Il trattamento dell'ipertensione nei pazienti diabetici
Anna Vittoria Ciardullo, Emilio Maestri, Nicola Magrini CeVEAS, Az. USL di Modena
Il trattamento antipertensivo intensivo in soggetti diabetici riduce l'incidenza di eventi cardiovascolari. Uno stretto controllo per mantenere la pressione diastolica < o = 80 mmHg riduce la morbilità e la mortalità da eventi cardiovascolari rispetto a un controllo della pressione meno aggressivo.
Gli ACE inibitori riducono gli eventi cardiovascolari e la mortalità complessiva in soggetti diabetici di età superiore ai 55 anni con ulteriori fattori di rischio cardiaco e/o coronaropatia precedentemente diagnosticata. C'è dimostrazione che gli ACE inibitori sono superiori ai calcio antagonisti come terapia di prima linea. Non è stato dimostrato che gli ACE inibitori siano superiori ai beta-bioccanti. Dati preliminari suggeriscono che i sartani (antagonisti dei recettori dell'Angiotensina ll), rispetto al placebo, possono avere una efficacia sovrapponibile a quella già dimostrata (a lungo termine) per gli ACE inibitori nel prevenire o ritardare l'insorgenza della nefropatia diabetica, mentre non hanno avuto effetto sulla morbilità e mortalità cardiovascolari. Non essendo disponibili dati di confronto diretto, i sartani non possono essere considerati farmaci di prima scelta alla stessa stregua degli ACE inibitori, ma ne può essere indicato un ruolo in pazienti con effetti indesiderati da ACE inibitori.
La scelta di una strategia antipertensiva appropriata fa parte della operatività quotidiana del medico e per le importantissime ricadute sulla attesa di vita, dovrebbe essere basata su dati scientifici di valore, per la cui acquisizione e valutazione è richiesta disponibilità di tempo e risorse.
La validità delle fonti di informazione è tuttavia un requisito irrinunciabile senza il quale il lavoro del medico rischia di essere poco utile o addirittura dannoso. Ogni studio dovrebbe essere letto ed analizzato per la qualità e per le implicazioni pratiche nel trattamento in condizioni "reali".
Questa rassegna ha preso in esame studi clinici importanti: molti di essi hanno valutato ampi gruppi di ipertesi e da questi i dati relativi ai diabetici sono stati estratti ed evidenziati per una più agevole comparazione. I risultati sono esposti cercando di tradurre in nozioni pratiche un linguaggio fatto di numeri e calcoli, a volte ostico, ma senza il quale è impossibile affrontare correttamente anche i problemi ritenuti "semplici".
L'ipertensione arteriosa associata al diabete mellito è una patologia estremamente comune: interessa infatti dal 20 al 60% delle persone con diabete. L'ipertensione è anche un fattore di rischio maggiore sia per eventicardiovascolari, come l'infarto miocardico e l'ictus cerebrale, che per complicanze microvascolari, come la retinopatia e la nefropatia1. Numerosi studi clinici hanno dimostrato l'efficacia del trattamento antipertensivo nel ridurre le complicanze a lungo termine del diabete2-3, hanno aiutato a definire il livello ottimale di controllo pressorio4-6, hanno confrontato gli effetti di strategie di trattamento basate su differenti classi di farmaci7-13. I risultati di questi studi supportano un approccio aggressivo alla diagnosi ed al trattamento dell'ipertensione in pazienti con diabete allo scopo di ridurre drasticamente l'incidenza delle complicanze sia macrovascolari che microvascolari.
Effetti del trattamento antipertensivo intensivo vs. il trattamento convenzionale
Nello studio UKPDS4,7 (United Kingdom Prospective Diabetes Study) i soggetti ipertesi con diabete di tipo 2, randomizzati a uno stretto controllo pressorio (< 150 /< 85 mmHg) con atenololo (n= 358) o captopril (n= 400) hanno mostrato una riduzione della mortalità correlata a diabete (soprattutto decessi per cause cardiovascolari), dell'ictus e delle complicanze microvascolari; l'efficacia e la tollerabilità non differiva tra le due classi di farmaci.
Lo studio HOT5 (Hypertension Optimal Treatment) ha dimostrato che un controllo più stretto della pressione arteriosa riduce il rischio di eventi cardiovascolari maggiori. Il gruppo di soggetti diabetici randomizzato a raggiungere una pressione diastolica < o = 80 mmHg mostrava un minore rischio di eventi cardiovascolari gravi, dimezzato rispetto al gruppo randomizzato per raggiungere una pressione < o = 90 mmHg.
Beta-bloccanti e diabete
Esiste una comprensibile ritrosia del medico nell'impiego dei beta-bloccanti nei pazienti diabetici a causa degli ipotetici effetti metabolici, soprattutto della possibilità di mascherare episodi ipoglicemici o della teorica complicazione a carico di arti ischemici. Alla prova dei grandi numeri queste riserve non si concretizzano in un aumento di rischio, ponendo nuovamente questa classe di farmaci all'attenzione del medico anche nei pazienti diabetici e specialmente nel diabetico cardiopatico.
Benefici: Una revisione sistematica degli studi controllati e randomizzati ha dimostrato che gli ACE inibitori, i diuretici e i beta-bloccanti sono efficaci nella prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari nei soggetti diabetici14. Non c'è prova che una di queste 3 classi di farmaci sia più efficace dell'altra.
Lo studio UKPDS7 ha dimostrato che l'efficacia dell'atenololo nel ridurre gli eventi cardiovascolari maggiori è sovrapponibile a quella del captopril.
Danni: Nessuna classe di farmaci, alle dosi utilizzate in questi studi, ha mostrato effetti avversi significativi sul metabolismo o sulla qualità della vita dei pazienti diabetici ipertesi. Nello studio UKPDS7 i diabetici trattati con atenololo sono aumentati maggiormente di peso rispetto a quelli trattati con captopril (3,4 kg atenololo vs 1,6 kg captopril, p=0,02) e, limitatamente ai primi 4 anni di follow-up, hanno presentato una più alta emoglobina glicosilata (7,5% atenololo vs. 7,0% captopril, p=0,004); tale differenza non era più rilevabile nei successivi 4,4 anni di follow-up. Nessuna differenza è stata trovata tra atenololo e captopril per quanto riguarda la frequenza di ipoglicemie, i valori lipidemici, la tollerabilità, la riduzione pressoria o la prevenzione di eventi patologici.
Calcio antagonisti e diabete
La propensione del medico nell'utilizzo dei calcio antagonisti, evidenziata dai dati di mercato, si basa su presupposti fisiopatologici derivanti dal meccanismo d'azione di questi farmaci che agirebbero principalmente come vasodilatatori e quindi potenzialmente utili in condizioni come il diabete mellito dove esiste una documentata meiopragia micro e macrovascolare.
Esistono tuttavia pochi studi importanti nei diabetici ed i risultati non sembrano supportare il rationale teorico della loro prescrizione preferenziale in questa categoria di pazienti.
Benefici: Solo lo studio randomizzato sequenziale Syst-Eur3 (4695 soggetti, di cui 495 con diabete, di età > o = 60 anni con pressione arteriosa 165-220/<95 mmHg) ha dimostrato che il trattamento attivo (iniziando con la nitrendipina), rispetto al placebo, ha ridotto tutti gli eventi cardiovascolari [rischio assoluto (RA) 13/252 (5,2%) per il trattamento attivo; 31/240 (12,9%) per i controlli; riduzione assoluta del rischio (RRA) 8%, limiti di confidenza (IC) al 95% da 3% a 10%; riduzione del rischio relativo (RRR) 60%, IC 95% 25%-79%; numero di casi da trattare (NNT) 13, IC 95% da 10% a 31%] ma non ha mostrato alcun effetto significativo sulla mortalità complessiva (RA 16/252 per il trattamento attivo, 26/240 per i controlli; RRA 4,5%, IC 95% da -0,7% a +7,4%; RRR 4%, IC 95% da -6% a +68%). Va ricordato che il trattamento nel gruppo di intervento veniva solo iniziato con il calcio antagonista a cui veniva poi aggiunto un ACE inibitore o un diuretico.
Danni: Nello studio MIDAS15,16 (Multicenter Isradipine Diuretic Atherosclerotic Study, 883 pazienti con alterato metabolismo glucidico), l'aumento di eventi cardiovascolari di circa 3 volte nei pazienti in trattamento con il calcio antagonista rispetto ai pazienti trattati con il tiazidico (idroclorotiazide), interessava specialmente i diabetici non compensati (emoglobina glicosilata superiore al valore mediano di 6,6%).
I dati combinati dei due trial [Appropriate Blood Pressure Control in Diabetes (ABCD) 8 su 470 diabetici tipo 2 ipertesi e Fosinopril versus Amlodipine Cardiovascular Events randomized Trial (FACET)9 su 380 diabetici tipo 2 ipertesi] esaminati in una revisione sistematica17 dimostrano che i calcio antagonisti aumentano significativamente gli eventi cardiovascolari rispetto agli ACE inibitori.
Lo studio sequenziale STOP-218 (Swedish Trial in Old Patients with hypertension-2; 6614 individui, di cui 719 con diabete, età media 79 anni, pressione media 190/99mmHg) non ha trovato, nel sottogruppo di pazienti diabetici, differenze significative nell'incidenza di eventi cardiovascolari maggiori tra i 3 gruppi di trattamento. Si sono avuti, tuttavia, significativamente meno infarti miocardici con gli ACE inibitori (n = 17) che con i calcio antagonisti (n = 32; RR 0,51, IC 95% 0,28-0,92).
Tiazidici e diabete
Il noto effetto metabolico iperglicemizzante è sempre stato considerato una controindicazione relativa all'impiego dei tiazidici nei pazienti diabetici.
L'analisi delle evidenze derivanti da studi di vastissime dimensioni ha mostrato in modo inequivocabile che non solo l'impiego dei tiazidici migliora l'attesa di vita dei diabetici ipertesi, ma addirittura non esistono evidenze di maggiori rischi di scompenso metabolico nei diabetici trattati con le basse dosi di tiazidico normalmente utilizzate nella terapia dell'ipertensione.
Benefici: La revisione Cochrane14 mostra che il trattamento attivo (schema terapeutico a gradini cominciando con un diuretico tiazidico) rispetto al placebo (Systolic Hypertension in the Elderly Program, SHEP2) o allo schema abitualmente in uso nella comunità (Hypertension Detection and Follow-up Program, HDFP19) riduce significativamente la morbilità e mortalità cardiovascolare (OR per la morbilità e la mortalità cardiovascolare 0,64, IC 95% 0,50-0,82; per la mortalità complessiva OR 0,85, IC 95% 0,62-1,17) e gli eventi cardiovascolari maggiori (27% nei controlli e 19% nel trattamento attivo durante un periodo di 5 anni); 13 diabetici di media età o più anziani avrebbero dovuto essere trattati per 5 anni per prevenire un evento cardiovascolare grave.
La metanalisi dell'INDANA20 Project (Individual Data Analysis of Antihypertensive Drug Interventions) ha dimostrato che i diuretici (1008 pazienti) hanno ridotto del 20% gli eventi cardiovascolari maggiori rispetto al placebo (eventi coronarici fatali e non fatali, morte improvvisa o morte per embolismo, RR 0,80; NNT=26). Sulla terapia iniziata con un beta-bloccante non è stato possibile arrivare ad alcuna conclusione per il numero troppo basso di pazienti diabetici trattati (n. 92).
Lo studio ALLHAT (Antihypertensive and Lipid-Lowering treatment to prevent Heart Attack Trial21) ha confrontato clortalidone (diuretico), doxazosin (alfabloccante), amlodipina (calcio antagonista) e lisinopril (ACE inibitore) in pazienti ipertesi di età > o = 55 anni e con almeno un fattore di rischio cardiovascolare aggiuntivo o con pregressa patologia cardiovascolare. Nei diabetici, dopo un follow-up medio di 3,3 anni, non si sono riscontrate significative differenze tra il clortalidone (5481 diabetici) ed il doxazosin (3183 diabetici) negli esiti primari (coronaropatia fatale o infarto non fatale), ma il gruppo in trattamento con doxazosin è stato interrotto precocemente per un eccesso di rischio di eventi cardiovascolari combinati (mortalità coronarica, infarto non fatale, ictus, rivascolarizzazione, angina, scompenso congestizio e vasculopatia periferica) rispetto al clortalidone (OR 1,24, IC 95% 1,12-1,38).
ACE inibitori e diabete
L'effetto, ben documentato in numerosi studi, degli ACE inibitori sulla evoluzione della nefropatia negli ipertesi diabetici pone questa classe di farmaci all'attenzione del medico nel la scelta terapeutica in caso di ipertensione arteriosa.
Benefici: Una revisione sistematica17 di studi randomizzati di grandi dimensioni ha dimostrato che gli ACE inibitori come terapia di inizio, rispetto ai calcio antagonisti, riducono significativamente gli eventi cardiovascolari in diabetici di tipo 2 di età compresa tra 50 e 65 anni.
Non ci sono chiare evidenze sul confronto diretto tra ACE inibitori e diuretici; un unico RCT (CAPPP10) di piccole dimensioni (572 pazienti, durata 6,1 anni) ha confrontato gli ACE inibitori con il trattamento convenzionale che includeva i beta-bloccanti, l'associazione di beta-bloccanti e diuretici e i diuretici in persone con e senza diabete. Gli individui trattati con il captopril hanno avuto meno infarti, ictus o decessi rispetto ai diuretici o ai beta-bloccanti (10% con captopril vs 18% con diuretici o betabloccanti, NNT=15, IC 95% 8-92), ma non è possibile distinguere tra le due classi di farmaci.
Lo studio UKPDS7 ha dimostrato che non ci sono differenze significative sugli eventi cardiovascolari tra ACE inibitori e beta-bloccanti nei diabetici.
Vale quanto già riportato al paragrafo sugli effetti dei calcio antagonisti, ovviamente in senso opposto, per gli studi ABCD,8 FACET9 e STOP-218.
Lo studio MICRO-HOPE22 (3577 diabetici su una popolazione totale studiata di 9541, di età > o = 55 anni, con almeno uno dei seguenti fattori di rischio: malattia cardiovascolare diagnosticata, fumo, ipercolesterolemia, ipertensione o microalbuminuria) ha posto a confronto l'uso di ramipril 10 mg o placebo e vitamina E o placebo per più di 4,5 anni in un disegno fattoriale 2x2. Rispetto al placebo il ramipril ha ridotto gli eventi cardiovascolari gravi (morte per malattia coronarica, infarto miocardico acuto o ictus 277/1.808 con ramipril vs 351/1.769 con placebo; RRR 0,25, IC 95% 0,12%-0,36%; RRA 4,5%, IC 95% 2%-7%; NNT 22, IC 95%, 14- 43) e morte per qualsiasi causa (196/1.808 vs 248/1.769; RRR 24%, IC 95% 8%-37%; RRA 3,2%, IC 95% 1%-5,3%; NNT 32, IC 95% 19-98). L'effetto relativo del ramipril era presente in tutti i sottogruppi di pazienti indipendentemente dallo stato ipertensivo, dalla microalbuminuria, dal tipo di diabete e dal trattamento del diabete (dieta con ipoglicemizzanti orali o insulina). La vitamina E non ha avuto nessun effetto significativo.
Sartani e diabete
Come tutte le classi di farmaci di introduzione più recente, la classe degli inibitori dei recettori periferici dell'angiotensina, i cosiddetti "sartani", è tuttora alla ricerca della adeguata documentazione necessaria per la validazione dei dati preliminari. A tutt'oggi i risultati sembrano promettenti soprattutto per la nefropatia e cominciano ad essere disponibili dati favorevoli (anche se non univoci per tutte le molecole della classe) per gli esiti cardiovascolari. Questi dati aspettano la prova del tempo ed il confronto diretto con gli ACE inibitori sugli esiti cardiovascolari maggiori.
Benefici: I risultati preliminari degli studi clinici suggeriscono che i sartani, rispetto al placebo, possono avere una efficacia sovrapponibile a quella già dimostrata (a lungo termine) per gli ACE inibitori nel prevenire o ritardare l'insorgenza della nefropatia diabetica. Lo studio Irbesartan Diabetic Nephropathy Trial23 ha dimostrato che l'irbesartan (300 mg/die, 1715 ipertesi con diabete di tipo 2, randomizzati in 3 bracci di trattamento) è più efficace del placebo e dell'amlodipina nel ridurre il peggioramento della creatininemia (raddoppio del valore) in diabetici di tipo 2, indipendentemente dall'effetto di riduzione pressoria. L'irbesartan non ha avuto effetto né sull'insorgenza di nefropatia terminale, né sulla morbilità e mortalità cardiovascolari.
Lo studio RENAAL24 (Reduction of Endpoints in NIDDM with Angiotensin II Antagonist Losartan) ha dimostrato che il losartan (50-100 mg/die, 1513 ipertesi con diabete di tipo 2 e nefropatia, randomizzati in 3 bracci di trattamento) è più efficace del placebo (entrambi sono stati aggiunti al trattamento antipertensivo in corso) nel ridurre il peggioramento della creatininemia (raddoppio del valore) e della progressione verso la nefropatia terminale. L'irbesartan non ha avuto effetto sugli eventi cardiovascolari fatali e non fatali, mentre ha ridotto la frequenza di prima ospedalizzazione per scompenso cardiaco. Lo studio Irbesartan in patients with type 2 diabetes and Microalbuminuria Study25 ha dimostrato che l'irbesartan (dose 150 e 300 mg/die, 590 ipertesi con diabete di tipo 2 e microalbuminuria, randomizzati in 3 bracci di trattamento) è più efficace del placebo nel ritardare l'insorgenza della nefropatia diabetica, indipendentemente dall'effetto di riduzione pressoria, ma solo alla dose di 300 mg/die.
E' in corso lo studio DETAIL (Diabetics Exposed to Telmisartan And EnalaprIL) di confronto diretto degli effetti del telmisartan e dell'enalapril sulla nefropatia in diabetici di tipo 2; i risultati dello studio sono attesi nel 200426.
Di recente sono stati pubblicati i dati di confronto diretto tra sartani e beta-bloccanti dello studio LIFE27(Losartan Intervention For Endpoint reduction in hypertension study, condotto in 1195 pazienti diabetici ipertesi con segni ECGrafici di ipertrofia ventricolare sinistra, età media 67±7 anni, PA 177/96 mmHg) da cui appare che il losartan, a parità di effetto ipotensivante, è più efficace dell'atenololo nel ridurre gli eventi cardiovascolari fatali e non fatali, la mortalità cardiovascolare e la mortalità per tutte le cause.
Dal momento che non sono ancora disponibili dati di confronto diretto a lungo termine, i sartani non possono essere considerati farmaci di prima scelta alla stessa stregua degli ACE inibitori, ma ne può essere indicato un ruolo in pazienti con effetti indesiderati da ACE inibitori.
Doxazosin e diabete
Degli alfa-bloccanti, utilizzati come vasodilatatori periferici, è nota l'azione di limitazione della attività secretiva dell'insulina endogena e questo teoricamente ne dovrebbe sconsigliare l'impiego nei pazienti diabetici; la loro attività in campo urologico e gli effetti favorevoli sul metabolismo lipidico ne hanno indotto una notevole diffusione, pur in assenza di studi adeguati che ne mostrassero una utilità nell'ambito della prevenzione di eventi cardiovascolari.
Danni: È disponibile solo uno studio randomizzato condotto su larga scala (Antihypertensive and Lipid-Lowering treatment to prevent Heart Attack Trial, ALLHAT21) che ha confrontato il clortalidone (diuretico), il doxazosin (alfa-bloccante), l'amlodipina (calcio antagonista) e lisinopril (ACE inibitore) in pazienti ipertesi di età > o = 55 anni e con almeno un fattore di rischio cardiovascolare aggiuntivo o con pregressa patologia cardiovascolare. Nei diabetici, dopo un follow-up medio di 3,3 anni, non si sono riscontrate significative differenze tra il doxazosin (3183 diabetici) ed il clortalidone (5481 diabetici) negli esiti primari (coronaropatia fatale o infarto non fatale), ma il gruppo in trattamento con doxazosin è stato interrotto precocemente per un eccesso di rischio di eventi cardiovascolari combinati (mortalità coronarica, infarto non fatale, ictus, rivascolarizzazione, angina, scompenso congestizio e vasculopatia periferica) rispetto al clortalidone (OR 1,24, IC 95% 1,12-1,38). Lo studio è ancora in corso per gli altri trattamenti.
Diuretici dell'ansa e diabete
L'impiego dei diuretici dell'ansa nella terapia antipertensiva non è consigliato per il loro potente effetto sulla deplezione salina e sul volume circolante. Essi sono tuttavia spesso impiegati per il loro effetto diuretico, in situazioni edemigene, relativamente frequenti nella evoluzione della malattia diabetica. Nonostante la loro larga diffusione, non risultano a tutt'oggi disponibili dati conclusivi sulla loro azione riguardo eventi cardiovascolari e mortalità.
Benefici: La furosemide in associazione ai beta-bloccanti, nel trattamento di diabetici di tipo 1 ipertesi con nefropatia, ha mostrato una significativa riduzione del peggioramento del filtrato glomerulare. I diuretici dell'ansa sono raccomandati in pazienti con funzionalità renale compromessa (filtrato glomerulare <60 ml/min/1,73 m2), di solito in associazione con altri farmaci1,28.
Danni: L'uso di diuretici dell'ansa può esser associato ad ipokalemia, iponatremia e deplezione di volume.
Agenti centrali e diabete Benefici: Questi farmaci esercitano il loro effetto ipotensivante riducendo il flusso simpatico centrale, ma non ci sono chiare evidenze sui loro effetti a lungo termine sulla riduzione delle complicanze microvascolari e cardiovascolari 1.
Danni: Questi farmaci sono associati ad ipotensione ortostatica e devono essere usati con cautela in diabetici con neuropatia autonomica. Altri effetti collaterali comuni sono la secchezza delle fauci, l'impotenza e la sonnolenza. Meno frequenti la depressione e l'anemia Coombs-positiva (con alfa-metildopa)1,29.
Conclusioni
L'ipertensione è associata in maniera diretta alla mortalità cardiovascolare, con un incremento progressivo del rischio all'aumentare dei valori pressori sistolici30: ogni riduzione di 10 mmHg della pressione sistolica è associata ad una riduzione del 15% (IC 95% 12-18) del rischio di morte per eventi cardiovascolari in 10 anni31.
Uno stretto controllo per mantenere la pressione diastolica < o = 80 mmHg nei diabetici riduce la morbilità e la mortalità da eventi cardiovascolari rispetto a un controllo della pressione meno aggressivo4-5. La terapia antipertensiva può essere iniziata con qualunque farmaco, ma c'è dimostrazione che:
gli ACE inibitori sono superiori ai calcio antagonisti come terapia di prima linea1,8-9,17;
gli ACE inibitori sono indicati negli ipertesi con microalbuminuria o proteinuria1;
gli ACE inibitori riducono gli eventi cardiovascolari e la mortalità complessiva in diabetici di età superiore ai 55 anni con ulteriori fattori di rischio cardiaco e/o coronaropatia precedentemente diagnosticata22;
i beta-bloccanti sono indicati in pazienti con recente infarto miocardico1.
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