Acido valproico
Negli ultimi 40 anni sono stati eseguiti alcuni trial clinici che hanno suggerito una certa efficacia dell'acido valproico nella mania acuta (Tabella 7). L'acido valproico è apparso più efficace del placebo nel contrastare i sintomi maniacali in tre studi randomizzati in doppio cieco a gruppi paralleli28. Rispetto al litio, invece, uno di questi studi non ha evidenziato differenze di efficacia, mentre un altro ha mostrato la maggiore efficacia del litio. Ulteriori studi clinici controllati non hanno evidenziato differenze di efficacia tra litio, carbamazepina e acido valproico29. Recentemente è stata portata a termine una revisione sistematica della letteratura condotta secondo i criteri metodologici della Cochrane Collaboration. Questo lavoro ha identificato solo 3 studi, per un totale di 158 soggetti, che confrontavano l'acido valproico al litio30. L'analisi dei dati estratti da questi tre studi non era in grado di mettere in evidenza differenze di efficacia né di tollerabilità tra i due composti.
Il più grande ed influente studio clinico controllato sul beneficio della profilassi con acido valproico, che confrontava litio, acido valproico e placebo, ha mostrato che l'acido valproico era vantaggioso rispetto al litio e al placebo in termini di una maggiore durata della fase di mantenimento senza recidive di malattia, e di un migliore controllo degli aspetti depressivi del disturbo31. Per quanto riguarda la terapia di mantenimento, i dati degli studi finora eseguiti non mostrano una maggior efficacia dell'acido valproico rispetto al litio o al placebo nel prevenire episodi maniacali tanto gravi da determinare l'ospedalizzazione, mentre l'acido valproico sembrerebbe più efficace del litio nel prevenire la ricorrenza di episodi tanto gravi da determinare la sospensione dallo studio. Una revisione sistematica32 degli studi che ha valutato l'efficacia dell'acido valproico nella terapia di mantenimento del disturbo bipolare, conclude sostenendo l'assoluta inconsistenza dei dati ad oggi disponibili, suggerendo di mantenere il trattamento con sali di litio al primo posto delle scelte terapeutiche. I pazienti con stati misti e cicli rapidi sembrerebbero tuttavia rispondere meglio all'acido valproico che al litio.
Il trattamento col acido valproico è generalmente ben tollerato anche se questo farmaco si associa a diversi effetti indesiderati lievi e comuni, ed anche ad alcuni effetti indesiderati rari e gravi. Gli effetti indesiderati più comuni includono i disturbi a livello dell'apparato gastrointestinale (nausea, vomito, anoressia, dispepsia), tremori, sedazione, aumento di peso, aumento di appetito, perdita dei capelli ed aumento delle transaminasi33. Altri possibili effetti indesiderati includono ovaio policistico o iperandrogenismo e, raramente, insufficienza epatica irreversibile, pancreatite e trombocitopenia34-38.
Gabapentina
La gabapentina è strutturalmente correlata al GABA. La sua caratteristica saliente dovrebbe essere, teoricamente, l'ottima tollerabilità, anche ad alti dosaggi, in virtù del suo profilo farmacocinetico: non si lega alle proteine plasmatiche, non ha metaboliti, è completamente escreta per via renale e non ha interazioni farmacocinetiche note39.
Solo due studi controllati (Tabella 7) sono stati pubblicati sulla gabapentina nel trattamento del disturbo bipolare, ed entrambi hanno prodotto risultati negativi40,41. Le evidenze che supportano l'efficacia della gabapentina nel trattamento del disturbo bipolare, in monoterapia o in associazione ad altri farmaci, sono deboli. I risultati degli studi sono confusi dalla concomitante somministrazione di altri agenti, nonché dall'eterogeneità e dall'esiguità dei campioni.
I più frequenti effetti indesiderati includono sedazione, vertigini, atassia, diplopia, stanchezza, nistagmo, cefalea, disturbi gastrointestinali ed amnesia. Altri effetti indesiderati, riportati raramente, sono insufficienza renale42, tiroiditi45, incapacità di eiaculare ed anorgasmia.
Lamotrigina
Sebbene si tratti di un farmaco potenzialmente utile nel trattamento del disturbo bipolare, ad oggi i dati di efficacia sono scarsissimi (Tabella 7)43-45. Un ulteriore limite all'utilizzo della lamotrigina è la potenziale induzione di rash cutanei (nel circa 10% dei casi). In aggiunta, essa provoca vertigini, cefalea, nausea, tremore, sonnolenza, astenia, insonnia. Le principali interazioni sono con la fentoina, fenobarbitale, carbamazepina e acido valproico. Sono stati inoltre segnalati, nei pazienti epilettici in terapia con lamotrigina, casi di psicosi con sintomatologia tipo delirium e vivide allucinazioni, nonché reazioni gravi e potenzialmente fatali a carico della cute, tipo la sindrome di Stevens-Johnson e la sindrome di Lyell (necrolisi epidermica tossica). Per minimizzare tale rischio, la lamotrigina andrebbe iniziata con dosi di 25 mg al giorno per la prima settimana ed aumentata di 25 mg al giorno la seconda settimana, per arrivare a 50 mg due volte al giorno nella terza e quarta settimana. La dose può essere aumentata di 100 mg al giorno ogni 1-2 settimane fino a raggiungere un mantenimento di 300-500 mg al giorno.
Topiramato e tiagabina
Nonostante non siano stati pubblicati trial controllati sull'uso del topiramato nel disturbo bipolare, i risultati di sette studi in aperto suggeriscono che il topiramato potrebbe avere effetti terapeutici nelle fasi maniacali e forse anche nei casi refrattari del disturbo bipolare46,47. Dagli studi effettuati finora, inoltre, si è notata una riduzione di peso indotta dal farmaco, che sembra essere evidenziabile dopo poche settimane dall'inizio del trattamento. Altri effetti indesiderati sono parestesie, vertigini, atassia, ansia, disturbi cognitivi e gastrointestinali, calcoli renali. Nel 20% circa dei casi, anziché una riduzione di peso, vi è un aumento ponderale.
La tiagabina ha un assorbimento rapido (1-2 ore) e un'elevata biodisponibilità (circa 100%). E' quasi completamente legata a proteine plasmatiche, è metabolizzata dal fegato ed ha una emivita di 5-8 ore. Questo farmaco è stato studiato nella terapia aggiuntiva del disturbo bipolare refrattario. Gli studi di efficacia sono in fase iniziale. Le evidenze non sperimentali accumulate fino ad oggi suggeriscono che la tiagabina potrebbe causare effetti indesiderati potenzialmente pericolosi quando il dosaggio sia aumentato rapidamente; per questo motivo non è indicata nel trattamento acuto della mania, quando cioè è necessaria una rapida insorgenza della risposta terapeutica.
Conclusioni
Ancora una volta ci si trova a rimarcare le carenze "tipiche" delle sperimentazioni in psichiatria, già viste e sottolineate in altri ambiti clinici e per altre categorie di farmaci48,49. L'esempio degli antiepilettici nel disturbo bipolare rimarca l'assenza di sperimentazioni condotte nei setting tipici della psichiatria, i servizi psichiatrici territoriali e gli ambulatori dei medici di medicina generale, arruolando molti pazienti da seguire per lunghi periodi di tempo e da valutare utilizzando criteri mutuati dalla pratica clinica quotidiana. Sembrerebbe esserci una profonda differenza e contraddizione tra ciò che avviene nella pratica clinica quotidiana, caratterizzata da un grande affollamento di pazienti che si accumulano nei servizi e nelle sale d'attesa e che rimangono in carico per sempre, e ciò che avviene nelle sperimentazioni, caratterizzate dal ricorso alla multicentricità solo per reclutare poche decine di pazienti che, inevitabilmente, si perdono dopo poche settimane di follow-up.
Questa contraddizione è a danno dell'assistenza che, inevitabilmente, tende a considerarsi "altro" rispetto al mondo della ricerca e, in quanto altro, non deve confrontarsi con quest'ultima. Il rischio di un atteggiamento di questo tipo, purtroppo, è quello di essere influenzati nelle proprie scelte terapeutiche non più dai dati scientifici e dalle evidenze, che sono scarse e di basso livello, ma da altre indistinte variabili, meno definibili e più subdole, che hanno a che fare con le mode, le pressioni del mercato, la casualità. Forse, come reazione a questo atteggiamento, bisognerebbe ritornare ad usare i dati della ricerca laddove sono presenti, e a produrli laddove sono assenti.
Nel caso degli antiepilettici, un buon punto di partenza potrebbe essere quello di riconoscere che, ad oggi, alla questione posta in introduzione, ossia capire se gli antiepilettici debbano essere utilizzati al posto del litio nelle fasi acute e nel mantenimento del disturbo bipolare, la risposta, negativa, è evidente. Il litio rimane il trattamento di elezione nelle fasi maniacali acute e nel mantenimento del disturbo bipolare50, ma non perché esso sia il farmaco ideale, semplicemente per il fatto che non vi sono dati di maggiore efficacia o tollerabilità per gli altri farmaci51. La carbamazepina e l'acido valproico dovrebbero essere utilizzati nei casi in cui il litio si dimostrasse inefficace o non tollerato. Quest'ultima affermazione, bisogna rimarcarlo, si basa sul buon senso più che sui dati52: non esistono trial che abbiano dimostrato l'efficacia della carbamazepina o dell'acido valproico nei non responder al litio. Ecco, questo potrebbe essere un buon punto di partenza, quantificare i soggetti che non rispondono al litio o che lamentano importanti effetti indesiderati o per i quali il litio è controindicato, descrivere questi soggetti per capire chi sono e che caratteristiche cliniche e sociali hanno, e descrivere, naturalmente, i trattamenti che ricevono.
Una seconda ipotesi da cui partire potrebbe essere quella di mettere in crisi il ruolo del litio, utilizzando i dati provenienti dagli studi naturalistici per affermare che nella pratica clinica quotidiana i tassi di risposta sono differenti da quelli provenienti dai trial, e i tassi di soggetti con esito negativo sono molto elevati53. Questa posizione, di nuovo, apre la strada ad altre ipotesi di ricerca; per esempio, è possibile chiedersi se l'acido valproico sia più efficace o meglio tollerato del litio, oppure se la combinazione litio più acido valproico conferisca dei vantaggi rispetto ai singoli trattamenti. La risposta a queste domande è in una sperimentazione che non esiste, per lo meno in Italia. Esiste però nel Regno Unito, dove un trial multicentrico, denominato BALANCE, è attualmente in corso proprio per rispondere a queste domande54. Sarebbe bello che anche nei servizi psichiatrici del nostro paese si cominciasse a pensare che fare attività clinica, ossia occuparsi della storia di malattia e dell'esito del singolo paziente, non è affatto diverso dal fare ricerca clinica, ossia occuparsi della storia di malattia e degli esiti di molti singoli pazienti.
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Informazioni sui Farmaci Anno 2002, n. 6