La scelta del trattamento per gli adulti con epatite C cronica dipende in larga parte dal genotipo virale, dall’entità del danno epatico e dalla velocità di progressione della malattia. Da una valutazione clinica iniziale del sofosbuvir emerge un profilo incerto di effetti indesiderati soprattutto per la scarsa popolazione arruolata negli studi e la mancanza di cecità ma anche per il breve follow-up e per la preoccupazione di possibili effetti indesiderati a livello cardiaco, muscolare ed ematologico. Dal momento che sono in corso ulteriori studi, per i pazienti con HCV di genotipo 1 sono disponibili diverse opzioni:
• Peg-IFN alfa + ribavirina per 48 settimane: gli effetti indesiderati sono ben conosciuti, e spesso mal tollerati, e la risposta virologica si ottiene solo in circa metà dei pazienti ma l’efficacia è ben documentata.
• Peg-IFN alfa + ribavirina + sofosbuvir: nonostante molte incertezze e la mancanza di confronti diretti, questa combinazione induce probabilmente una migliore risposta virologica e minori effetti indesiderati rispetto a Peg-IFN alfa + ribavirina + un inibitore delle proteasi.
• Attendere che siano disponibili maggiori informazioni sul sofosbuvir, un’opzione spesso ragionevole vista la lenta progressione dell’epatite C.
Gli aspetti importanti ancora da valutare appieno riguardano la correlazione tra la risposta virologica e l’efficacia clinica; il profilo complessivo degli effetti indesiderati; la durata ottimale del trattamento per i pazienti in condizioni più gravi come i pazienti cirrotici; la possibilità che un uso estensivo di sofosbuvir cambi la sensibilità del virus.
Si può pertanto concludere che:
• l’associazione Peg-IFN alfa + ribavirina + sofosbuvir rappresenta un’opzione ragionevole per pazienti adulti con infezione da HCV di genotipo 1 le cui condizioni cliniche siano tali da richiedere un trattamento o per il rischio di progressione della malattia a condizione che vengano costantemente monitorati per la comparsa di effetti indesiderati;
• la combinazione sofosbuvir + ribavirina rappresenta una opzione quando il Peg-IFN alfa è controindicato o presenta un inaccettabile profilo di effetti indesiderati e la progressione della malattia necessita di un trattamento.
• nei pazienti con infezione da HCV di genotipo 2 o 3 la combinazione sofosbuvir + ribavirina non è più efficace di Peg-IFN alfa + ribavirina ma può avere un profilo di effetti indesiderati migliore.
Rimane da valutare se l’uso di sofosbuvir abbrevia la durata del trattamento. In pratica il vantaggio di sostituire il Peg-IFN alfa con il sofosbuvir dovrebbe essere discusso con il paziente, accertandosi che sia ben consapevole dei limiti del nuovo farmaco. Nei pazienti con infezione da HCV di genotipi 4, 5, 6 i dati sull’impiego del sofosbuvir sono molto scarsi. Il sofosbuvir rappresenta perciò un’opzione per alcuni pazienti, ma attendere che siano disponibili maggiori informazioni è altrettanto ragionevole vista la lenta progressione della malattia.
Non c’è nessuna urgenza di utilizzare i nuovi antivirali ogni qualvolta possa essere ragionevole attendere.
I punti da tener presente
• Alcuni pazienti con epatite C cronica rischiano di andare incontro a complicazioni epatiche gravi e di morire. Fino ad ora solo l’associazione Peg-IFN alfa + ribavirina ha dimostrato di prevenire le complicazioni dell’epatite C soprattutto in caso di risposta virologica prolungata (carica virale non rilevabile a 12-24 settimane dopo il termine del trattamento). Si tratta tuttavia di un trattamento che presenta molti effetti indesiderati, a volte gravi, che alcuni pazienti non riescono a tollerare.
• Circa la metà dei pazienti con epatite C da genotipo 1 naive al trattamento ottengono una risposta virologica prolungata dopo 24-48 settimane di terapia con Peg-IFN alfa + ribavirina. Aggiungendo a questa combinazione un inibitore delle proteasi virali (boceprevir per 24-44 settimane o telaprevir per 12 settimane) il tasso di risposta virologica prolungata aumenta del 30% in valore assoluto ma aumentano anche gli effetti indesiderati tra cui effetti cutanei e ematologici che mettono a rischio la vita.
• Il sofosbuvir non è stato confrontato direttamente con un inibitore delle proteasi virali nei pazienti con infezione da HCV di genotipo 1. In due studi, la percentuale di risposta virologica prolungata è stata di circa il 90% quando il sofosbuvir è stato aggiunto all’associazione Peg-IFN alfa + ribavirina, sia per 12 che per 24 settimane. Gli effetti indesiderati del sofosbuvir tuttavia sono scarsamente documentati, soprattutto nausea e leucopenia, e destano preoccupazione i possibili effetti cardiaci, ematologici e muscolari.
• La combinazione sofosbuvir + Peg-IFN alfa + ribavirina è stata valutata solo in 54 pazienti con cirrosi dovuta a infezione da HCV di genotipo 1 in uno studio non controllato. La risposta virologica è stata dell’80%.
• Il simeprevir è un inibitore delle proteasi virali strettamente correlato al boceprevir e al telaprevir e ne condivide gli effetti indesiderati. Anche il suo effetto antivirale è simile a quello degli altri inibitori delle proteasi.
• In un piccolo studio randomizzato controllato con placebo in pazienti con infezione da HCV di genotipo 1 naive al trattamento, l’aggiunta di daclatasvir (un altro inibitore della proteina NS5A come il sofosbuvir) alla combinazione Peg-IFN alfa + ribavirina ha aumentato il tasso di risposta virologica prolungata. I principali effetti indesiderati sono stati affaticamento, mal di testa e nausea.
• Le combinazioni senza interferone, sofosbuvir + ribavirina, sofosbuvir + simeprevir e sofosbuvir + daclatasvir hanno prodotto una risposta virologica prolungata nel 76-95% dei pazienti, ma non sono stati confrontati con le combinazioni standard in pazienti con HCV di genotipo 1.
• Nei pazienti con infezione da HCV di genotipo 1 trattati inizialmente senza successo con interferon alfa + ribavirina, l’aggiunta di simeprevir ad un nuovo ciclo di trattamento con gli stessi farmaci ha prodotto risultati praticamente sovrapponibili all’aggiunta di boceprevir o telaprevir.
• Nei pazienti con infezione da HCV di genotipo 2 o 3 naive al trattamento, 24 settimane di trattamento con Peg-IFN alfa + ribavirina inducono una prolungata risposta virologica nel 70-80% dei casi. Un’efficacia simile è stata ottenuta con un trattamento di 12 settimane di sofosbuvir + ribavirina in 2 studi randomizzati che hanno arruolato complessivamente 780 pazienti.
• Nei pazienti con infezione HCV di genotipo 2 o 3 inizialmente trattati senza successo con l’associazione Peg-IFN alfa + ribavirina, la combinazione ribavirina + sofosbuvir ha indotto una prolungata risposta virologica nel 50% dei casi dopo 12 settimane di trattamento e nel 73% dei casi dopo 16 settimane di trattamento.
• In pratica:
Nei pazienti con infezioni HCV di genotipo 1 associare sofosbuvir alla combinazione Peg-IFN alfa + ribavirina abbrevia la durata complessiva del trattamento di parecchi mesi. Il sofosfuvir ha dimostrato di possedere un’efficacia antivirale almeno altrettanto buona di quella del boceprevir e del telaprevir ma sembra causare effetti indesiderati più lievi nonostante permangano molte incertezze. Il rapporto beneficio/rischio del sofosbuvir è scarsamente documentato nei pazienti con cirrosi. Ciononostante sembra ragionevole aggiungere il sofosbuvir alla combinazione Peg-IFN alfa + ribavirina quando quest’ultima non si sia dimostrata sufficientemente efficace. In caso di infezione da HCV di genotipo 2 o 3, i vantaggi potenziali di sostituire il Peg-IFN alfa col sofosbuvir dovrebbero essere valutati con i pazienti dopo averli informati dei limiti di questo nuovo farmaco. Ai pazienti la cui condizione clinica è stabile potrebbe essere consigliato di aspettare fino a quando il bilancio beneficio/rischio di questi nuovi farmaci e trattamenti HCV sia meglio documentato.
Bibliografia
1. Sovaldi. La Revue Prescrire 2014; 34:726.
2. Sovaldi. Prescrire International 2015; 24:5.
Data di Redazione 12/2014
Molto sul sofosbuvir è stato scritto nel numero precedente di IsF (Marata A.M., Formoso G. "L’introduzione dei nuovi antivirali per l’epatite C"). Ci limitiamo qui pertanto ad integrare quelle informazioni con una breve puntualizzazione, tratta da La Revue Prescrire, sulla collocazione attuale del farmaco nel panorama dei trattamenti disponibili per i pazienti con epatite C. Recentemente è stato commercializzato anche un secondo antivirale diretto, simeprevir (Olisyo®), ed un terzo, il daclatasvir (Daklinza®) ha già ricevuto l’approvazione della Commissione Europea, così come l’associazione ledispravir + sofosbuvir (Harvoni®). Con la disponibilità di questi nuovi antivirali assisteremo ad un profondo cambiamento delle prospettive terapeutiche per i malati di epatite C. Per questo sarà sempre più opportuno valutare le reali necessità dei pazienti per poter fare una programmazione dei trattamenti necessari, definirne il relativo impegno economico e la conseguente sostenibilità per il sistema sanitario.