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È stato molto difficile, nei mesi di preparazione di questo numero di IsF, decidere su quale argomento concentrare l’attenzione con una nota editoriale. Nella normale sorveglianza della letteratura e delle cronache sanitarie non sono mancati certo gli stimoli e le opportunità per indicare temi rilevanti. Via via che il tempo passava tuttavia, la cronaca quotidiana -trasversalmente, prescindendo e rendendo per lo più irrilevanti e irritanti o ridondanti i “dibattiti”, perché sopraffatti dalla pesantezza dei fatti- ha finito per imporre, con la sua ripetitività, coerenza, durata nel tempo, un'evidenza che ha una priorità imprescindibile: per tutte/i ma, se fosse possibile fare gerarchie di interesse in questo campo, specificamente per coloro che operano in sanità. È un'evidenza che ha tre volti drammaticamente complementari:
• quello delle guerre e dei terrorismi che hanno trasformato Iraq, Kurdistan, Yemen, Siria, Libia, Eritrea, Sudan, Nigeria, Kenia… in luoghi dove la vita non è più un diritto;
• quello di un’Europa fatta di muri concreti e istituzionali, respingimenti, politiche che hanno sostituito la finanza e la sicurezza -dalla Grecia, all’Ungheria, ai confini dei paesi forti- al diritto di individui e popoli al rispetto dei minimi di dignità umana;
• quello più quotidianamente ed esplicitamente vicino, tragico, riassuntivo, che ammutolisce e non ha confini di numeri e di orrori, del popolo dei migranti.
Tutti i nomi disponibili nel diritto internazionale, al di là di quelli comuni del diritto penale, sono stati evocati per qualificare l’evidenza di come queste cronache rappresentano la violazione flagrante, programmata, impunibile, inarrestabile di diritti la cui in-violabilità è considerata indicatore minimo di civiltà: crimini di guerra, crimini contro l’umanità, tortura, strage, genocidio…. La presenza-assenza dell’Europa di fronte a quanto è successo-succede, con orrori ogni volta riscoperti come nuovi: dai morti nelle stive, nei tir, rovesciati dai barconi, alle uccisioni esibite fino a diventare virali in tutte le reti informative, si traduce sempre più in dichiarazioni di assoluta urgenza ed insostenibilità, che equivalgono tuttavia ad un silenzio politico e sociale sostanziale. Il moltiplicarsi e consolidarsi di evidenze intollerabili si trasforma in un vero e proprio cambiamento di civiltà.
Possibile, e come, prendere la parola?Lo spazio tanto marginale di una riflessione editoriale, può essere solo eco e pro-memoria di responsabilità intellettuale e metodologica per quanto succede. Chi lavora in sanità si confronta, più o meno direttamente, con obiettivi e logiche che propongono e impongono come termine di riferimento (gestionale? etico? puramente contabile? culturale?) la razionalità dell’evidenza di ciò che si fa per garantire il diritto alla salute. Siamo dunque esperti-responsabili di una cultura-logica dell’evidenza. Punto di osservazione privilegiato? O trappola per pensarci legittimati a chiuderci nel nostro mondo protetto (?) rispetto all'intollerabile irrazionalità che è così evidente (o no?) nel mondo? Senza nessuna pretesa di completezza né di efficacia, si è pensato fosse utile proporre un esercizio minimo di memoria, andando a ritrovare nella letteratura più qualificata almeno tracce di pensiero e di cammini che permettano al nostro lavoro di essere parte cosciente ed attiva di una resistenza alla minaccia reale di una cultura che finisce per accettare come normale la trasformazione degli umani che più hanno bisogno in desaparecidos. Se succede nella società, è molto probabile che la sanità sia un luogo privilegiato per verificare quanto il rischio ci interessa.
Eterogeneità e coerenza delle evidenzeUna breve cronaca del BMJ1 in uno dei pochissimi articoli che pongono direttamente l’attenzione su una delle popolazioni di migranti, i Siriani, documenta che al crescere - per milioni - dei migranti, diminuiscono del 30-40% dall’inizio del 2015 i fondi disponibili per un aiuto umanitario minimo per gli interventi delle Nazioni Unite. I migranti sono in tal modo trasformati ancor di più in aggressori dei nostri sistemi sociali, politici, sanitari. Gli economisti più quotati -da Krugmann a Stieglitz, a Piketty, a G. Rossi, e…- nei giornali più diversi producono infinite evidenze, molto più dure, da rapporti ufficiali:
• che nel tempo della crisi, 2008-2014, la Federal Reserve americana ha immesso sul mercato 3.600 miliardi di dollari per sostenere l’economia virtuale;
• che la concentrazione della ricchezza reale coincide con un 48,2% nelle mani dell’1% della popolazione;
• che le oscillazioni delle borse sono il prodotto di software robotici nei cui modelli gli umani non esistono;
• che la trasformazione della sanità in area chiave del mercato è uno degli obiettivi delle trattative in corso per un libero commercio globale a livello transatlantico e transpacifico.
I grandi dibattiti sui nuovi sistemi sanitari che promettono di aprire una nuova era con l’estensione a tutti della copertura sanitaria, trascurano di fatto il dato fondamentale che al crescere delle disuguaglianze socio-economiche, culturali, di accesso al lavoro, di rispetto sostanziale delle classi marginalizzate (i neri negli USA sono solo la punta dell’iceberg rispetto a quanto succede in tanti paesi del Nord e Sud del mondo, inclusi evidentemente Italia e UK), diminuisce la speranza di un effettivo accesso ad una vita nella dignità e nella salute2-7.
L’epidemiologia fa fatica -storicamente e attualmente- a trarre le conseguenze delle evidenze (antiche ma sempre più quantificate, conosciute, monitorate) sul ruolo trainante della disuguaglianza, in tutti i suoi aspetti, nel determinare il destino della salute e della vita delle popolazioni. La descrizione sempre più precisa di quanto succede e può essere previsto, fa ancora più fatica a diventare strumento di pianificazione e di formazione di una cultura e di competenze che permettono di fare della sanità uno strumento di protezione dei più deboli, e non un fattore di aggravamento delle disuguaglianze8-12.
Le aree degli anziani e della psichiatria, tipicamente carenti di evidenze su tecnologie, sono modelli esemplari di quanto sia importante, ma difficile a tradursi nella pratica e perciò sostanzialmente trascurato, uno sviluppo sanitario che includa la partecipazione comunitaria tra gli interventi essenziali (molto più di qualsiasi tecnologia e di farmaci) che devono essere ri-creati nella nostra società per mantenere alla vita un valore complessivo di dignità, e non solo quello di essere un bene da assicurare a costi compatibili con, e favorevoli ai valori del mercato13-16.
Per una possibile-difficile ricerca-produzione di evidenze che generano conoscenza-coscienzaAnche il tema di questo terzo paragrafo non è nuovo: la scelta preferenziale di interventi originali che producono intelligenza mentre generano salute è una componente che dovrebbe essere normale nella medicina. Questo dovere è tanto più difficile e controverso (in tutti i settori anche non medici, della società) quanto più si pretende che ciò che si dichiara evidentemente migliore venga tradotto-confermato con dati di consumi, che sono, per definizione, il contrario della rilevanza e della autonomia. Tenendo conto dei trend di mercato sopra evocati come quadro di riferimento, l’attualità del titolo di questo ultimo paragrafo è perciò assoluta. Il pro-memoria che si può proporre è ancor più breve e invita a guardare gli scenari citati non nel loro dettaglio, ma come aree esemplari sulle quali concentrare riflessioni serie.
1. È possibile ricordarsi che il costo dei farmaci anticancro -problema realissimo!- non è pertinente né risolvibile solo né prevalentemente dall’interno dell’appropriatezza o dei budget aziendali?17-18 La letteratura rilevante è quella citata nel paragrafo precedente, ed i valori in gioco sono quelli delle responsabilità professionali e della loro capacità di dare spazio, intelligenza alla creazione di una cultura complessiva della presa in carico del difficile rapporto, nelle fasi avanzate delle patologie tumorali, tra quantità e qualità della vita.
2. Si devono moltiplicare trial-pietre-miliari che producono evidenze su strategie a tecnologia “0” e ad alta intelligenza e responsabilità. Il caso del grande trial australiano sulla mobilizzazione precoce per lo stroke è esemplare19-20. In quanti altri campi è imitabile-dovuto, per quanti tipi di intervento? Magari nelle aree più a rischio di produrre desaparecidos come la psichiatria ed i disturbi cognitivi degli anziani, che continuano a porsi domande generiche ed irrilevanti su pillole-tecniche risolutive?21-24
3. È importante non ri-vestire qualcosa che è ovvio, o al confine col non-senso (es. servono o meno, fanno bene o male o nulla le statine nei malati terminali?) della solennità dovuta ai risultati di grandi ricerche sul campo o simulate, dove il valore che conta è quello attribuibile al premio assicurativo25-26.
4. Altrettanto critico è il problema di non millantare né promettere risposte come se fossero disponibili, quando forse, e non si sa quando, ricerche disperse stanno affrontando un problema grave, serio, orfano come l’autismo27. Come per la metanalisi citata nel paragrafo precedente a proposito del ruolo dell’epidemiologia8 l’evidenza può e deve essere anche quella che impone sobrietà, soprattutto là dove si ricorda che le tecnologie (in questo caso la genomica più avanzata)28 non servono per comprendere-spiegare le disuguaglianze razziali, neppure in un campo tanto gettonato come quello vascolare.
5. Forse la produzione delle evidenze che contano può ricominciare, anche molto semplicemente a livello locale, con la riscoperta di indicatori elementari ma sostanziali, come la morte29. Per ragioni amministrative e/o di buon senso, e di attenzione alle storie, e alla loro narrazione30. Certo, con un minimo di sostegno, che è però sempre una piccola piccola frazione dei costi, ricordando oltretutto che ciò che sta dietro alle evidenze economico finanziarie soffre strutturalmente di bias non correggibili31.
Conclusioni
1. È noto che il termine evidenza in medicina ha poco a che fare con il significato di fondo e più comune della parola: definisce infatti una conoscenza prodotta con una metodologia (il RCT) adeguata a dimostrare con ragionevole certezza l’efficacia di un intervento.
2. Strada facendo la/e evidenza/e hanno ripreso anche nella medicina un loro significato più generale, che ha mantenuto poche radici nella metodologia sperimentale: è evidente ciò che è stato prodotto con un certo metodo, protetto dai confondimenti della vita reale, e prescindendo anche dal contesto in cui la conoscenza viene applicata.
3. Questa è anche la pretesa delle scienze (come l’economia e la gestione) che di sperimentale non hanno nulla e che si basano su combinazioni di modelli, di esperienze molto empiriche e soprattutto su rapporti di potere. Queste scienze sono diventate il contesto sempre più normativo nel quale si vive nella medicina e nella società. L’evidenza di un loro beneficio o danno sul mondo reale degli umani non fa parte del loro universo di valori e di misure.
4. Il ruolo di una medicina che non vuole contribuire a produrre desaparecidos è quello di ri-dare alla visibilità degli umani minacciati di marginalità la priorità assoluta, perché se anche nella medicina la dignità della vita cessa di essere l’unica misura credibile dell’evidenza, la pretesa della medicina di essere una delle culture di garanzia nel mantenere un volto umano alla storia avrà tutte le evidenze di una menzogna.
5. Perché questo cammino - difficile, con basse probabilità di successo, immaginabile, forse, per il lungo termine - si possa fare, il contesto nel quale viviamo questi anni-mesi è la scuola obbligatoria per mantenere-creare spazi alle evidenze che difendono e restituiscono dignità e democrazia.
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Data di Redazione 06/2015