I tanti perché di un mini-dossier sui cannabinoidi
La risposta alla domanda implicita del titolo è, da un lato, quasi ovvia. Come bollettino di informazione, si è ritenuto che fosse necessario provare a fare il punto su una decisione ministeriale che rende disponibile l’utilizzazione terapeutica di prodotti da tempo immemorabile oggetto di discussioni oscillanti tra considerazioni più o meno ideologiche, controversie farmacologiche ed epidemiologiche, richieste di sperimentazioni appropriate, pressioni di legalizzazione da parte di popolazioni di pazienti che si sentivano orfani di una risorsa di cura, forse non risolutiva di problemi, ma certo importante per la gestione di sintomatologie fortemente limitative della qualità-autonomia di vita. Il testo dell’approvazione ministeriale è certamente anomalo rispetto alla normale prassi, affidando esplicitamente la sua interpretazione alle politiche regionali. Come atteso, i criteri applicativi sono risultati parziali e parzialmente eterogenei (vedi Box 5), sia per l’estensione delle indicazioni, che, ancor di più, per la modalità di attivazione di programmi di monitoraggio prospettico non solo delle modalità di uso, ma soprattutto dei profili di efficacia. Rimane ulteriormente aperto il capitolo, importante, della prospettiva di prevedere una produzione a livello centralizzato ed una informazione adeguata sulle forme farmaceutiche che meglio potrebbero garantire una valutazione ragionevole del se e quanto la disponibilità di cannabinoidi si può tradurre in un effettivo beneficio per le popolazioni di pazienti che vengono trattati.
I contributi informativi proposti sottolineano chiaramente, con diverse accentuazioni, che ci si trova di fronte ad un capitolo esemplare della situazione che in un recente editoriale (2017 n.1) si è provato a riassumere con la proposta di un’alleanza tra una medicina basata sulla evidenza (EBM) ed una pratica che assume la carenza di evidenza come un dato di fatto, e suggerisce una Uncertanty Based Medicine (UBM) come risposta al bisogno di fare dell’incertezza una responsabilità di valutazione prospettica.
Il problema non è certo solo italiano, né, soprattutto, si gioca solo sugli aspetti strettamente farmacologici del ruolo e dell’efficacia clinica dei cannabinoidi. Le aree di intervento che vengono discusse definiscono scenari di assistenza-ricerca che, nell’intrecciarsi di tanti punti di vista (sociali, politici, medici), sono di fatto orfani di strategie di ricerca appropriate. I pochi dati disponibili – certo molto parziali e non rappresentativi – sull’utilizzazione concreta dei cannabinoidi in alcune regioni confermano che la UBM è una realtà molto concreta. Dare a questa situazione una risposta semplicemente empirico-pragmatica – “aspettiamo e vediamo” – può apparire in questo senso un atteggiamento ragionevole.
Ma da che punto di vista? Una alleanza reale EBM-UBM suggerisce strategie più pro-attive, con proposte di ricerca collaborativa: per produrre con più tempestività risultati conoscitivi puntuali, ma soprattutto come opportunità importante per sviluppare una cultura di dialogo e confronto, non solo tra diversi gruppi medici, ma, trasversalmente, con i pazienti che, nella valutazione di effetti fortemente determinati anche dalle “attese”, devono avere un ruolo protagonista.
La nota-proposta che conclude questo dossier vuole essere un primo passo in questa direzione .