Il termine "virgolettato" nel titolo è un po' il protagonista - molto ambivalente, per significato letterale e per le implicazioni: da qui le virgolette - di questo numero di IsF, e perciò della nota editoriale. La proposta di esercitarsi attorno a questa ambivalenza si è quasi imposta, al momento di chiudere il numero di IsF, trovandosi di fronte al mosaico dei diversi contributi, che riflettono per altro fedelmente la realtà corrente dei problemi [di informazione] dei farmaci.
da una parte propone un farmaco (complementare? indipendente?) per un miglior controllo del "rischio colesterolo", senza che ci siano evidenze (dopo tanti anni di insistenza sulla necessità di basare registrazioni e scelte terapeutiche su end-point clinicamente ed epidemiologicamente "rilevanti") di un vantaggio specifico misurabile in termini di morbi-mortalità, e di dati ragionevoli di sicurezza;
dall'altra parte elenca una serie di farmaci per patologie rare, e/o per strategie di seconda-terza linea in oncologia, per i quali i profili di beneficio non sono valutabili in termini di "rilevanza", per l'assenza di denominatori clinico-epidemiologici solidi.
b) Una revisione critica di un capitolo come quello dei glitazoni che assomiglia sempre più ad una telenovela sui rapporti tra benficio e rischio di una classe di farmaci, che è disponibile sul mercato da molti anni, ma che ripropone lo stesso interrogativo, senza aver ancora trovato un ruolo chiaro nella gestione di una patologia come il diabete, la cui importanza epidemiologica (chiaramente per altro riferita a stili di vita) è sempre più sottolineata, soprattutto nella sua combinazione proprio con la comorbidità cardiovascolare (che è oggetto primo delle preoccupazioni sulla sicurezza).
c) Un'indagine "pilota", condotta su una popolazione, quella degli anziani - molto - anziani in RSA, sicuramente più "rilevante", per la consistenza numerica, la gravosità assistenziale, la bassa qualità di autonomia e di vita, ma che rimane sostanzialmente nascosta, marginale nell'attenzione della ricerca, dell'epidemiologia assistenziale, degli esiti.
d) Un aggiornamento sul profilo di sicurezza dei FANS, uno dei capitoli più classici della farmacosorveglianza, che - dopo tanti anni di attese, novità dichiarate certe, disincanti, discussioni, altre novità che non innovano la capacità di gestione delle patologie indice - rimanda al tempo delle origini di questa classe, con la raccomandazione di utilizzare i farmaci più antichi, che faticano tuttavia (dai dati di mercato) ad essere la scelta privilegiata ed appropriata.
L'invito ad un esercizio permanente sulla ambivalenza di ciò che sta dietro le qualificazioni di rilevanza, appare dunque opportuno, "rilevante" appunto: per orientarsi e prendere decisioni sulla base di dati-risultati più o meno [statisticamente] significativi, e perciò, tendenzialmente, EBM-compatibili: ma soprattutto perché gli interrogativi sulla "rilevanza" rimandano a giudizi-scelte che richiamano criteri più generali, poco quantificabili, di "valore" o di "senso": con "virgolette" che sono pro-memoria della necessità di ridare peso ai contesti delle informazioni su, e dell'utilizzazione di farmaci: dove conta meno il dato in sé, e più la sua trasferibilità a questo/a/e/i/ paziente/i - popolazione/i: ricordandosi che la trasferibilità non dipende dall'applicazione "appropriata" dell'informazione a pazienti-popolazioni che possono essere diversi da quelli "arruolati" nelle sperimentazioni ma, molto di più, dal progetto che si ha, e si riesce a mettere a disposizione (con la sobrietà attenta che è obbligatoria quando si sa di muoversi nell'ambivalenza) di individui e popolazioni.
Il caso dei risultati relativi ai "vantaggi di sopravvivenza" dei farmaci oncologici di 2a - 3a linea è certo il più eclatante: perché è difficile "dialogare" realmente sulla "rilevanza" di un prolungamento di vita di [poche] settimane o [pochissimi] mesi per [piccole] frazioni non prevedibili delle popolazioni interessate. Ma il problema si pone, se pure in modo diverso, per tutto il capitolo delle malattie rare, che non si riesce a far passare (non si vuole?) da somma di casi sparsi, o raccolti faticosamente, a coorti epidemiologicamente ben definite (tanto più obbligatoriamente, quanto più sono poco numerose ed indubbiamente "rilevanti") di popolazioni di cui si valuta la qualità sostanziale delle vite. Il caso delle SLA, da sempre trattata (con quali vantaggi?) con riluzolo, e a cui si offrono (con quali fondamenti?) "nuove" opportunità, insegna.
A loro volta i capitoli - epidemiologicamente molto meglio definiti, ma altrettanto "ambivalenti" - dei glitazoni, dell'ezetimibe, dei FANS raccontano, da un estremo opposto, la stessa storia e pongono lo stesso interrogativo: è proprio vero che, al di là dei tanti dibattiti e di "nuovi" studi, si stanno ponendo domande "rilevanti"?
E se qualcosa di diverso fosse suggerito - come progetto, e come metodo - "dall'esercizio di rilevanza" proposto dall'indagine sui/nei contesti assistenziali e di vita degli anziani - molto - anziani? Lo studio riportato è, certo, imperfetto, "pilota", esplorativo, condotto da un gruppo professionale non-medico; non fornisce evidenze, genera solo inquietudini, apre spiragli su mondi dove si usano farmaci banali, per problemi altrettanto banali rispetto ad end-point "seri" (perciò gestiti in modo distratto? poco appropriato?), il cui esito non merita neppure la "rilevanza" di una attenzione, o di una documentazione: per non parlare di una ricerca condotta con la dovizia di risorse profuse per gli altri scenari evocati sopra.
Come tutti gli "esercizi" , anche questo non porta a risultati solidi, od immediatamente trasferibili. E' un pro-memoria: per riuscire almeno ad intravedere-esplicitare i tanti altri problemi che, in lista di attesa, attendono di essere considerati seriamente rilevanti, senza più l'ambivalenza di virgolette.