Questo numero di IsF e' certamente atipico per contenuti e struttura: appare quasi come una monografia concentrata sul tema ricordato nel sottotitolo, ed e' stato organizzato con la contrapposizione esplicita di tre modalità informative:
da una parte un contributo "classico", proposto da clinici specialisti che riprendono, sottolineandone i punti essenziali, le linee guida relative alla broncopneumopatia cronico-ostruttiva (BPCO) e all'asma, che si sono via via aggiornate lungo gli anni consolidandosi come quadro di riferimento per le pratiche diagnostico-prescrittive di specialisti e della medicina generale;
il commento alle linee guida è affidato non ad un testo che entra nel merito del valore "normativo" e/o della qualità complessiva delle raccomandazioni fornite e della loro coerenza o meno con i criteri EBM, ma ad un percorso epidemiologico attraverso i dati ricavati da database amministrativi, che propongono profili di popolazioni di fatto assistite-trattate per BPCO;
il terzo modulo [in]formativo e' costituito da un caso clinico, che riguarda una patologia respiratoria acuta, come la bronchite, che non ha ricevuto certo tutta l'attenzione dedicata a BPCO e ad asma, ma che è una componente certo più comune soprattutto della pratica della MG.
La scelta di questa articolazione di materiali mira a riprendere, e ad illustrare didatticamente, un tema ben conosciuto ai lettori di IsF, ma che ricorre come un interrogativo di fondo nella letteratura (non solo certo quella che riguarda le patologie respiratorie): quanto e come le linee guida, più o meno ben fatte, sostanzialmente derivate da sperimentazioni cliniche controllate che hanno come oggetto principale la valutazione di trattamenti farmacologici mirati ad una patologia indice, ben delimitate in termini di criteri di inclusione ed esclusione di pazienti, possono essere considerate uno strumento di riferimento per le popolazioni reali di pazienti che sono portatori, anche, ma non solo, della patologia indice, e che non sono compatibili con la logica di "esclusione" praticata negli RCT, in quanto per tutte/i le/i pazienti si devono assumere decisioni terapeutiche e criteri di valutazione di efficacia e di sicurezza?
Rimandando ai brevi commenti che guidano alla lettura dei dati per una comprensione più diretta dei contenuti specifici dei moduli b) e c) è sufficiente in questa sede (ri)-proporre una riflessione complessiva.
Le popolazioni assistite sono sostanzialmente diverse da quelle sperimentali. Il fatto è noto da sempre. Ma da sempre sono anche note, e trascurate, le sue conseguenze. Le linee-guida parlano di un dover-essere: le popolazioni reali chiedono di farsi carico dei bisogni concreti, che hanno un rapporto difficile con il dover essere. I dati epidemiologici non entrano nel merito della qualità-appropriatezza, trasferibilità dei comportamenti diagnostico-terapeutici ""raccomandati", perché mettono in evidenza un "attrito" più di fondo: le raccomandazioni non incrociano i loro destinatari, le popolazioni, per la loro variabilità, soprattutto rispetto all'età e alle co-morbidità, e per i loro contesti di cura.
L'epidemiologia del quotidiano assistenziale propone la possibilità concreta, per le ASL e per i singoli medici, di non insistere sulla riproposizione di ciò che è, spesso molto parzialmente, noto in linee guida poco rappresentative: meglio e più facile, confrontarsi con ciò che si fa nelle situazioni complesse (e/o per le quali il giudizio medico deve esprimersi in assenza di direttive precise) e soprattutto monitorare in modo regolare ciò che succede alle popolazioni (e pazienti) a diverso profilo di rischio, così da creare condizioni di aggiornamento-aggiustamento concreto di risposte direttamente trasferibili.
Nel caso specifico della BPCO (data la sostanziale povertà di prove basate su evidenze solide delle linee guida) si ripropone ancora una volta la necessità di considerarla complessivamente come area di ricerca nel senso più forte del termine che sia di tipo osservazionale in una logica di outcome, o di tipo [semi]sperimentale, per verificare ad esempio se e quanto le strategie di riabilitazione (poco presenti nei trial, e soprattutto, quanto disponibili nell'assistenza con competenze e risorse adeguate?) permettono di integrare-modificare i profili di efficacia dei farmaci (i cui risultati sono tra l'altro su un periodo breve per una patologia cronica).
Vale, sempre di più, la proposta - più volte fatta, e solo parzialmente e con fatica praticata, ad esempio con lo studio in corso sulla depressione in MG - di far evolvere la rete dei MMG da una funzione di lettori-utenti di informazioni [inadeguate], ad un ruolo di produttori di conoscenze per le popolazioni ed i casi per i quali l'informazione rimane sostanzialmente incerta. La valutazione della resa dell'[in]formazione - FAD o meno - deve essere fatta sul che cosa si fa e su che cosa si produce, e non in termini di apprendimento del "dover essere" generale.
E' in questo contesto di epidemiologia-della-presa-in-carico dell'incertezza e della valutazione dei risultati che si colloca il pro-memoria fornito dal caso clinico sulle situazioni acute (e/o più o meno ricorrenti) di bronchite. Una cultura basata principalmente sulle linee-guida (che spingono inevitabilmente ad adottare "comportamenti medi") rischia di far dimenticare che il contesto applicativo di qualsiasi raccomandazione deve confrontarsi con la flessibilità (e l'intelligenza) con cui nell'ambito dei singoli casi i diversi criteri di probabilità diagnostica e terapeutica devono essere utilizzati. La normatività delle linee guida è (al massimo) un punto di partenza. La [in]formazione deve essere forse soprattutto pro-memoria ripetitivo di prendersi il tempo (per patologie normalmente a decorso breve e benigno come la bronchite, e ancor più per patologie croniche con ricorrenza di riacutizzazioni della patologia indice, e/o delle co-morbidità associate) per considerare le specificità dei singoli casi (soprattutto quelli "non-lineari" rispetto alle attese "medie"). E' in questo apprendimento della capacità di prendere tempo per i casi che ne hanno specificamente bisogno che si manifesta la vera aderenza alle "linee guida". Sono i casi che pongono problemi quelli che impongono di fare "scelte informate", che sono cioè il prodotto di una verifica diagnostico-terapeutica che incrocia diverse, e spesso eterogenee, probabilità. Quando questi casi sono la maggioranza, o una componente almeno importante della pratica, la estrapolabilità dalle linee guida non serve più, e si impone la ricerca (v. sopra).
I casi comuni, o quasi banali, della bronchite acuta difficilmente entrano negli interessi della epidemiologia assistenziale (valutativa e propositiva). Come molte altre condizioni a risposta [probabilmente] nota e/o a decorso favorevole, rimangono a rischio di essere gestiti senza prendere tempo, con approssimazione. Le conseguenze non diventano visibili, e sembrano non esserci, né in termini di costi, né di implicazioni per i pazienti. Di fatto, la conseguenza più importante, è culturale: l'abituare/abituarsi ad essere "grigi", a non avere nell'alfabeto della propria cultura, come qualcosa di "normale" ilragionare e decidere (secondo criteri divenuti ormai impliciti) in termini di probabilità, di scelte, di verifica, a partire dalla risoluzione o meno dei casi, se le cose sono andate secondo le attese.
L'accostamento nel dossier di patologie molto "di moda" (certo rilevanti: ma forse soprattutto perché riscoperte come "nuove", pur essendo là da sempre, in quanto associabili a farmaci a più alto costo, e mantenute a bagno-maria in una prolungata penombra informativa per lo - "strano"? - ripetersi di una ricerca "significativa" perché basata su end point surrogati, ma non "rappresentativa" perché lontana dalle popolazioni reali), a situazioni antiche e poco gettonate dalla letteratura e dal mercato non dovrebbe a questo punto risultare una scelta strana: può darsi anche che, pur non essendo particolarmente originale dal punto di vista della "novità" delle notizie, abbia un suo significato informativo più generale, non da disprezzare.
E' un NB. Per chi volesse verificare se e come "linee guida" tanto acclamate e decorate di riconoscimenti solenni (tanto da fregiarsi fin da un loro acronimo di essere un riferimento "gold") non corrispondono poi ad una garanzia assoluta di adeguatezza rispetto ai bisogni, può essere utile la lettura del lungo dossier pubblicato da poco su Lancet a proposito di BPCO (Lancet Sep 1, 2007;370). Vi si ritroveranno, sottese alla organicità delle "revisioni sistematiche", non solo dei trial ma anche della fisiopatologia e della epidemiologia, le stesse domande evocate quando si sottolineava la variabilità delle popolazioni, e lo stesso (certo là più autorevole) invito a considerare questa un'area che solo nella ricerca può sboccare nella appropriatezza.