Lungo tutto questo dossier si è cercato - sperando di non ripetersi troppo, e mantenendosi rigorosamente aderenti alla realtà normativa, conoscitiva, assistenziale - di fare del capitolo “cannabinoidi” uno spazio-opportunità per incontrare un altro capitolo, più fondamentale e generale, del sapere-agire-attendere assistenziale.
Il nome di questo capitolo è antico, e spesso trascurato, anche se fondamentale: lo si chiama più frequentemente “bisogni inevasi”. Il messaggio più di fondo implicito in questo titolo è importante: vorrebbe focalizzare l’attenzione su un rapporto tra la medicina che “offre” e le persone che “chiedono” risposte. Il capitolo dei “cannabinoidi” è indicatore del fatto che i “bisogni inevasi” ci sono, sono molti, sono rilevanti.
a) È la prima risposta che (lentamente) viene data: quella del riconoscimento di una popolazione che “chiede” e incontra una “offerta” molto insufficiente. Tolti (con tanti problemi residui, professionali, culturali, normativi, farmacologici: li si sono via via accennati) dal mondo dei dibattiti ideologici e dei pre-giudizi, è importante che i problemi-bisogni inevasi che stanno dietro, e al di là, dei cannabinoidi, rimangano ben visibili nell’agenda dell’attenzione della medicina e della società.
Come tutti i farmaci, i cannabinoidi sono indicatori, e variabili dipendenti, di problemi. La presenza principale è quella dei problemi per i quali si cercano risposte, di cui i farmaci sono una delle componenti.
b) La seconda risposta (che si può tradurre già in proposta) è a questo punto molto diretta: occorre dare a questi problemi una visibilità clinica-epidemiologica-assistenziale molto solida e rappresentativa.
La “non-risposta” in medicina è, classicamente, affidata agli empirismi più diversi e peggio documentati. Le aree incluse nei “bisogni candidabili per trattamenti con cannabinoidi” devono essere protagoniste di progetti epidemiologici multicentrici, metodologicamente molto solidi, prospettici, che non solo descrivano la frequenza e la variabilità dei problemi, ma soprattutto le loro storie di “non-risposta”, i loro esiti, i loro carichi assistenziali e di sofferenze per i pazienti. I “piccoli” campioni di “limitata efficacia”, così simili a quello già presentato (pag. 16) devono trasformarsi in popolazioni prospettiche, ben predefinite, che possono/devono essere i denominatori affidabili ed analizzabili rispetto ai quali attivare progetti di interventi riconducibili a valutazioni controllate, clinicamente e statisticamente rappresentative, analizzabili con una forte (e pre-definita) attenzione agli aspetti funzionali dei pazienti, tanto diversi nelle loro condizioni cliniche di base e nella loro evoluzione.
c) La risposta e la proposta sopra accennata diventano (possono? devono?) una prospettiva concreta: quella di pensare che è responsabilità diretta di chi è interessato all’informazione sui farmaci quella di tradursi in produttore di conoscenza quando le conoscenze esistenti risultano insufficienti, e perciò aprono all’incertezza e, con ciò, al dovere di offrire ai portatori di bisogni risposte più corrispondenti ai loro diritti di cura e/o autonomia.
d) Questo bollettino si impegna - prendendo sul serio le tante proposte ed attività di farmacovigilanza, sorveglianza - a farsi promotore (non da solo: con tutti gli interlocutori disponibili) di una rete multicentrica di ricerca che cammini nella direzione sopra indicata. Speriamo di avere già prima risposte da questo dossier.
Ci metteremo in contatto con chi già lavora in questo ambito, a livello professionale ed istituzionale. Proviamo ad immaginare di arrivare ad un incontro di confronto, programmazione, discussione, adozione di un protocollo di ricerca condivisibile (anche finanziabile?) in un tempo non lontano.
e) Imprescindibile: per tutto quanto si è detto, il protocollo di ricerca non è un protocollo esclusivamente medico-farmacologico.
Le variabili medico-farmacologiche sono ovviamente una componente essenziale. Il protocollo deve però appartenere a, ed esprimere, la responsabilità e le competenze, di tutti i soggetti della ricerca: persone-pazienti-cittadini, ed infermiere/i in prima fila, e con ruoli che permettano di fare scelte e produrre risultati che mirano a risposte efficaci e trasferibili per bisogni reali.