Il documento che può essere considerato, più ancora che la norma, il simbolo di riferimento per tutto quanto riguarda l'etica della sperimentazione clinica è giunto alla sua IX versione.
La sua pubblicazione è stata tempestivamente commentata nella letteratura internazionale, e le referenze bibliografiche proposte in un editoriale del BMJ1 permettono di approfondirne il significato di innovazione, e nello stesso tempo i limiti, per chi volesse almeno una volta prendere l'occasione per una considerazione-lettura non solo rituale (visto che sostanzialmente rituale è la citazione della Dichiarazione in qualsiasi protocollo di sperimentazione clinica).
2. Per rimanere aderenti alla logica e agli obiettivi di un bollettino di informazione sui farmaci, sembra opportuno confrontare la sostanza della Dichiarazione con il compito di valutazione, scelta, interpretazione, applicazione dell'informazione che viene generata dalle sperimentazioni. Questo numero di ISF ne offre l'opportunità attraverso la lettura dei suoi articoli principali, che hanno come oggetto problemi e classi terapeutiche fortemente rappresentativi sia dall'universo della sperimentazione, che di alcune delle aree più critiche dell'informazione:
3. Quale è dunque anzitutto la sostanza della Dichiarazione di Helsinki?
Lalegittimità- che è un termine più semplice e chiaro del più altisonante "eticità" – della sperimentazione, è legata alla sua intenzione-capacità di fornire risposte innovative e solide a bisogni inevasi.
La innovazione- e perciò la legittimità - è reale se viene ricercata e dimostrata come qualcosa che si aggiunge (è un plus-reale) alle migliori cure-prestazioni che già sono disponibili.
I soggetti che sono portatori dei bisogni inevasi sono iprotagonisti della sperimentazione: non rappresentano semplicemente, come individui, popolazioni o gruppi, lo strumento o l'occasione per dimostrare se e quanto un farmaco o un intervento sono registrabili.
In questo senso il processo di informazione (non il consenso informato) deve essere - nei contenuti e nelle forme - tale da rendere reale e non solo proclamata la partecipazione: che è capacità di condividere anzitutto l'incertezza intrinseca ad ogni sperimentazione, così che la decisione di essere "parte" della ricerca corrisponda ad una comprensione ragionevole di ciò che è in gioco, sia per quanto riguarda le speranze di benefici che il timore e la gestibilità dei rischi.
Nella sperimentazione si deve esprimere di fatto la capacità della medicina di essere una delle modalità privilegiate per allargare gli spazi complessivi del diritto alla vita delle persone e delle collettività, attraverso una maggiore autonomia rispetto alla malattia.
Qualsiasi interpretazione della ricerca-sperimentazione nella direzione di reclutare persone-popolazioni in protocolli che le fanno oggetto-strumento di produzione di conoscenza svincolata dalla logica di risposte a bisogni inevasi e di presa di conoscenza-fruizione dei diritti, rappresenta di fatto una deviazione-violazionedella Dichiarazione.
4. A confronto con gli scenari di informazione-aggiornamento di questo IsF
Non c'è dubbio che l'oncologia rappresenta oggi il settore della medicina più intensamente protagonista della sperimentazione: per il forte turnover di conoscenze molecolari, genetiche, farmacologiche; per la permanenza di domande-bisogni ad alto grado di incertezza, e di parzialità di risposte; per la carica di emotività-coinvolgimento delle persone (pazienti e società) che si trovano effettivamente di fronte ad interrogativi che toccano (anche, e spesso a fondo) i desideri o gli immaginari di vita.
Il quadro proposto nelle pagine dedicate ad un anno di "novità" farmacologico-terapeutiche in oncologia non ha bisogno di ulteriori commenti. E' bene leggerle anche come un richiamo molto forte, problematico, senza facili risposte, alla attualità della Dichiarazione di Helsinki. Tutti i punti "sostanziali" che si sono ricordati nel precedente punto 3 sono chiamati in causa. E' molto dubbio - anche perché è molto difficile - che le persone "reclutate" nei trial (rilevanti? appropriati?) ne siano state le protagoniste nei termini sopra ricordati. E l'informazione scaturita dai trial dice che le stesse domande sono aperte per ciò che riguarda la trasferibilità di quei risultati nella realtà clinica. Quali sono i criteri di "appropriatezza", se questa non viene banalizzata in termini di "applicazione" delle indicazioni registrate, ma viene interpretata secondo l'unico criterio di legittimità ed obbligatorietà, che è la condivisione nella ricerca di una autonomia vera nelle decisioni che riguardano diritti di vita?
Il contributo che riguarda ilsettore cardiovascolare (pag. 118) è la prima parte di una rilettura di quanto negli ultimi anni è stato prodotto nelle "grandi" sperimentazioni e pubblicato nelle maggiori riviste. I risultati sono sostanzialmente "neutri" (quando non "negativi"). Perfettamente compatibili con quanto ci si può aspettare dalla sperimentazione che per definizione verifica un'ipotesi senza garanzie di risposte positive. Ma la domanda, che non riguarda evidentemente solo il cardiovascolare, è più di fondo, e rimanda direttamente alla Dichiarazione: i protocolli che hanno prodotto quei risultati avevano veramente la legittimità di ricerche motivate da bisogni inevasi? Od avevano prevalentemente come oggetto profili di farmaci per cui creare nuovi spazi di prescrizione?
La bussola. Al di là della conferma che non ci sono novità sostanziali, sono molto esplicite (e molto serie) tre domande:
- sono ancora "legittimi" studi che espongono pazienti che certo hanno bisogni seri ed inevasi come quelli psichiatrici (vedi aripiprazolo), o come quelli con ipertensione polmonare (vedi sitaxentan), a trattamenti "placebo"?
- è accettabile la vera e propria "irrisione" di accettare, (per entrambi i farmaci citati) invece di "misure di vita", end-point tanto "surrogati", da sembrare essere fatti per valorizzare le molecole, e disprezzare la vita delle persone reali e dei loro bisogni?
- il fatto che legislazioni fatte per registrare farmaci siano compatibili con questa "irrisione" dei diritti, rende legittime le sperimentazioni e le informazioni-indicazioni-rimborsabilità che ne derivano?
La "quotidianità" dei FANS. Dopo anni di promesse, abbuffate di Coxib, rivelazioni di imbrogli, documentazione di eventi fatali o meno evitabili, scandali di conflitti di interesse, si è ritornati ai "vecchi" farmaci, e alle regole del buon senso. Ma c'è qualcuno che conosce, a tutt'oggi, l'epidemiologia dei bisogni inevasi dei pazienti cronici e disabili per artriti-osteoartrosi, e che se ne fa carico non solo con i farmaci?
5. Benvenuta la IX revisione della Dichiarazione di Helsinki. Auguri di buona lettura. Possibilmente non avendo come quadro di riferimento privilegiato o esclusivo la sperimentazione così come ce la vorrebbero far concepire-praticare le regole registrative di GCP-ICH. Meglio - data anche la coincidenza di date e anniversari - pensarla come uno dei modi di interpretare (nella realtà che ci compete che è quella della salute) la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la Costituzione Italiana, la legge 833: che non hanno bisogno rispettivamente - 60 e 30 anni dopo la loro "pubblicazione" - di "revisioni" più o meno sostanziali. Rimangono i soli progetti legittimi di ricerca-sperimentazione innovative per una fruizione di diritti che rimangono sempre (più?) inevasi.
Bibliografia
Editorial. Fresh thinking about the Declaration of Helsinki. BMJ 2008; 337: a2128.