La Food and Drug Administration (FDA) ha definito i Patient-Reported Outcomes (PRO) estensivamente come "any report coming from patients about a health condition and its treatment" vale a dire "qualsiasi informazione proveniente dal paziente che riguardi una condizione di salute e il suo trattamento". Quindi, nella pratica clinica, fanno parte dei PRO anzitutto gli usuali strumenti per la misura della qualità di vita correlata alle condizioni di salute (HRQOL), che esplorano la sintomatologia (dolore, astenia, emesi), oltre alla funzionalità ed al benessere nei domini fisico, mentale e sociale. In secondo luogo, appartengono ai PRO tutti i report riferiti dal paziente relativi ai comportamenti di salute, quali la sua adesione alla cura, il mutamento dei suoi stili di vita rilevanti per la malattia, la partecipazione a programmi riabilitativi. Infine, possono essere considerati PRO anche l'espressione delle preferenze di cura del paziente e il suo desiderio di partecipare (o meno) al processo terapeutico, la sua soddisfazione per le cure, le sue valutazioni della qualità di comunicazione medico/paziente e della facilità di accesso alle cure.
Gli obiettivi più rilevanti dei PRO sono:
migliorare la comunicazione medico/paziente,
valutare e migliorare la qualità delle cure,
monitorare la progressione della malattia o la risposta al trattamento,
classificare i pazienti per problemi funzionali.
I PRO contribuiscono anche a migliorare le conoscenze sulla storia naturale della malattia. I benefici sono evidenti: maggiore tempestività nel trattamento dei sintomi, minore ansietà del paziente, minor ricorso alle cure ospedaliere, maggior adesione del paziente ai consigli del medico, maggiore soddisfazione con le cure, più efficace uso delle risorse.
Per essere utili nella pratica clinica, i risultati ottenuti con i PRO debbono contribuire a formare le decisioni, come ad esempio, modificare il piano terapeutico corrente, aggiungendo trattamenti di supporto, portare a conoscenza del paziente risorse cliniche disponibili per diminuire il peso delle sue condizioni (riabilitazione, auto-addestramento, e così via).
Ai ben noti (e standardizzati) questionari di qualità di vita vanno così ad aggiungersi altre misure ed osservazioni riportate dal paziente, che possono essere ottenute mediante una pluralità di strumenti: questionari, interviste strutturate o semi-strutturate, domande aperte, check-list di sintomi con i corrispondenti livelli di frequenza, intensità e rilevanza. Alle problematiche connesse agli strumenti di rilevazione vanno ad aggiungersi quelle relative alla possibilità di riferire i risultati a gruppi di pazienti, così da istituire una nuova preziosa fonte di conoscenze della malattia.
Per affrontare questi argomenti, nel giugno 2007 la International Society for Quality of Life Research (ISQOL) ha organizzato una conferenza internazionale sull'uso dei Patient-Reported Outcomes nella pratica clinica. I risultati di tale conferenza sono stati pubblicati in due tempi successivi (4 lavori nel 2008 e 4 lavori nel 2009) sulla rivistaQuality of Life Research.
In concreto, inizialmente sono state analizzate le barriere all'implementazione dei PRO nella pratica clinica1, i problemi della misurazione dei PRO2, il disegno appropriato per gli studi che valutano i PRO3 e gli strumenti e le tecnologie per l'implementazione dei PRO nella pratica clinica4. Più recentemente, dopo un articolo scritto da un paziente neoplastico sull'importanza dell'interazione e del coinvolgimento dei pazienti nei percorsi diagnostici-terapeutici5, è stata pubblicata una revisione della letteratura su PRO e discussa l'accettazione e l'uso dei PRO da parte dei clinici e la possibilità che questo determini un miglioramento dei risultati6. Inoltre negli altri tre lavori è stato meglio chiarito l'impatto della raccolta dei PRO sulla comunicazione medico-paziente7, le possibili applicazioni nella pratica clinica dei PRO8 ed i problemi metodologici e logistici per la raccolta dei dati9.
Pur tra mille difficoltà, nel prossimo futuro l'introduzione dei PRO nella pratica clinica sarà inevitabile ed è quindi importante prepararsi a meglio comprenderne il significato e le difficoltà interpretative dei risultati da essi prodotti. Tant'è vero che non solo la FDA e l'EMEA accettano le evidenze generate dai PRO come strumenti utili per descrivere il valore dei farmaci, ma hanno altresì prodotto linee-guida per il loro utilizzo nella ricerca clinica.
Un recente lavoro, sulla base delle osservazioni di 47 esperti, ha commentato criticamente tali linee-guida10. Ad esso si è aggiunto un editoriale del BMJ11 che ha sottolineato la necessità di una standardizzazione ed un uso appropriato dei PRO nella ricerca suggerendo che il CONSORT (raccomandazioni per migliorare la qualità degli studi clinici) venga emendato introducendo le informazioni per selezionare appropriatamente le misure di PRO.
Analisi costo-efficacia: come eseguirla ed usarne i risultati secondo il NICE
Recentemente il NICE (National Institute for Clinical Excellence) ha aggiornato la guida ai metodi da utilizzare per una valutazione farmacoeconomica dei trattamenti (www.nice.org.uk/media/B52/A7/TAMethodsGuideUpdated June208.pdf). Per conseguire nel migliore dei modi tale risultato, il NICE ha commissionato una serie di lavori ad esperti accademici inglesi con lo scopo di stimolare la discussione sui vari problemi metodologici nel corso di convegni organizzati ad hoc. I resoconti ed i risultati di tali incontri sono stati pubblicati su PharmacoEconomics.
L'elemento caratterizzante la Farmacoeconomia sono i costi dei trattamenti. A tale argomento è dedicato per intero un articolo12. Com'è noto, l'analisi farmacoeconomica confronta i costi in relazione all'efficacia di differenti alternative terapeutiche, usando come strumento di sintesi il costo incrementale (Incremental Cost-Efficacy Ratio, ICER), ossia il costo per ottenere una unità di efficacia in più con il trattamento clinicamente più vantaggioso. Per consentire confronti tra i diversi campi della Medicina, è necessario che a denominatore dell'ICER compaia la differenza tra le due misure di efficacia dei trattamenti espresse in termini di utilità; pertanto, la scelta è caduta sui QALY (Quality-Adjusted Life Years), misura combinata di efficacia (ad es. sopravvivenza. Progression Free Survival [PFS], ecc.) con l'utilità annessa ai diversi stati di salute vissuti dal paziente. Un articolo è incentrato su chi deve valutare le utilità necessarie per il calcolo dei QALY, e in che modo13.
Un QALY, quindi, rappresenta un anno vissuto in condizioni di buona salute. Gli studi farmacoeconomici consentono di ottenere stime del costo incrementale del nuovo farmaco rispetto alla terapia standard, stime che, se non superano una certa soglia - fissata sulla base di considerazioni basate sulle risorse complessivamente disponibili per il Servizio Sanitario Nazionale - incoraggiano le autorità regolatorie ad approvare il nuovo farmaco. Nel Regno Unito, tal soglia è fissata in circa 20-30.000 sterline. Quindi, se per ottenere un anno in più, vissuto in condizioni di buona salute, con il nuovo farmaco costa meno della soglia prefissata allora il nuovo trattamento è considerato efficiente e ciò depone a favore della sua rimborsabilità.
Fissare, però, una soglia è un atto politico che richiede la conoscenza degli ICER relativi a tutti gli altri settori competitivi della Medicina (che non sono disponibili) e, pertanto, nelle precedenti linee guida tale soglia non era fissata, sebbene non si rinunciasse a confronti con gli ICER di altre patologie14.
Ovviamente gli elementi che rendono poco affidabili le stime degli ICER sono molti e in gran parte dovuti a carenze metodologiche della ricerca clinica, come l'uso di trattamenti di controllo inappropriati, il ricorso ad end point "surrogati" quando non è nota la loro relazione con quelli finali, e così via. Un'altra cospicua fonte di incertezza risiede nella mancata valutazione dei costi parallelamente allo studio clinico che obbliga all'uso di modelli. Infine, l'ampliamento dell'orizzonte temporale (rispetto a quello degli studi clinici), sebbene necessario per il decisore di spesa, contiene enormi elementi di incertezza, primo dei quali è l'impossibilità di verificarne empiricamente i risultati. Due articoli sono dedicati al controllo dell'incertezza e dalla variabilità da due differenti angolazioni nelle analisi costo efficacia15, 16.
Nella ricerca clinica, in presenza di più studi controllati tra due alternative terapeutiche si esegue una revisione sistematica degli studi disponibili per stimare l'effetto della nuova terapia. Una metodologia logicamente simile alla metanalisi, ma resa assai più complessa dal problema della valutazione dei costi e delle utilità è stata proposta in Farmacoeconomia, ma è ancora in via di sviluppo e pertanto necessita di essere conosciuta nelle possibilità applicative e nei limiti dei risultati ottenuti17.
Costi della mortalità per cancro negli USA
Recentemente due studi hanno valutato il costo per mortalità da cancro negli Stati Uniti, il primo basandosi sulla perdita di produttività del lavoro18e il secondo adottando la tecnica della "disponibilità a pagare" (Willingness To Pay, WTP)19.
Il primo articolo presenta i risultati dell'applicazione della tecnica del "capitale umano", consistente nell'attualizzare (ossia nel riferire ad oggi) la differenza tra quanto ciascun paziente avrebbe prodotto e quanto avrebbe consumato. Inoltre, utilizzando un modello, i risultati ottenuti per il 2000 (cioè, negli USA 115,8 miliardi di dollari) sono stati proiettati al 2020 (147,6 miliardi di dollari). Tali stime salgono, rispettivamente a 232 e a 308 miliardi di dollari tenendo conto anche dei mancati guadagni dovuti al tempo perso per le cure e per l'attività familiare.
La tecnica del capitale umano presenta molteplici inconvenienti tra cui il fatto che una differenza potrebbe anche risultare negativa, se il paziente consumerà più di quanto riuscirà a produrre (ad es. un pensionato), il che sembra inaccettabile, almeno sotto un profilo etico. Tenendo conto che negli USA solo circa il 40% dei pazienti alla diagnosi di cancro è in condizione lavorativa, la possibilità di una sottostima appare concreta. In secondo luogo, i tassi di mortalità specifici per sesso ed età (oltre che, ovviamente, per tipo di neoplasia) considerati sono quelli attuali, mentre almeno per alcuni tipi di tumore vi è una concreta possibilità che si riducano. Consci del problema, gli autori hanno eseguito un'analisi di sensibilità sui tassi di mortalità ed è emerso che una riduzione del solo 1% della mortalità per cancro del polmone, del colon retto, della mammella, del pancreas, del cervello e delle leucemie produrrebbe su tali stime un risparmio annuo di 814 milioni di dollari.
Nel secondo articolo sono stati anzitutto calcolati gli anni di vita persi a causa del cancro (Person-Years of Life Lost, PYLL) e, valutando (sulla base di sondaggi) in 150.000 dollari la disponibilità a pagare per ogni anno di vita guadagnato, si è stimato il costo complessivo delle morti per cancro: negli USA, nel 2000, 960,6 miliardi e, nel 2020, 1.472,5 miliardi di dollari.
Un'importante limitazione della tecnica del WTP consiste nell'assegnare ad ogni anno di vita guadagnato lo stesso valore, indipendentemente dall'età, dalle condizioni di salute, dal reddito e dal patrimonio del paziente. Ovviamente, tale iper-semplificazione potrebbe produrre distorsioni anche consistenti nelle suddette stime.
Anche tenendo conto delle limitazioni dei metodi usati, è comunque un sacco di soldi!
Considerando che i costi diretti sanitari per la cura del cancro sono stati stimati, negli USA, nel 2008, complessivamente in circa 89 miliardi di dollari per anno, sembra proprio che si spenda troppo poco a fronte della perdita economica subita dalla società. Non sarà che tali lavori siano stati incoraggiati dall'industria?
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