Il 27 marzo scorso il presidente americano Obama ha proposto al Congresso di raddoppiare i fondi per la lotta alle resistenze agli antibiotici (da 600 milioni a 1,2 miliardi di dollari), rafforzando la ricerca pubblica di nuove molecole e di nuovi test diagnostici e con la promozione dell’uso responsabile (sia umano che veterinario) di questi farmaci, anche attraverso collaborazioni internazionali1. Un piano di azione (Action Plan) è stato pubblicato con un’indicazione molto dettagliata degli specifici obiettivi e dei target da raggiungere entro il 2020 e delle azioni specifiche che si intende mettere in atto (vedi tabella 1)2. Il problema è naturalmente molto sentito anche in Europa: nel 2011 la Commissione Europea aveva prodotto un Action Plan nel quale si indicavano una serie di azioni simili a quelle appena citate3,4; due anni prima era stata istituita una taskforce transatlantica sulle resistenze batteriche, con una collaborazione tra USA e UE che per il momento ha prodotto una serie di documenti analitici e di dati5. Lo scorso febbraio le autorità sanitarie britanniche attraverso il National Institute for Clinical Excellence (NICE) hanno proposto una strategia molto dettagliata per affrontare il problema, incentrata soprattutto sul coinvolgimento dei medici e dei pazienti6. In aprile 2014 anche l’OMS ha pubblicato un report che descrive in modo analitico la frequenza dell’antibiotico resistenza per i vari patogeni nel mondo, ne analizza le conseguenze per i singoli pazienti e per la società affrontando sia l’uso umano che quello veterinario.
Quali sono il consumo degli antibiotici e le resistenze nel nostro Paese?Lo scorso gennaio è stato pubblicato un rapporto prodotto congiuntamente dall’agenzia europea per il controllo delle malattie infettive (ECDC) e dall’agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA), dal quale risulta come l’Italia si collochi al secondo posto in Europa sia per uso umano sia per uso veterinario degli antibiotici (sebbene i dati per uso veterinario siano solo indicativi per problemi di tracciabilità)7. Ciò si associa a dati molto preoccupanti sull’andamento delle resistenze batteriche nel nostro Paese, come si vede nella tabella 2 – tratta da un rapporto dell’ECDC – che illustra le percentuali di resistenza agli antibiotici nel periodo 2003 - 2013 per sette patogeni di grande rilevanza per la sanità pubblica.
Quali iniziative andrebbero messe in atto?Per quanto riguarda l’utilizzo degli antibiotici nell’uomo, fattori culturali sono frequentemente alla base di un loro uso eccessivo9. Come contrastare tali eccessi? Sarebbe necessario uno sforzo di tutte le istituzioni interessate - Ministero della Salute, Regioni, singole Aziende Sanitarie - che coinvolga sia i medici prescrittori sia gli utilizzatori, per favorire una sensibilizzazione al problema attraverso una efficace informazione, e sarebbe altrettanto importante attuare attività formative e di monitoraggio, per avere una migliore cognizione sull’entità del problema delle resistenze e poterlo adeguatamente contrastare. A iniziative di promozione dell’uso appropriato (come linee-guida, campagne informative e loro implementazione) andrebbe quindi associata un’attività intensa di sorveglianza delle antibiotico-resistenze, promozione di metodi per la diagnosi rapida, segnalazione dei casi di infezioni emergenti, gestione in base a evidenze condivise, monitoraggio dei consumi di antibiotici. Esempi incoraggianti esistono a livello regionale: si veda ad esempio il controllo della resistenza della Klebsiella pneumoniae ai carbapenemi in Emilia-Romagna, attraverso linee-guida condivise a livello di Aziende Sanitarie e un’intensa attività di sorveglianza attiva (conferma fenotipica della produzione di carbapenemasi; sorveglianza dei carriers asintomatici; isolamento preventivo dei carriers)10. Oltre alle azioni specifiche per il controllo dei singoli patogeni, le attività più generali di tipo culturale dovrebbero mettere in evidenza che il problema di un uso inappropriato di questi farmaci non è tanto di tipo economico, quanto piuttosto di tipo clinico: preservare l’efficacia di questi farmaci significa continuare ad avere armi efficaci contro infezioni che potrebbero altrimenti diventare incurabili, considerato che all’orizzonte esiste una carenza di nuovi antibiotici in arrivo. L’aumento osservato negli scorsi anni nella prescrizione di alcune cefalosporine iniettive, probabilmente legato alle riduzioni di prezzo per via di scadenze brevettuali, suggerisce che ci potrebbe essere da parte dei prescrittori una maggiore attenzione alla spesa legata all’utilizzo rispetto all’appropriatezza clinica nell’uso di questi farmaci11,12. Le iniziative di promozione dell’uso appropriato degli antibiotici sembrano piuttosto limitate sia a livello nazionale (ad esempio, sembra marginale la copertura della campagna AIFA del 2014) sia, in generale, a livello regionale. A questo proposito, in Emilia-Romagna è stata realizzata nella stagione invernale 2014-2015 una nuova campagna in collaborazione con i medici13 che fa seguito a un’altra incoraggiante iniziativa degli scorsi anni14; queste iniziative anche se limitate rappresentano comunque un tentativo di iniziare ad affrontare il problema sensibilizzando la popolazione così come i clinici. Siccome azioni culturali e di monitoraggio del problema da sole non bastano, andrebbero intraprese anche azioni risolute, a livello delle singole Aziende Sanitarie e in particolare dei reparti ospedalieri, di controllo degli usi francamente inappropriati attraverso la definizione di obiettivi specifici.
Così come indicato nell’”European strategic action plan on antibiotic resistance”, la prevenzione delle infezioni acquisite in ospedale dovrebbe essere promossa da commissioni istituite ad hoc che possano monitorare e favorire l’uso prudente degli antibiotici e analizzare lo sviluppo di infezioni resistenti, affrontando in modo mirato i determinanti del problema15. Per quanto riguarda l’uso degli antibiotici in ambito veterinario, esso è altrettanto rilevante come fattore causale delle resistenze; è dunque altrettanto importante promuovere azioni che favoriscano l’appropriatezza prescrittiva e di utilizzo. A questo proposito nel 2011 il Parlamento Europeo aveva adottato una risoluzione, purtroppo non vincolante, per promuovere il monitoraggio dei consumi di antibiotici e delle resistenze batteriche in campo veterinario, la ricerca di nuove molecole e l’uso prudente di quelle attualmente disponibili16. Per ora a livello nazionale è stato prodotto un manuale sull’uso corretto e razionale degli antibiotici in zootecnia17, che però non è stato accompagnato da adeguate iniziative per una sua efficace diffusione ed implementazione, mentre iniziative di valutazione dell'uso di antibiotici in veterinaria e proposte di linee guida sull'utilizzo giudizioso sono presenti in alcune realtà regionali (ad esempio in Emilia-Romagna).
Non bisogna infine dimenticare l’altro fronte, che è quello della ricerca di nuovi farmaci. Essendo trattamenti utilizzati prevalentemente in acuto, gli antibiotici sono meno remunerativi per le aziende farmaceutiche rispetto a farmaci per malattie croniche e dunque esistono meno incentivi per investire in ricerca in quest’area specifica18. La ricerca pubblica andrebbe rafforzata soprattutto a livello di collaborazioni tra gruppi di ricerca a livello internazionale, visto che si tratta di un ambito di interesse comune e che richiede ampie risorse, ma ciò si scontra con due dati di fatto: la generale carenza o non utilizzo di fondi, come è evidente nel nostro Paese e come già denunciato in precedenti articoli19; e la difficoltà di instaurare collaborazioni trasparenti tra ricerca pubblica e/o no-profit e aziende farmaceutiche, in cui il controllo dei dati scientifici non sia esclusiva delle aziende. Una iniziativa internazionale di partnership pubblico-privato con grandi potenzialità è stata lanciata nel 2008 (IMI – Innovative Medicines Initiative) e sono partiti alcuni importanti progetti di ricerca, anche su nuovi antibiotici, ma proprio i problemi del controllo dei dati e della trasparenza nei rapporti tra pubblico e privato stanno limitando le potenzialità dell’iniziativa20. In un mondo globalizzato è interesse di tutti affrontare in modo deciso il problema della prevenzione delle resistenze batteriche e dell’uso appropriato degli antibiotici. Siccome le infezioni non sono facilmente contenibili all’interno dei confini dei singoli stati si spiega come l’attenzione al problema, che deve comunque essere massima da parte di ciascuna nazione e da parte dei singoli prescrittori, sia anche elevata a livello sovranazionale, sia sul fronte della promozione dell’uso appropriato (umano e veterinario) sia su quello della ricerca. C’è dunque da augurarsi che i dati sulle resistenze e sui consumi inducano i decisori, anche quelli del nostro Paese, a promuovere azioni più decise: anzitutto a livello locale, sul territorio e soprattutto nei luoghi di cura, per monitorare e scoraggiare gli usi inappropriati e per contrastare gli usi inappropriati anche in ambito veterinario, rispetto alle iniziative piuttosto tiepide sin qui promosse; infine nel rafforzamento dei meccanismi di finanziamento per la ricerca pubblica e della trasparenza delle collaborazioni pubblico-privato, per avere anche nuove armi a disposizione necessarie per combattere una guerra cruciale per la salute di tutti.
Bibliografia