La notizia
È di quelle che fanno grandi titoli, soprattutto in estate, ma per durare; annunciate nei quotidiani in prima, per occupare intere pagine all'interno, con tanto di cifre, foto, mappe; rilanciate nei telegiornali di prima serata; riprese nell'uno o nell'altro dei "varietà" dedicati alla medicina e alle sue priorità: "gli obesi sono più numerosi dei denutriti". La "scoperta" è di uno studio statunitense; lo riprende l'OMS, che si dice molto preoccupata di questa "epidemia globale". E alle immagini di bambini africani morenti per fame in una delle tante guerre o carestie, o nella ripetitività silenziosa del non-avere-tempo-diritto di vita nel quotidiano, si intrecciano sequenze di giovani e meno giovani che si portano in giro il loro carico di varia obesità.
Per dare ancor meglio l'idea che la cosa è seria, documentata, degna di essere assunta come un compito ed un campo di intervento, l'informazione è corredata anche dalle opportune quantificazioni: obesi battono denutriti per 1 miliardo a 800 milioni, oppure di una differenza del 20%; le persone gravi per sovrappeso sono 300 milioni. E dalle pagine agostane dei giornali (la scelta è libera, tutti ne hanno parlato) l'allarme si propaga e viene "scientificamente" dibattuto in uno dei più importanti, e tanto più prestigiosi perché lontani, congressi scientifici, a Sydney. L'"indice di massa corporea", di cui si riporta per l'ennesima volta la formula e la sigla -BMI- è pronto per misurare (con le sue oscillazioni "globali") la direzione, ed il grado di pericolo, per la salute del mondo, dell'Italia, dei singoli...
Note a piè pagina
Che l'obesità sia un problema non c'era dubbio: già molto prima della scoperta.
Tutti sanno/riconoscono che si tratta di qualcosa che è legato agli "stili di vita": dalla sedentarietà, al contenuto dei cibi, a .
Le variabili incluse nei modelli di stile di vita sono le più diverse; definite con margini ancor più differenziati di approssimazione, pretendono di applicarsi in tutti i paesi, con la stessa affidabilità: dalle metropoli degli USA, all'Inghilterra, alla Cina, all'India, a noi, a chi ha troppo poca "coscienza" di avere una vita, per preoccuparsi di sceglierne lo stile.
E' in corso, ormai da tempo, un'operazione importante, culturale, di ricerca, mediatica, che cerca di collegare stili di vita, metabolismo, genetica, medicina, ponendo ed eludendo l'antica domanda: nei rapporti causali tra quelle variabili, viene prima l'uovo o la gallina? Chi deve giocare l'uno o l'altro ruolo?
Nel frattempo, per il mitico logo - BMI - non corrono tempi felici, ci si chiede addirittura se non sia opportuno metterlo in onorata pensione: una "scoperta", parallela a quella che ha fatto notizia, gli ha tolto credibilità scientifica1.
Corsi e ricorsi
La domanda di fondo è: a chi appartiene l'obesità? Il problema non è evidentemente banale in un tempo-mondo che definisce la propria civiltà in termini di proprietà (intellettuale? finanziaria?), fette di mercato, diritti assicurativi, competenze gestionali. E' un capitolo della medicina? È un fall-out del "progresso"? È...
Senza suscitare emozioni mediatiche, una delle guerre (N.B. il termine è "tecnico", non esagerato, anche in contesti-tempi non certo teneri come quelli che hanno visto il bombardamento del Libano) di proprietà a proposito di obesità è finita con la riconferma che gli stili di vita (almeno per l'alimentazione) sono di rigorosa competenza dell'industria alimentare2. Auspici, raccomandazioni, prescrizioni di salute pubblica sono una buona cosa, vengono recepiti, ma sono troppo "soft" per i dati "hard" del mercato. E si sottolinea, quasi per dare più serietà all'affermazione: in fondo, il bilancio solo di propaganda di solo 2 delle grandi (non delle più grandi!) industrie alimentari, è maggiore di tutto il budget dell'OMS!
Coerentemente con questa strategia di guerra (e con il "paradosso" della sua politica, che, per ragioni di sicurezza, ha chiuso Heathrow, inventando l'allarme rosso globale preventivo, basato sulla rigorosa assenza di prove), l'Inghilterra introduce un altro "paradosso": istituisce il Ministero della fitness per combattere il rischio mortale dell'obesità, e diminuisce contestualmente le risorse dedicate alla prevenzione e all'informazione3.
Che la ricorrente quantificazione e pubblicizzazione medica dell'obesità sia un modo per dare l'idea di prenderla sul serio, così da staccarla dall'essere indicatore di problemi-fattori di rischio che con la medicina e la sanità non hanno nulla da spartire, ma che non si possono, e perciò non si devono modificare4? E che l'"informazione gridata" ai quattro venti sia una strategia di pubbliche relazioni, che attende e prepara soluzioni "mediche" a valle, con farmaci un po' più credibili di quelli attualmente disponibili5,6?
Qual è la traduzione, magari meno linguisticamente tecnica ma più reale, del raffinato nuovo termine di "mongering", che qualifica, e con ciò conferma, l'appartenenza alla medicina di problemi che chiedono interventi di civiltà? Conflitto di interessi, manipolazione, frode perseguibile, disinformazione colpevole, connivenza?
Novità
La vera, intollerabile, novità è l'associazione (non sconfessata con decisione neppure dall'OMS!) tra obesità e denutrizione. E' il vero "mongering" mediatico, che vede una crescente alleanza tra la medicina-epidemiologia clinica e la politica-economia. Come dire: l'obesità (con la scusa che c'è anche nei paesi sottosviluppati) è più importante, affrontabile, adottabile (con investimenti di cui non si chiede la fondatezza EBM), di quella vecchia, obsoleta, medicalmente inqualificabile condizione che è la fame. Con l'arroganza ulteriore - e tristissima - di far credere che le proiezioni epidemiologiche sono in grado di quantificare in modo affidabile le differenze, in un mondo dove è noto che non si sanno ancora, affidabilmente, contare i nati ed i morti, riassorbiti negli indicatori apparentemente più sofisticati (!) dei DALY (disability adjusted life years); né quelli affogati (magri? obesi?), per centinaia, anche solo in questa estate tra Mediterraneo e Atlantico, perché non-obbedienti al monito di non sfidare-provocare l'Europa.
Non sono a favore di nuove diagnosi-etichette e perciò guardo con sospetto anche "mongering". Come nella macro-società, la medicina "aggiusta" la realtà: invece di chiamare le cose per nome5, trasforma le diseguaglianze socioeconomiche6,7,8, o la impotenza-ignoranza di fronte alla storia, in fattori medici "noti"8,12,13, anche se questi rimandano alla domanda su uovo o gallina. Vecchio (sporco? folkloristico?...) gioco delle tre tavolette.
La focalizzazione di tanti dei contributi "scientifici" appena citati sulle conseguenze psico-comportamentali dei disastri naturali e delle guerre (più o meno proibite con armi "proprie" o improprie: un editoriale diLancet, simmetrico a quello della referenza 2, è un buon pro-memoria)14, sembra particolarmente curioso e suggestivo, per il suo richiamo ad un classico capitolo del "disease mongering", che è la depressione-che-non-risponde-specificamente-agli-SSRI. Quali sono, infatti, le scoperte dei contributi citati? a) chi è stato vittima-non-esposta-in-modo-fatale a guerre e disastri è più a rischio di disturbi psichici di chi non lo è stato; b) tanto più gravemente è stato esposto tanto più, e più a lungo sta male e "consuma" DALY; c) è difficile sapere che fare, e costa molto seguire persone così mal definibili; d) sarebbe bello aver risorse per non lasciarle troppo sole, ma non ci sono e le si lasciano sole.
Come quando la "specialità" dei "nuovi" antidepressivi si "scopre" sostanzialmente uguale (salvo che nei costi, e nella iatrogenesi culturale) al placebo.
E' giusto ricordare che la "parzialità" delle citazioni bibliografiche è dovuta al fatto di averle rigorosamente limitate a quelle incontrate, senza cercarle nella "letteratura estiva" (agosto, con deviazioni di + 1 settimana a luglio-settembre).
Non sembra probabile che gli articoli citati che documentano impatti di salute pubblica almeno comparabili all'obesità "buchino" la cronaca, per divenire eventi: anche se la loro pubblicazione è su riviste ancor più prestigiose di quella da cui questa nota è partita.
Bibliografia 1. Franzosi MG. Should we continue to use BMI as a cardiovascular risk factor? Lancet 2006; 368:624-5. 2. Neste M. Food industry and health: mostly promises little action. Lancet 2006; 368:564-5. 3. Wilkinson E. The UK's public health paradox. Lancet 2006; 368:831-2. 4. Adams KF et al. Overweight, obesity, and mortality in a large prospective cohort of persons 50 to 71 years old.N Engl J Med 2006; 355:758-60. 5. Gadde KM, Allison DB. Cannabinoid-1 receptor antagosnist, rimonabant, for management of obesity and related risks. Circulation 2006; 114:974-84. 6. Singh GK, Siahpush M. Widening socioeconomic inequalities in US life expectancy, 1980-2000. Int J Epidemiol2006; 35:969-79. 7. Dorling D. Commentary: the fading of the dream: widening inequalities in life expectancy in America. Int J Epidemiol 2006; 35:979-80. 8. Kuper H et al. Psychosocial determinants of coronary heart disease in middle-aged women: a prospective study in Sweden. Am J Epidemiol 2006; 164:349-357. 9. Hashemian F et al. Anxiety, depression, and posttraumatic stress in Iranian survivors of chemical warfare.JAMA 2006; 296:560-6. 10. Thienkrua W et al. Thailand post-tsunami mental health study group. Symptoms of posttraumatic stress disorder and depression among children in tsunami-affected areas in southern Thailand. JAMA 2006; 296:549-59. 11. Vasterling JJ et al. Neuropsychological outcomes of army personnel following deployment to the Iraq war.JAMA 2006; 296:519-29. 12. Hotopf M, Wesswly S. Neuropsychological changes following military service in Iraq. JAMA 2006; 296:574-75. 13. Silove D, Bryant R. Rapid assessments of mental health needs after disasters. JAMA 2006; 296:566-8. 14. MacDonald R. Where next for arms control? Lancet 2006; 368:713-4.