Perché un titolo così "strano"
La composizione certo eterogenea del titolo, dove si incrociano termini che rimandano ad ambiti molto diversi di interessi, di metodologia, di pratiche, di norme, corrisponde ad un obiettivo ben preciso: "mettersi dentro" la realtà che si vive quando si produce e ancor più si utilizza informazione che è fortemente eterogenea nei suoi contenuti, e perciò per le decisioni che si devono prendere a partire da conoscenze, ed insieme per rispondere a esigenze, diverse. In questa eterogeneità il termine-chiave del titolo è "navigare a vista": un modo di dire che è
a) intuitivamente all'opposto di quanto viene, almeno ufficialmente, considerato "appropriato" nella medicina-sanità attuale; b) formalmente e fortemente sconsigliato per una informazione scientifica, che mira sostanzialmente a creare competenze e capacità di lettura e di giudizio che dovrebbero essere ben finalizzate, lineari, navigando cioè secondo "bussole" certe. Perché solo pochi mesi dopo, si riprende quest'ultimo termine facendo temere una ripetizione? Il titolo e l'obiettivo dell'editoriale sono apparsi una scelta in un certo senso obbligata, quando ci si è trovati di fronte ad un vuoto sostanziale di "novità" su cui fare il punto informativo, ed i contributi che via via si sono accumulati, per vie diverse, si sono trasformati in un numero di IsF un po' atipico: quattro scenari di gestione dell'informazione, nelle sue fasi di uso e di produzione, che nel loro complesso riflettono le non-evitabili, perché molto reali, situazioni di navigazione a vista, proprio là dove l'informazione sembra, o dovrebbe, essere perfettamente definita e disponibile. Navigare a vista per essere appropriati Invitando chi è interessato a seguire il percorso dell'editoriale a dare anzitutto un'occhiata agli scenari – al di là della classica bussola, eparine in gravidanza, oncologia, eritropoietina, neuropatie periferiche, se ne propone unadelle possibili letture, che vuol fare della dispersione e della eterogeneità un unico percorso di accompagnamento nelle pratiche di tutti i giorni. Bussola Conferma che i contenuti formali delle registrazioni e del mercato sono sostanzialmente irrilevanti. Se ne può tranquillamente prescindere in termini di "aggiornamento migliorativo". Resta lo stupore, ed il dispiacere, di dovere prendere-perdere il tempo per valutare, con tecniche previste per una documentazione rigorosa, realtà che non lo meritano. Eparine in gravidanza E' lo scenario più lungo ed esplicito, perché il punto di partenza è una persona reale: un "caso" con un bisogno concreto di risposte. Tutti gli attori previsti – prescrittori, uffici che verificano la legittimità/obbligatorietà delle indicazioni ufficiali e delle condizioni di concedibilità del farmaco, esperti e centri specialistici clinici e di informazione- entrano in gioco. In sequenza ed intrecciandosi. Ognuno svolge in modo appropriato il suo ruolo. Con ovvi problemi di tempi. Tempo del controllo delle "evidenze", tempo che si confronta con competenze, quello "dovuto" delle considerazioni burocratiche-contabili, tempo possibile ma non obbligatorio del buon senso. Il risultato è quello di un "frattempo", nel quale vive il caso clinico, una persona reale, ed il suo bisogno. La "soluzione del caso" la si ritrova nello scenario. E' quella giusta? Qual è la epidemiologia di queste navigazioni a vista? Chi se ne fa carico? Oncologia Lo scenario è stato ripreso più volte su queste pagine, ma è permanente nella realtà delle pratiche. Le "novità" oncologiche come quelle evocate sono [quasi] tutte registrate con una tempestività che non sembra ammettere eccezioni. L'ufficialità del riconoscimento delle "evidenze" non elimina la constatazione, o almeno il sospetto, che, di fatto, si tratta (spesso? per lo più?) di "sanatorie a priori" di situazioni che sarebbero, in tempi normali, al massimo produttrici di "indicazioni informali": concesse per bisogni certi, ma che corrispondono ad evidenze incerte di benefici clinicamente rilevanti, e a carichi certi di effetti collaterali (anche economici), che si giustificano con l'assenza di risposte migliori. E' la medicina (e la legislazione) che è off label rispetto ad una cultura complessiva, dei pazienti e dei curanti, che non sa come gestire il diritto di chi ha bisogni reali di essere "preso in carico": ma sempre e solo con farmaci? "Navigare a vista" è obbligatorio? Forse si. O forse no. Forse – e l'incertezza è reale – una pratica terapeutica oncologica strutturalmente off label è una scelta corretta. O almeno potrebbe esserlo se fosse un esercizio permanente di non-arroganza: per fare del proprio status di off label un lavoro di ricerca condiviso, tra pazienti e clinici, in vista di una cultura che si preoccupa di "render conto" di come vanno a finire tutte queste storie di "navigazioni a vista": per sapere e valutare responsabilmente, quanti arrivano ad una meta, e quando, ed in che condizioni. Così che l'off label diventi una appropriatezza diversa: non di verifica concentrata sul momento della prescrizione, ma sui risultati, qualitativi e quantitativi. I "principi" di questa esigenza erano stati (qualche tempo fa) uno dei punti forti di una gestione della politica farmaceutica che cercava di far coincidere l'assistenza-nell'incertezza con una ricerca "controllata". Ma non si trovano – né nella letteratura sempre abbondante di "novità", né nei dati amministrativi – molte tracce di una navigazione che, attraverso approssimazioni, definisce percorsi meno empirici. Eritropoietine Capitolo ormai antico. Faceva parte delle navigazioni con rotte sicure: bussole ben definite da dosi, livelli di riferimento di indicatori biologici, indicatori certi di tipo "qualità della vita", per tante eterogenee condizioni cliniche. Qualche tempo fa – ma le preoccupazioni e le incertezze erano state sopite/smussate, nella letteratura, e ancor più nelle pratiche – la certezza delle bussole e degli indicatori era stata messa in discussione, con aggiustamenti, a vista, in alcune linee guida. Che cosa capiterà dopo questa evidenza "affidabile" (per la numerosità e la rigorosità del protocollo) di un'assenza di beneficio, sia di quantità che di qualità di vita e di una solida documentazione di un (piccolo?) eccesso di rischio (clinicamente non banale, visto che si tratta di accidenti cerebrovascolari)? L'editoriale di accompagnamento sembra tranquillo: è stato fatto un buon lavoro. Per ora il silenzio sulle implicazioni sembra la consegna. Come è successo "nel frattempo" (questo tempo riservato ai pazienti non è mai considerato con troppa preoccupazione, pur toccando molto i loro diritti, a sapere e ad essere soggetti e non oggetti di prescrizioni) alle popolazioni esposte ad antidepressivi e ad antipsicotici atipici. Navigazioni a vista? Inevitabili? Affidate al buon senso degli aggiustamenti di raccomandazioni di società scientifiche? che magari chiedono ri-verifiche con nuovi trial, con altre popolazioni, e/o altri end point? per i diritti-bisogni di chi? Neuropatie periferiche La rivista che annuncia "un passo in avanti" è autorevole. Le evidenze non lo sono altrettanto, visto il contesto più generale dove è sempre bene collocare i risultati di un trial. Non ci sono (ancora) "indicazioni" ufficiali. "Frattempo" di navigazioni a vista? I bisogni certo riguardano più pazienti e molte più situazioni di cura delle poche decine di pazienti inclusi, lungo un "frattempo" di 4 anni, perché in un solo centro. Ci saranno "indicazioni obbligatorie" di ricerca, o di registrazione? Domanda simile a quella formulata in modo autorevole per un altro grande capitolo, come quello delle broncopatie croniche ostruttive? Ma che fine avrà fatto quella raccomandazione che sembrava così ovvia e certa per la sede in cui si era espressa (New England Journal of Medicine), e per le ragioni portate? Buone notizie Per concludere, l'Unione Europea sembra aver deciso di spostare le competenze del settore farmaceutico dall'ambito dei prodotti commerciali, a quello della salute pubblica. La richiesta pressante perché ciò succedesse data ormai da molti anni. Corrisponderà ad un revival di sperimentazioni orientate nel senso del decreto ministeriale italiano del 2004, che mirava proprio a rendere adottabili le aree di "navigazioni a vista" da parte di ricercatori indipendenti (finanziati "pubblicamente", cioè in modo trasparente: da pubblici e/o privati)? Si prenderà sul serio l'allarme-denuncia (tanto ripetuto, ma ora anche ben documentato, www.Plosmedicine.org) di evitare che l'appropriatezza della procedura di controllo soffochi "l'appropriatezza" delle ricerche, non sui farmaci, ma sui bisogni? Quanto succede in Italia non sembra promettere tempi favorevoli. Ma di questo si parlerà un'altra volta. Informazioni sui Farmaci, Anno 2009, n. 5 |