Negli ultimi tempi si parla molto di un esame che, pur facendo parte delle indagini di laboratorio tradizionali, viene generalmente assimilato alla medicina alternativa. Si tratta del Food Intolerance Test che ha raggiunto una grande diffusione grazie ad una massiccia campagna promozionale che ha coinvolto anche laboratori di analisi e farmacie, determinando lo sviluppo di una estesa rete di "punti di prelievo", molto visibili alla popolazione, che ne ha fortemente incentivato l'utilizzo al di fuori del SSN. Questo fenomeno, generato da motivazioni di natura essenzialmente commerciale, ha inevitabili ricadute anche sul SSN, alle cui strutture si rivolgono sempre più spesso pazienti insoddisfatti dell'esame oppure alla ricerca di informazioni e chiarimenti che non vengono forniti in modo esauriente da chi lo esegue. L'articolo si propone di fare chiarezza sull'argomento, evidenziando equivoci e contraddizioni di un test i cui fautori giocano abilmente tra "medicina alternativa" e "scienza" per accrescerne il richiamo, negando poi nei fatti i principi dell'una e dell'altra. Riferimenti tecnici al test
Il Food Intollerance Test consiste nel dosaggio ematico, con metodo ELISA, di anticorpi (immunoglobuline G) per alimenti. Il metodo ELISA è tecnicamente molto affidabile e viene utilizzato di routine in vari esami di laboratorio. Pertanto, l'aspetto "alternativo" non è costituito dalla metodica in sé, ma dal significato che viene attribuito alla presenza delle immunoglobuline G. Il test si basa, infatti, sull'assunto che la loro presenza indichi una "intolleranza" nei confronti degli alimenti a cui esse si legano. Una ipotesi di questo genere non è mai stata finora dimostrata né dalla ricerca immunologica di base né dalla ricerca clinica, pur essendo tale esame presente da molti anni sul "mercato". Complessità del sistema immunitario
Le IgG costituiscono il tipo di anticorpo più abbondante nell'organismo e vengono prodotte dall'apparato immunitario verso molte sostanze con cui esso viene a contatto, tra cui gli alimenti. Si tratta, pertanto, di una risposta del tutto fisiologica. Le IgG (analogamente agli altri tipi di anticorpi: IgM, IgA, IgE, IgD) sono prodotte dai linfociti B, i quali a loro volta interagiscono con i linfociti T negli organi linfatici centrali (timo) o periferici (milza, linfonodi, tessuti linfoidi sparsi nell'apparato respiratorio, digerente, cutaneo). I linfociti T, in particolare i T helper (TH1 e TH2) ed i T regolatori (T Reg), regolano l'attività dei linfociti B incentivando la produzione di anticorpi (TH2) oppure riducendola (TH1). I T Reg a loro volta frenano l'attività dei TH1 e TH2 , inibiscono la sintesi delle IgE, ma stimolano la produzione di IgA ed IgG. Risulta quindi evidente che la produzione anticorpale è regolata da una complessa rete di cellule linfatiche che interagiscono tra loro, influenzandosi reciprocamente (Figura).
Ruolo delle IgG
Le IgG non sono una classe omogenea di anticorpi, ne esistono almeno 4 sottotipi: IgG1, IgG2, IgG3, IgG4. Esistono, inoltre, diversi tipi di recettori che permettono a questi anticorpi di legarsi alla membrana di vari tipi di cellule, tra cui macrofagi, neutrofili, mastociti, cellule NK1,2. Alcuni recettori favoriscono l'attivazione cellulare (Fcg-RI, Fcg-RIII), altri tendono ad inibirla (Fcg-RII). Pertanto, l'attività biologica delle IgG non dipende solo dalla loro specificità (cioè dalla sostanza che sono in grado di riconoscere), ma anche dal loro sottotipo e dal recettore cellulare a cui si legano. In altre parole, una IgG1 specifica per il latte può avere un effetto diverso rispetto ad una IgG4 con la medesima specificità. Inoltre, l'anticorpo, dopo avere legato una proteina del latte, potrà rimanere in circolo in forma solubile oppure legarsi ad un recettore cellulare, e quest'ultimo legame avrà effetto diverso a seconda del tipo di recettore e del tipo di cellula coinvolto. Ne consegue che il semplice dosaggio indifferenziato delle IgG plasmatiche che si legano ad un dato alimento (come avviene nel Food Intolerance Test ) non fornisce alcuna informazione circa il loro effetto. E' possibile che in certe condizioni alcuni sottotipi di IgG si correlino ad allergia alimentare, come suggeriscono alcuni lavori sperimentali3,4, ma si tratta di ipotesi ancora tutte da verificare, non utilizzabili a livello clinico. Anche le segnalazioni di un ruolo delle IgG in altri tipi di allergia (es. da farmaco) sono del tutto sporadiche5. Al contrario, la presenza di IgG ha generalmente un significato protettivo nei confronti della risposta allergica; ad esempio, il beneficio clinico dell'immunoterapia specifica si associa alla presenza di IgG specifiche per l'allergene in causa6. La reazione allergica
L'anticorpo responsabile delle reazioni allergiche, e quindi anche dell'allergia alimentare, non è l'immunoglobulina G bensì l'immunoglobulina E (IgE), la cui presenza viene documentata con i test allergologici cutanei o con il dosaggio ematico (con metodo ELISA o radioimmunologico). La presenza di IgE per un determinato allergene non è sufficiente a determinare i sintomi dell'allergia, che si manifesta solo in presenza di una particolare reattività d'organo (ad es. della cute, dell'apparato respiratorio o di quello digerente) che va valutata tramite l'anamnesi, cioè la storia clinica. Ciò è soprattutto vero nell'ambito dell'allergia alimentare, ove spesso si notano soggetti positivi al test cutaneo (prick test) oppure al dosaggio delle IgE specifiche che non presentano alcun sintomo in seguito all'ingestione dell'alimento stesso. Anche un elevato livello di IgE totali circolanti non è sinonimo di allergia, in quanto può essere semplicemente espressione di una generica predisposizione immunologica (atopia) priva di significato clinico oppure può dipendere da altre cause (es. parassitosi). Di conseguenza, ai fini della diagnosi allergologica l'utilità pratica del dosaggio delle IgE totali (PRIST) è scarsa.
Le linee guida internazionali relative all'allergia alimentare affermano che quando la storia clinica non è chiara, prima di procedere a eventuali restrizioni dietetiche si deve eseguire un test di provocazione, che consiste nel somministrare l'alimento in modo controllato, sotto sorveglianza medica. Per eliminare eventuali condizionamenti psicologici, molto comuni nel caso dell'allergia alimentare, è necessario utilizzare anche un "placebo" (un alimento di aspetto simile ma privo della sostanza sospetta) ed effettuare l'esame "in doppio cieco" (cioè senza che né il medico né il paziente sappiano se è stato somministrato l'alimento oppure il placebo). Pertanto, l'eliminazione di un alimento dalla dieta non deve essere mai decisa solo in base alla positività di un test cutaneo o di laboratorio, ma esclusivamente quando a tale positività si associa una chiara sintomatologia clinica oppure (in caso di storia clinica incerta) un test di provocazione positivo. Quest'ultimo costituisce la procedura diagnostica più attendibile nell'ambito dell'allergia alimentare. L'attendibilità di ogni altra procedura può essere documentata in modo inoppugnabile solamente valutandone il grado di concordanza con il test di provocazione orale in doppio cieco con controllo placebo. A tale proposito va chiaramente detto che sono stati condotti e pubblicati studi che non hanno riscontrato correlazione tra IgG per alimenti e test di provocazione in doppio cieco né aumento di IgG specifiche in soggetti con intolleranza alimentare confermata dal test di provocazione orale7,8. Questi studi sono stati sistematicamente ignorati dai sostenitori del Food Intollerance Test. Le prove "scientifiche" a favore del Food Intolerance Test
Di recente è stato fortemente pubblicizzato uno studio in doppio cieco che ha confrontato l'efficacia di una dieta basata sul dosaggio delle IgG con quella di una dieta "placebo" (eliminazione di alimenti diversi rispetto a quelli positivi al test) in una casistica di pazienti affetti da colon irritabile9. Considerata l'enfasi con cui tale studio è stato divulgato (tra i tanti esempi si può citare una brochure della ditta Innovares in cui si afferma che: "Per la prima volta un test sull'intolleranza alimentare viene valutato scientificamente") è opportuno analizzare in dettaglio i risultati. Nello studio, 150 pazienti sono stati randomizzati alla dieta specifica (gruppo A) o al placebo (gruppo B); l'effetto della dieta è stato valutato per mezzo di un questionario a distanza di 4, 8 e 12 settimane. Nel gruppo A, 24 pazienti hanno abbandonato la dieta (11 perché troppo rigida) e 65 hanno completato i questionari. Nel gruppo B la dieta è stata abbandonata da 13 pazienti (per motivi vari) ed i questionari completati da 66 pazienti. Dopo 12 settimane, il 67,2% dei pazienti del gruppo A non riferiva alcuna variazione dei sintomi (vs. 71,2% nel gruppo B); il 28,1% riferiva un miglioramento significativo (vs. 16,7% nel gruppo B) ed il 4,7% un peggioramento significativo (vs. 12,1% nel gruppo B). Nel complesso, nei pazienti del gruppo A il miglioramento dei sintomi è stato superiore del 10% rispetto al gruppo B. Questi dati indicano in primo luogo che nella maggior parte dei soggetti trattati (sia con dieta A che con dieta B) non vi è stata una variazione dei sintomi; in secondo luogo che il placebo esercita un effetto non trascurabile; infine che l'entità del maggiore beneficio della dieta "terapeutica" rispetto alla dieta "placebo" è molto modesta e difficilmente percepibile nella vita quotidiana. Gli stessi autori concludono: "la dieta di eliminazione basata sugli anticorpi IgG potrebbe essere efficace nel ridurre i sintomi del colon irritabile e merita di essere oggetto di ulteriore ricerca biomedica". Poche settimane dopo la pubblicazione di questo studio (in assenza di ulteriori conferme sperimentali) è stato commercializzato un "kit" che consente l'autoprelievo di sangue e l'invio dei campioni da parte del paziente ad un noto laboratorio di analisi, che effettua il dosaggio delle IgG ed invia quindi gli esiti a domicilio al costo di 37 Euro (screening preliminare) oppure, in caso di screening positivo, di 359 Euro (esame completo). E' interessante notare come gli esiti totalmente negativi siano una assoluta eccezione per questo tipo di dosaggio e sia quindi molto difficile ottenere uno screening negativo. Curiosamente il kit porta lo stesso nome della città in cui è stata condotta la sperimentazione (IgG YORK TEST), facendo emergere immediatamente il collegamento tra questa ed il suo immediato sfruttamento commerciale. L'importanza dei termini
Da ultimo il problema della terminologia, aspetto di per sé non trascurabile per lo scambio di opinioni scientifiche e per una corretta divulgazione dei dati della ricerca.
L'allergia alimentare può essere immediata (IgE mediata) oppure ritardata (es. gastro-enteropatie croniche, dermatiti eczematose croniche). In questo secondo caso non sono responsabili anticorpi, ma cellule (linfociti, macrofagi, ecc.) e si parla di allergia cellulo-mediata. Quando una reazione avversa ad alimenti avviene con un documentato meccanismo immunologico si può parlare di allergia alimentare (IgE-mediata o cellulo- mediata). In tutti gli altri casi, in cui il meccanismo immunologico è assente (es. difficoltà digestive per deficit enzimatici) o non è stato comunque evidenziato, si deve parlare di intolleranza alimentare.
Il Food Intolerance Test si pone, quindi, in netto contrasto con i dati scientifici. I suoi fautori sostengono che il test non si applica all'allergia alimentare (IgE mediata), ma all'intolleranza alimentare che sarebbe, a loro dire, una reazione ritardata IgG mediata. Questa affermazione è da respingere per un motivo sostanziale (la ricerca non fornisce indicazioni in tal senso) ed anche dal punto di vista terminologico: se si tratta di reazione immunitaria non si deve parlare di intolleranza ma di allergia e non è corretto parlare di allergia ritardata IgG mediata, in quanto il meccanismo noto dell'allergia ritardata è quello cellulo-mediato. Dal punto di vista scientifico la distinzione tra allergia ed intolleranza alimentare è netta. Un uso inappropriato (o interscambiabile) dei termini genera una confusione che può essere strumentalmente utilizzata a fini commerciali. Conclusioni
Dalle considerazioni fatte emergono nettamente l'inconsistenza delle basi scientifiche del Food Intolerance Test e le contraddizioni, terminologiche e concettuali, in cui incorrono i suoi sostenitori. L'aspetto di gran lunga più pericoloso di questo tipo di esame è quello di suggerire restrizioni dietetiche senza una valutazione clinico-anamnestica del soggetto, il che contraddice palesemente proprio il principio di forza della medicina alternativa rispetto a quella tradizionale, cioè la valorizzazione del rapporto medico-paziente. Non esiste alcun esame di laboratorio in grado di valutare la presenza di una allergia o intolleranza alimentare prescindendo dalla storia clinica. Nel caso del Food Intolerance Test, i pazienti ricevono molto spesso indicazioni dietetiche "per corrispondenza", per di più basate su di una metodica priva di validazione scientifica. L'etica professionale ed il rispetto del paziente non lo possono consentire. Bibliografia 1. Ravetch JV, JP Kinet. Fc receptors. Ann Rev Immunol 1991; 9: 457. 2. Fridman WH et al. Structural bases of Fcg- receptor functions. Immunol Rev 1992; 125: 49. 3. Vance GHS et al. Ovalbumin-specific immunoglobulin G and subclass responses through the first 5 years of life in relation to duration of egg sensitization and the development of asthma. Clin Exp Allergy 2004; 34:1542-9. 4. Shek LPC et al. Humoral and cellular responses to ow milk proteins in patients with milk-induced IgE-mediated and nonIgE-mediated disorders. Allergy 2005; 60:912-9. 5. Madero MF et al. IgG4-mediated allergic reaction to glargine insulin. Allergy 2006; 61:1022-3. 6. Strait et al. Immunotherapy mechanism. J Clin Invest 2006; 116:833- 41. 7. Niggemann B, Gruber C. Unproven diagnostic procedures in IgE-mediated allergic diseases. Allergy 2004; 59: 806-8. 8. Beyer K, Teuber S. Food allergy diagnostics: scientific and unproven procedures. Curr Opin Allergy Clin Immunol 2005; 5:261-6. 9. Atkinson W et al. Food elimination based on IgG antibodies in irritable bowel syndrome: a randomized controlled trial. Gut 2004; 53: 1459-64.