A proposito dei corsi di formazione in medicina generale
Albano Del Favero
Ad un anno esatto di distanza da un contributo che aveva in parte già affrontato l'argomento, il primo numero del bollettino si apre con una riflessione sulla formazione in medicina generale, a sottolineare la permanente attualità di un tema che tutt'ora si caratterizza per l'assenza di proposte da parte dei diretti interlocutori.
La comunità scientifica nel nostro paese attendeva da tempo una normativa che consentisse l'avvio di progetti di ricerca clinica in Medicina Generale (MG). Il decreto attuativo è stato finalmente deliberato (DM 10/05/01-Gazzetta ufficiale n° 139 del 18/06/01) e ora non si può che sperare in una operatività concreta di quanto sinora è solo sulla carta.
La tanto attesa normativa potrà dare contributi sostanziali in termini di conoscenza solo se verranno identificati, affrontati e risolti i problemi che certo non mancano. I principali riguardano l'individuazione di progetti di ricerca che siano importanti per la MG in quanto finalizzati a fornire risposte a "quesiti orfani", il mantenimento di unaautonomia di giudizio nei confronti delle proposte che sicuramente verranno avanzate dalla industria farmaceutica e, infine, la necessità di formare tra i medici di medicina generale (MMG) una cultura e delle competenze specifiche in tema di ricerca clinica. Circa quest'ultimo aspetto, non è un caso che recentemente si siano moltiplicate le iniziative di formazione sulla ricerca clinica rivolte ai MMG. Nella maggior parte dei casi, anche quando nate sotto l'egida di società scientifiche o delle aziende sanitarie, tali iniziative risultano sostenute dalle ditte farmaceutiche. Ovviamente, nessuno intende criticare né le iniziative né le ditte che si offrono come sponsor, specie quando il loro ruolo rimane quello di sensibilizzare i medici a partecipare e di coprirne le spese di organizzazione tramite "grant" educazionali. Si vuole solo rimarcare il fatto, stridente, che spesso i docenti di tali corsi appartengono all'industria stessa e si viene così a configurare un possibile conflitto di interessi. Qualche ulteriore perplessità deriva dall'esperienza personale in qualità di docente proprio nell'ambito di queste iniziative di formazione. La riflessione riguarda il loro contenuto e può riassumersi nel quesito seguente: per fare ricerca clinica in MG è sufficiente conoscere la metodologia della ricerca, le regole della normativa vigente o questa conoscenza rappresenta un presupposto necessario ma non sufficiente per organizzare e promuovere della buona ricerca clinica?
L'impressione che si ricava dalla partecipazione a questi corsi di formazione è che essi, pur accreditati e ben organizzati, forniscano una visione "asettica" della sperimentazione clinica, quasi che fare ricerca significhi soltanto seguire in modo scrupoloso le linee guida delle "good clinical practices" oppure uniformarsi in modo acritico ad un percorso metodologico validato (il protocollo) che consente di acquisire risultati nel modo più efficiente possibile. Non solo, ma in quasi tutti i corsi si tende ad identificare la ricerca con la sperimentazione clinica farmacologica.
Questa visione della ricerca in MG è sbagliata e riduttiva. Se da un lato è necessario affrontare lo sviluppo clinico di un farmaco, conoscerne le varie fasi, discuterne i problemi etici o metodologici, dall'altro è indispensabile parlare di altri aspetti, altrettanto se non più importanti, che invece vengono quasi sempre taciuti. Aspetti che riguardano il contesto culturale ed economico in cui oggi si cala la ricerca clinica (specie quella farmacologica), il suo significato, i protagonisti principali con i singoli ruoli, gli interessi in gioco. Aspetti che meritano di essere trattati e approfonditi. Solo fornendo informazioni corrette e ben documentate si consente a chi si affaccia per la prima volta alla sperimentazione clinica sul farmaco di apprezzare le complessità del problema, di cogliere l'importanza del fare ricerca in modo indipendente, mirando ad obiettivi di salute ed evitando di essere solo il braccio esecutivo di decisioni prese da altri con motivazioni spesso non pienamente condivisibili.
Lo sviluppo clinico di un farmaco ha senso solo se vengono realizzati tre presupposti fondamentali:
che il farmaco sia messo a disposizione di tutti coloro che ne necessitano;
che il farmaco nuovo apporti qualche vantaggio rispetto all'esistente;
che l'interesse economico dell'industria non prevalga sugli obiettivi di salute della ricerca.
Alla domanda se questi presupposti siano realizzati o meno, la risposta è, purtroppo, negativa.
Presupposto 1
Malgrado le ingenti risorse economiche investite nella ricerca, numerosi ostacoli limitano la disponibilità dei farmaci, il più importante dei quali è il loro costo elevato che impedisce l'accesso alle cure a molti pazienti, sia nei paesi industrializzati che in quelli più poveri. Solo negli Stati Uniti, circa 13 milioni di anziani sono privi di copertura assicurativa per i farmaci e non riescono a far fronte a prezzi che sono tra i più alti del mondo. I costi elevati, in continuo aumento, rappresentano un problema anche nei paesi dove esiste un servizio sanitario nazionale come il nostro. Il problema è diventato drammatico nelle aree più povere dove ancora oggi milioni di persone muoiono per malattie curabili ma per le quali i farmaci necessari non sono disponibili perché o troppo cari o non reperibili. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha tentato di porvi rimedio, adottando una politica volta all'acquisto di farmaci generici a basso costo, ricompresi in una lista (la "lista dei farmaci essenziali") di 325 principi attivi. Purtroppo, anche se questi generici hanno un costo molto contenuto, l'OMS non riesce a soddisfare le richieste di almeno la metà della popolazione dei paesi in via di sviluppo. Il problema ha assunto connotati così drammatici per malattie come l'AIDS da portare a vertenze giudiziarie internazionali tra le ditte produttrici dei farmaci antivirali e alcuni paesi (es. Sud Africa) flagellati dalla malattia ma che, non potendo pagare il prezzo di mercato dei farmaci ancora soggetti a brevetto, chiedevano di produrre o importare prodotti generici a costo più basso. Pur trattandosi del fattore più importante, il prezzo dei farmaci non è il solo responsabile della difficoltà di approvvigionamento dei paesi più poveri: un ruolo importante lo giocano infatti anche la mancanza di una rete distributiva efficiente e la diffusa inappropriatezza prescrittiva.
Presupposto 2
Che la ricerca debba apportare qualcosa di nuovo e di vantaggioso rispetto all'esistente sembra essere un presupposto dettato dal semplice buon senso. Purtroppo non è così. Le norme attuali consentono infatti di registrare un farmaco solo sulla base di una dimostrata efficacia rispetto al placebo e di una buona tollerabilità. Non è perciò necessario intraprendere ricerche finalizzate a migliorare le nostre conoscenze e la nostra capacità di intervento. La maggior parte degli studi clinici di farmacoterapia che oggi vengono condotti (e che quindi presumibilmente verranno proposti dall'industria anche nell'ambito della sperimentazione nella MG) si pone l'obiettivo di dimostrare l'equivalenza o, meglio, la "non inferiorità", del nuovo farmaco rispetto a quelli già disponibili. Tutto ciò spiega la proliferazione dei cosiddetti "me too", cioè dei farmaci sostanzialmente simili l'un l'altro, ma con prezzi spesso diversi (es. Calcio-antagonisti, FANS, ACE-inibitori, ecc.), che hanno come unico obiettivo quello di ritagliarsi una fetta di mercato la più grossa possibile e il cui successo commerciale non si basa su improbabili vantaggi terapeutici quanto piuttosto su campagne promozionali spregiudicate e spesso mistificanti. Questi studi di "non inferiorità" sollevano anche problemi di ordine etico in quanto dichiarano "a priori" di non voler (o poter) fornire alcun potenziale vantaggio terapeutico rispetto all'esistente, ma nel contempo non sono certo in grado di garantire una equivalenza in termini di sicurezza facendo pendere la bilancia tra rischi e benefici a favore dei primi. Gli esempi sono numerosi tra i "me-too" rapidamente ritirati dal commercio perché gravati di una tossicità inaspettata (vedi i FANS, statine, fluorochinoloni, ecc.).
Presupposto 3
E' difficile non condividere la preoccupazione che l'interesse economico dell'industria prevalga sugli obiettivi di salute cui la ricerca deve mirare. Il mercato farmaceutico ha assunto proporzioni economiche tali dall'essere al centro di grandi interessi. La spesa farmaceutica mondiale è stimata in 377 miliardi di euro e cresce del 10% l'anno. La spesa per la ricerca è altrettanto imponente (superiore ai 45 miliardi di euro all'anno) e in continuo aumento. Anche se in questa somma sono incluse voci attribuibili più alla attività promozionale che a quella di ricerca vera e propria, si tratta, comunque, di una cifra impressionante. Questo investimento, purtroppo, non ha un ritorno di portata comparabile. Infatti, negli ultimi 20 anni il numero di nuovi farmaci (intesi come nuove molecole) immessi in commercio è diminuito, passando dai 60/anno degli anni '80 ai 30/anno degli anni 2000. In diminuzione sono anche i farmaci realmente innovativi. Le ragioni di questa crisi sono numerose e vanno ricercate nei limiti oggettivi che caratterizzano la ricerca attuale (in attesa che la genomica ci porti un'altra generazione di farmaci) e forse anche in una più rigorosa politica registrativa.
Dati gli enormi interessi in gioco, non si può pensare che il mercato venga lasciato nelle mani dell'industria e che la politica sanitaria si limiti ad "acquistare" ciò che l'industria offre. Se l'industria farmaceutica deve rendere conto delle proprie scelte agli azionisti e i governi devono rendere conto del proprio operato ai cittadini, il futuro della ricerca sta nel ruolo che l'industria farmaceutica è disposta a giocare e, in parallelo, nelle politiche sanitarie che i vari paesi vorranno scegliere. Industria e ricerca pubblica sono tra loro interdipendenti. Gran parte dei farmaci più innovativi sono stati scoperti grazie alla ricerca di base finanziata con fondi pubblici ma, d'altro canto, senza lo sviluppo di tali conoscenze di base da parte dell'industria molti di questi farmaci non sarebbero arrivati ai pazienti che ne hanno bisogno. Affinché gli interessi dell'industria non prevalgano sugli obiettivi di salute, vanno sin da ora identificati e risolti i problemi già oggi evidenti relativi al rapporto di interdipendenza.
L'industria rivendica tre ruoli diversi ma ugualmente importanti: un ruolo sanitario in quanto fornitrice di farmaci; un ruolo educativo in quanto diffonde informazioni ad operatori sanitari e pazienti; infine un ruolo politico in quanto importante protagonista della politica sanitaria. Orbene, nell'esercizio di ciascuno di questi ruoli l'industria può entrare in conflitto con gli obiettivi di salute cui afferma di voler tendere.
Come già sottolineato, uno dei problemi più gravi che compromettono seriamente il ruolo sanitario rivendicato dall'industria sta nella mancata accessibilità ai farmaci per gran parte del mondo povero (e non solo), con conseguenze disastrose. Le ragioni di questa scelta industriale sono chiare: i prezzi dei farmaci devono essere elevati e mantenuti tali per consentire gli investimenti in ricerca (ma anche i profitti più alti per dollaro investito, rispetto a quelli di altre industrie). Da qui la scelta di investimenti solo per patologie e mercati remunerativi, la strategia del rinnovo aritificioso del mercato (vedi la scelta dei "me-too") e dell'appoggio a un mercato globalizzato per le registrazioni, insieme tuttavia ad una grande attenzione che questo significhi una competizione basata sui prezzi più convenienti (vedi la lotta alle importazioni parallele). Si regalano farmaci ai paesi bisognosi ma si ostacolano progetti che potrebbero renderli autosufficienti per molte delle loro esigenze (produzione e/o importazione di generici) e si fa un impiego spregiudicato del brevetto ricorrendo ad ogni mezzo per prolungarne il più possibile la validità.
Il brevetto
Il brevetto è regolato dalle norme della W.T.O. (trips agreement).
Iniziative poste in atto dall'industria per mantenerlo o estendere la durata ("evergreening"):
registrazione di nuove formulazioni (incluse associazioni)
ricerca di nuova indicazione
ricorsi legali
collusione con produttori dei generici
registrazione di me-too quasi identici (es. enantiomeri)
Il ruolo educativo, cioè la produzione e la diffusione di "informazioni" sui farmaci, nonché la sponsorizzazione di altre "attività" educazionali, assorbe risorse persino maggiori di quelle investite nella ricerca. Evidentemente il ritorno di tale investimento in termini di mercato è altissimo ed è difficile pensare che sia dovuto ad una attività di informazione scientifica quanto piuttosto ad una abile attività promozionale. Un ruolo di reale "informatore" è quindi lontano dall'essere tra le principali preoccupazioni dell'industria. Questa attività deve essere regolamentata in modo rigoroso e contenuta quanto più possibile.
Ruolo educativo dell'industria
Attività primaria per la quale si investono più risorse che per la ricerca.
Problemi:
solo 1/3 delle nazioni ha una legislazione "ad hoc" volta a controllare l'attività promozionale dell'industria
per ogni sterlina spesa per l'attività di informazione scientifica, vengono spese 5 sterline per l'attività promozionale
le campagne promozionali sono orchestrate accuratamente seguendo un approccio a gradini: 1° richiamare l'attenzione dell'audience sulla malattia; 2° persuadere l'audience che per detto disordine è necessario un trattamento nuovo; 3° presentare il farmaco come il più vantaggioso; 4° iniziare il "bombardamento" usuale di tipo promozionale.
Infine, il ruolo politico dell'industria, cioè quello di protagonista della politica sanitaria di ogni paese, è forse il problema più rilevante dal punto di vista del rischio di conflitti di interesse. L'aspetto più preoccupante riguarda l'influenza diretta esercitata dall'industria sulle agenzie regolatorie (EMEA, FDA). Queste ultime possono infatti funziona re solo grazie al finanziamento dell'industria e questo pone pesanti interrogativi sulla reale indipendenza di giudizio dei massimi organismi regolatori.
Ruolo politico dell'industria
Il ruolo sanitario e scientifico dell'industria sono molto importanti, ma gli interessi dell'industria possono divergere da quelli dei cittadini e risulta perciò necessaria una regolamentazione del settore che sia in grado di garantire gli interessi di salute pubblica.
Problemi:
l'industria esercita una attività di "lobbyng" estremamente efficace
vi è una influenza diretta dell'industria sulle agenzie regolatorie (EMEA, FDA)
conflitti di interesse e valutazione tecnica
la globalizzazione favorisce l'industria (scelta dei mercati)
mancanza di trasparenza
attenzione più all'efficienza che all'efficacia e alla sicurezza.
Come si vede, il ruolo scelto o concesso all'industria risulterà determinante per il futuro della ricerca e dei suoi riflessi sui vari sistemi sanitari. Gli interessi dell'industria possono divergere drasticamente da quelli della comunità scientifica e sanitaria, risulta pertanto necessario chiedersi se non sia urgente e necessario rivedere l'assetto regolatorio della sperimentazione dei farmaci in modo da garantire gli interessi primari della salute pubblica.
E' di questi ultimi mesi la notizia che la Commissione Europea e il Parlamento Europeo stanno preparando una proposta di aggiornamento della attuale normativa che si presenta interessante, attorno alla quale sarebbe utile un dibattito tra tutti gli addetti ai lavori.
Le proposte più importanti sono:
La procedura di registrazione dei nuovi farmaci sarà centralizzata (cioè a livello europeo e non più nazionale), il che dovrebbe fornire una maggiore garanzia di qualità. Si prevedono una serie di miglioramenti nel processo registrativo tra i quali spicca la proposta che vincola la registrazione di un nuovo farmaco alla dimostrazione di un potenziale vantaggio rispetto all'esistente, come logica ed etica reclamano da tempo. Non solo, ma per la prima volta si affronta il problema della collocazione politica dell'EMEA. Fino ad oggi inserita nel direttorato comunitario dell'industria verrebbe invece ricollocata in quello della salute pubblica, una decisione importante perché coerente al precipuo ruolo sanitario dell'industria farmaceutica e che si accompagna a una serie di altre norme che mirano a ridurre le possibilità di conflitti di interesse tra EMEA e industria.
Si prevede di rendere operante una rete di farmacovigilanza europea per la quale verrà richiesto un contributo economico anche dall'industria.
Viene infine respinta, si spera definitivamente, la richiesta dell'industria di poter fare pubblicità direttamente al pubblico anche per i farmaci etici (da prescrizione).
Come si vede, grazie agli sforzi del Parlamento Europeo, qualcosa sembra muoversi nella giusta direzione.
C'è da augurarsi che i corsi di formazione per la ricerca in MG siano coerenti con i mutamenti che stanno avvenendo e sappiano presentare e discutere i problemi non strettamente metodologici che condizionano pesantemente il contesto nel quale la ricerca stessa viene ad operare e quindi il suo successo. Il prenderne coscienza ci aiuterà anche nella scelta di quale ricerca vogliamo fare e perché.
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