Quadro di riferimento
Il lungo titolo cerca di riflettere, e giustificare, un percorso che è certo anomalo per questo bollettino: per la tipologia dei contributi [al di là della classica Bussola, si trovano tre "revisioni di letteratura" - un vero dossier - che hanno come tema comune l'oncologia che non è tra le priorità più tipiche o dirette di lettori-utenti di IsF]; per il filo conduttore metodologico che accompagna in modo sistematico ed è il vero protagonista dei tre articoli di revisione; per la sottolineatura (questa volta tanto esplicita, da tradursi in un contributo a parte, in forma di pro-memoria di dati e di tabelle) di un vecchio ritornello di IsF che dice: "la novità è orfana: non tanto perché i farmaci siano pochi, né solo perché i problemi sono complessi; ma anche [soprattutto?] perché la realtà assistenziale quotidiana riesce ancora troppo poco ad essere luogo-tempo-strumento di una ricerca permanente sui bisogni inevasi che si incrociano nel quotidiano assistenziale e nella vita delle popolazioni reali".
Il leit-motiv dei [non]-nuovi farmaci: equivalenti? irrilevanti? inevitabili? indicatori?
Il punto di partenza è ancora una volta la Bussola, che, bene o male, rappresenta la componente più classica, ed obbligatoria, di un Bollettino di Informazione sui farmaci.
I quattro farmaci di questo numero rappresentano in modo paradigmatico la situazione che più frequentemente si presenta: le "nuove" molecole sono una novità per il fatto che sono nuove immissioni sul mercato e rimborsabilità, ma, per quanta attenzione si ponga (e questa volta in modo particolare i profili dei farmaci sono proposti ed esaminati con il massimo di completezza e di dettaglio) l'innovazione si ferma a questo aspetto amministrativo (ed economico, quando il [non]-nuovo farmaco viene confrontato con gli esistenti).
Data la ripetitività di questo scenario, è legittima la domanda: il tempo dedicato a documentare la [non]-novità in tutti i suoi aspetti è speso bene? o è sostanzialmente "perso" (solo inutile? o effetto avverso imposto?)? Di fatto le nicchie più o meno grandi, che i [non]-nuovi farmaci prima o poi si conquistano sono il prodotto di tecniche-capacità-strategie di mercato che (per definizione) operano in perfetta autonomia dalla affidabilità dell'informazione, trovando sempre dei modi per imporsi, in nome di "sottogruppi", controindicazioni, resistenze più o meno "atipiche" ai farmaci già esistenti, sicurezza ed efficacia personalizzate: tutte qualificazioni nominalmente attraenti, che insinuano motivazioni scientificamente stimolanti e che non si possono non perseguire, pena il restare fuori dalla modernità della ricerca e delle pratiche, se non addirittura dall'etica di una medicina attenta alle "persone".
A scuola di lucidità (attraverso la metodologia applicata all'oncologia)
Il "dossier" proposto attraverso i contributi di Roila e Ballatori rimanda ad una iniziativa di informazione on-line come quella di Ars et Scientia (A&S) www.informazionisuifarmaci.it/database/fcr/sids.nsf/sids.nsf/as$first?OpenDocument, che si vorrebbe raccomandare per un uso intensivo.
I tre contributi chiedono la pazienza e la lucidità di una lettura non di corsa. È un vero e proprio percorso didattico: molto "informato", mix intelligente di principi generali e di casi concreti, disincantato, non direttivo, che chiede solo di pensare-prima-di-decidere, che parla di cose molto tecniche e "professionali", ma avendo come sfondo obbligato e prioritario, e come ambito applicativo più immediato, le decisioni che toccano da una parte la vita dei/delle singoli/e pazienti, dall'altra la programmazione e la gestione dei contesti assistenziali. Il percorso permette di confrontarsi con i problemi, il linguaggio, le categorie di riferimento, gli strumenti di lavoro, le controversie che si incrociano in tutti i settori critici del "fare medicina" (e perciò in tutte le aree dove il ruolo di una informazione senza paraocchi è particolarmente importante), quando ci si confronta con la dissociazione tra:
la [in]completezza e la [in]affidabilità delle conoscenze disponibili (a livello di scienze di base, e/o epidemiologico, e/o clinico, e/o di qualità della vita e/o di disponibilità di risorse);
la realtà, che è fatta di persone, prima ancora che di pratiche, con i loro bisogni inevasi e la disponibilità solo di risposte (poco o tanto) insoddisfacenti.
L'oncologia è, quasi naturalmente, l'area modello (per i suoi contenuti e per il suo peso di immaginario, a livello individuale e collettivo) di quali sono i problemi da affrontare, senza pretendere di avere troppo presto, e con approssimazioni discutibili, risposte per situazioni di incertezza, dove giocano [molto meno] i contenuti strettamente medico-scientifici che vanno dalla biologia molecolare alla statistica, e [molto di più] i desideri e le autorappresentazioni di medici e persone malate: oltre evidentemente al rumore (di fondo? dominante?) del mercato. La medicina ha sempre avuto difficoltà a convivere con l'accettazione di non "avere risposte". La proposta di fare ricerca seria, che non trova scorciatoie con end-point surrogati, sottogruppi, o qualità della vita, è difficile da osservare. Non perché esplorare percorsi valutativi diversi/complementari rispetto a quelli "tradizionali" o "raccomandati" sia un fatto negativo. Anzi. Le metodologie hanno bisogno, per rimanere credibili, di essere profondamente e permanentemente rinnovate. Ma è difficile avere la pazienza (che, si sa, è il modo più serio di accelerare i progressi reali) per sviluppare-applicare metodologie e produrre risultati, di cui si rispetti la parzialità, il rimando ad altre ricerche, il ruolo di generatori di domande.
Pro-memoria del quotidiano
I progetti a cui rimanda il contributo dedicato ai sintomi dell'oncologia (e non solo), dolore, nausea, vomito, ed ai loro trattamenti, rappresentano un'ipotesi di ponte tra l'atteggiamento e le strategie di "descrizione-studio-ricerca" (= qualcosa di occasionale), e "sorveglianza-comprensione-adozione" (= qualcosa che fa parte della normalità della assistenza). Le domande che si pongono, le sotto-popolazioni che si identificano, le misure che si utilizzano, gli attori che sono coinvolti, il disegno e l'impianto metodologico vorrebbero tutti rimandare (per integrarla e per renderla sempre più "normale", cioè praticabile come un "dover essere" flessibile, che rende meno noiosa la routine) alla definizione di novità annunciata nel titolo e formulata nell'introduzione: è nuovo ciò che, dall'interno della pratica, interroga, impone l'attenzione, svela un vuoto o una possibilità.
Sono le domande che devono essere nuove: solo sulla loro novità, si può misurare quella delle [possibili] risposte, ma soprattutto devono essere "nuovi" coloro che si mettono nella posizione di attenderle, ascoltarle, prenderle, al di là della critica, come opportunità da abbracciare.