La valutazione dei risultati dell'assistenza diabetologica
La necessità di uno sguardo diversificato ad un problema complesso
Giorgia De Berardis, Monica Franciosi, Antonio Nicolucci Dipartimento di Farmacologia Clinica ed Epidemiologia, Consorzio Mario Negri Sud, S. Maria Imbaro
Il QuED (Qualità della cura ed Esiti nel Diabete di tipo 2) è un classico esempio di "outcomes research", rivolto a valutare il rapporto esistente fra la qualità dell'assistenza, erogata nelle strutture specialistiche e in medicina generale, ed i risultati ottenuti. Il diabete di tipo 2 ha particolare bisogno di questo tipo di indagini, per la complessità della sua gestione, il coinvolgimento di molteplici figure professionali e la necessità di un'attiva partecipazione del paziente per l'ottenimento degli obiettivi terapeutici prefissati. Da qui l'esigenza di studi valutativi che siano in grado di esaminare con metodi adeguati i complessi problemi di gestione e che tengano in dovuta considerazione i ruoli dei diversi attori. Il QuED ha cercato di fornire una lettura integrata delle problematiche inerenti la gestione del diabete, attingendo le informazioni sia dai clinici partecipanti che direttamente dai pazienti. Rimandando alla bibliografia per maggiori dettagli sul disegno e gli obiettivi dello studio, ci sembra interessante riportare alcuni dati esemplificativi finora emersi, che consentono di evidenziare le enormi potenzialità dell'outcomes research come strumento conoscitivo delle tante realtà assistenziali e come promotore di ricerche future.
I numeri dello studio QuED
Lo studio ha avuto inizio nel marzo 1998 e il reclutamento dei pazienti si è concluso nel dicembre 1999. I pazienti saranno seguiti per 5 anni a scadenza semestrale. Al progetto partecipano 112 medici di famiglia e 114 servizi di diabetologia (per un totale di 211 diabetologi) dislocati su tutto il territorio nazionale. Sono stati reclutati 3.437 pazienti, ai quali è stato chiesto di compilare ogni 6 mesi per 3 anni un questionario che indagava numerosi aspetti riguardanti gli stili di vita, la gestione del diabete, la qualità della vita e l'assistenza ricevuta. A loro volta, i medici partecipanti hanno compilato un breve questionario rivolto ad indagare le loro attitudini/opinioni riguardo la cura del paziente diabetico. L'età media dei pazienti era di 63 anni, i maschi erano il 54%, e la durata media di malattia era di 11 anni. Il 52% dei pazienti aveva 5 anni o meno di scolarità, a testimonianza che la necessità di compilare il questionario non ha determinato una selezione dei pazienti più giovani e con maggiore livello di istruzione.
Il controllo metabolico
I dati derivanti dall'analisi sul controllo metabolico sono efficacemente riassunti dal grafico, che riporta i valori medi di emoglobina glicosilata (HbA1c) nei pazienti arruolati in relazione ai valori target di glicemia a digiuno adottati dai loro medici curanti (diabetologo o medico di famiglia).
Il grafico mostra l'impatto delle attitudini dei medici e degli aspetti organizzativi sui risultati dell'assistenza. Infatti, i livelli medi di HbA1c nei pazienti in studio erano strettamente correlati ai target di glicemia a digiuno dichiarati dai medici. In altre parole, il controllo metabolico dei pazienti seguiti da medici con atteggiamento più "aggressivo" era significativamente migliore rispetto a quello di pazienti seguiti da medici più "permissivi". La differenza media dei livelli di HbA1c fra i due estremi di atteggiamento, pari a 0,8%, si traduce da un punto di vista epidemiologico in una differenza di rischio di complicanze di circa il 30%. Inoltre, in quei servizi di diabetologia nei quali i pazienti non erano seguiti sempre dallo stesso medico nelle diverse occasioni, i livelli di HbA1c non differivano da quelli presentati dai soggetti gestiti dai medici meno aggressivi. Tale riscontro è facilmente spiegabile alla luce dell'estrema variabilità di comportamenti fra medici operanti in una stessa struttura, come chiaramente documentato da questo studio.
A fianco del controllo metabolico, la necessità di uno stretto controllo dei fattori di rischio cardiovascolare è sempre più al centro dell'attenzione come elemento cruciale per la riduzione della morbilità e mortalità nei soggetti con diabete. Lo studio QuED ha consentito di documentare quanto insufficiente sia ancora l'attenzione rivolta a questo problema, almeno per quanto riguarda due fra i più importanti fattori di rischio.
Il controllo pressorio
L'ipertensione rappresenta una delle patologie concomitanti più frequenti nei soggetti con diabete di tipo 2. Nello studio QuED il 50% dei pazienti era definito iperteso dal proprio medico (42% fra gli uomini e 56% fra le donne). Tuttavia, anche fra i soggetti non considerati ipertesi, solo il 43% presentava valori < 140/90 mmhg. Fra i soggetti considerati ipertesi, il dato riguardante i valori pressori è risultato sconfortante: solo il 6% dei pazienti presentava all'ingresso nello studio valori in linea con le raccomandazioni esistenti (< 130/85mmHg), mentre il 50% mostrava valori inaccettabilmente elevati (> o = 160/90mmHg). A tale quadro faceva riscontro una tendenza generale all'utilizzo di un singolo farmaco antiipertensivo o, tutt'al più, dell'associazione di due farmaci. La tabella mostra tuttavia i primi segni di una maggiore attenzione al problema; nel corso di tre anni è infatti aumentato il numero di pazienti trattati con due o più farmaci e parallelamente si è ridotta la quota di soggetti con valori pressori molto elevati. E' interessante notare come sia aumentato il consumo non solo dei farmaci per i quali esistono solide evidenze di efficacia (ACE-inibitori, beta-bloccanti), ma anche di farmaci controversi, quali i calcio-antagonisti, o di più recente commercializzazione (sartani, nuovi alfa-bloccanti).
Il controllo lipidico
Il quadro che emerge dall'analisi del profilo lipidico non è dissimile dal precedente. Due terzi dei pazienti presentavano all'ingresso nello studio valori di colesterolo totale > 200 mg/dl, mentre solo una minoranza (4%) rientrava nei valori suggeriti dalle linee guida (< 150 mg/dl). A fronte di tali valori, solo il 13% dei pazienti risultava in trattamento con ipolipemizzanti. La scarsa aggressività nel trattare questo fattore di rischio è confermata dal questionario ai medici, dal quale è emerso come oltre il 40% di essi tendesse ad iniziare il trattamento solo per valori > o = 240 mg/dl. Anche in questo caso, l'analisi a tre anni dall'inizio dello studio ha evidenziato i primi segnali di una maggiore attenzione. E' infatti raddoppiata la percentuale di soggetti in trattamento e parallelamente si è assistito ad una riduzione dei livelli medi di colesterolo totale e LDL.
L'automonitoraggio della glicemia
Uno degli aspetti più dibattuti e che vedono maggiormente coinvolto il paziente nella gestione della malattia è rappresentato dal monitoraggio domiciliare della glicemia. Lo studio QuED ha permesso di valutarne l'impatto non solo sul controllo metabolico, ma anche su diversi aspetti della qualità della vita. Il 17% dei pazienti eseguiva l'automonitoraggio almeno una volta al giorno, mentre il 38% dichiarava di non utilizzare mai questa pratica. Nei soggetti trattati con insulina e in grado di gestire autonomamente la terapia, modificandola in base ai valori di glicemia, l'automonitoraggio giornaliero si associava ad un miglior controllo metabolico (valori di HbA1c di 7,5%, contro un valore medio di 8,3% nei soggetti che non erano autonomi nella gestione della terapia). D'altra parte, nei soggetti non trattati con insulina, l'automonitoraggio non si associava ad un miglior controllo metabolico ed era correlato ad una peggiore qualità della vita.
Nei soggetti non trattati con insulina, ad una maggiore frequenza dell'automonitoraggio corrisponda una minore accettazione della malattia (stress), la percezione di maggiori disagi, più alti livelli di preoccupazioni per lo sviluppo futuro di complicanze ed una sintomatologia depressiva più grave.
Disfunzione erettile e depressione: due aspetti importanti ma scarsamente indagati
Lo studio QuED ha consentito di indagare due problemi tanto frequenti ed importanti per il paziente, quanto trascurati dai medici curanti. Nella popolazione maschile, la disfunzione erettile rappresenta una delle complicanze più caratteristiche del diabete. All'ingresso nello studio, un terzo dei pazienti riferiva frequenti disturbi di erezione, mentre solo il 42% dichiarava di non avere alcun problema. La presenza di problemi sessuali si associava ad una percezione peggiore dello stato di salute, ad una scarsa accettazione della malattia e ad un sostanziale incremento della prevalenza della sintomatologia depressiva. L'interazione fra disfunzione erettile e depressione è particolarmente importante, in quanto è stato ipotizzato che la loro coesistenza possa essere associata ad un più elevato rischio di complicanze cardiovascolari.
A fronte del grosso impatto sulla qualità di vita dei pazienti, la disfunzione erettile è risultata poco esplorata; infatti il 63% dei pazienti riferiva che il proprio medico non aveva mai indagato tale problema.
Una situazione analoga è stata evidenziata per quanto riguarda la sintomatologia depressiva, che è risultata estremamente comune nel campione in studio: il 49% dei soggetti riferiva infatti sintomi depressivi gravi e la percentuale saliva al 62% fra le donne. Se e in che misura la sintomatologia depressiva possa influire sulla gestione della malattia e sulla prognosi a lungo termine non è ancora del tutto chiaro. I risultati dello studio QuED documentano la grossa diffusione del problema, evidenziando al tempo stesso la tendenza a porre in secondo piano aspetti che potrebbero invece costituire importanti indicatori delle condizioni cliniche generali, oltre a rappresentare un aspetto fondamentale dal punto di vista dei pazienti. Questi dati sottolineano l'importanza dell'outcomes research nell'evidenziare le aree più problematiche o più trascurate dell'assistenza, e per questo più bisognose di ulteriori attività di ricerca. Le analisi longitudinali dello studio, alla fine dei 5 anni di follow-up, consentiranno inoltre di ottenere ulteriori informazioni riguardo il rapporto fra modalità assistenziali e risultati clinici "hard" (sviluppo di complicanze e di eventi cardiovascolari, mortalità).
Bibliografia 1. Belfiglio M, De Berardis G, Franciosi M, Cavaliere D, Di Nardo B, Greenfield S, et al. The QuED Study Group-quality of care and outcomes in type 2 diabetes. The relationship between physicians' self-reported target fasting blood glucose levels and metabolic control in type 2 diabetes. Diabetes Care 2001; 24:423-9. 2. Pellegrini F, Belfiglio M, De Berardis G, Franciosi M, Di Nardo B, Greenfield S, et al. Role of organizational factors in poor blood pressure control in patients with type 2 diabetes. Arch Intern Med 2003; [In press]. 3. Franciosi M, Pellegrini F, De Berardis G, Belfiglio M, Sacco M, Valentini M, Nicolucci A. On behalf of the QuED Study Group Correlates of long-term cholesterol levels in type 2 diabetic patients. Diabetologia 2002; 45(suppl2): A310. 4. Franciosi M, Pellegrini F, De Berardis G, Belfiglio M, Cavaliere D, Di Nardo B, et al. The impact of blood glucose self-monitoring on metabolic control and quality of life in type 2 diabetic patients: an urgent need for better educational strategies. Diabetes Care 2001; 24:1870-7. 5. De Berardis, G., Franciosi, M., Belfiglio, M., Di Nardo, B., Greenfield, S., Kaplan, S. H. et al. Erectile dysfunction and quality of life in type 2 diabetic patients: a serious problem too often overlooked. Diabetes Care 2002; 25: 284-291.