Farmaci in rotta di collisione: conoscere le interazioni clinicamente rilevanti
Le novità, nell’ambito della scoperta di nuovi principi attivi utili nella pratica clinica, sono in decisa (preoccupante) diminuzione. È ragionevole credere che ogni avanzamento nella ricerca verrà tempestivamente reso noto, magari anche in anticipo sul raggiungimento delle evidenze richieste per una attendibilità scientifica. Al contrario sono decisamente più frequenti i riscontri (sempre preoccupanti) di interazioni tra farmaci già in commercio da tempo o tra cibi e farmaci in grado di avere effetti clinicamente rilevanti per il paziente. Il ritardo di queste scoperte deriva principalmente dalla scarsa attenzione dedicata a questo pur importante settore della conoscenza; prova ne è l’usanza di limitare gli studi di farmacocinetica a soggetti sani in assenza di interferenze con altri farmaci. È ragionevole ipotizzare che l’impegno dedicato alla diffusione di tali conoscenze non riceva la stessa attenzione dagli apparati informativi dell’industria e dai media. Certo: a fronte di numerose potenziali interazioni, è fortunatamente esiguo il numero di casi potenzialmente letali, ma sono tutt’altro che infrequenti situazioni in cui l’azione di un farmaco può essere ridotta in modo importante o ne possono essere incrementati gli effetti avversi. Non dimentichiamo che le conoscenze in quest’area di sapere sono basate su segnalazioni, studi osservazionali, che sappiamo non essere gli strumenti ottimali per affermare la conoscenza. Per mancanza di adeguati finanziamenti, l’accertamento di queste ipotesi spesso si ferma prima della realizzazione degli studi che potrebbero portare ad un sufficiente grado di “certezza”, ma conoscere è ugualmente importante. Con questa rubrica, che vorremmo fatta di notizie utili e/o di segnalazioni puntuali, cerchiamo di accendere i riflettori su quella parte della cultura del farmaco solitamente in ombra ma comunque importante, data la frequenza dell’impiego di politerapie nella nostra realtà assistenziale, soprattutto con l’avanzare dell’età e della fragilità dei nostri pazienti.
Gli inibitori di pompa protonica (IPP) sono tra i farmaci maggiormente prescritti in assoluto e, proprio per la loro asserita funzione “salva-stomaco”, vengono frequentemente associati ad altre terapie con le quali – tuttavia - possono interferire a diversi livelli. Di queste possibili interazioni sappiamo molto poco: i trials clinici di efficacia non sono gli strumenti ideali per lo studio di queste interferenze perché realizzati solitamente su popolazioni selezionate e generalmente in assenza di altri trattamenti. Le segnalazioni da parte dei clinici sono normalmente il primo indizio al quale seguono studi retrospettivi o prospettici anche se non sempre si giunge a conclusioni univoche. La lista delle potenziali interazioni è ovviamente molto lunga ed il riscontro di un’interazione accertata, verosimile o anche semplicemente possibile dovrebbe essere recepita come elemento di conoscenza da tenere in considerazione quando si decide se prescrivere o meno un IPP e per quanto protrarre il trattamento.
Interferenza con l’assorbimento dei farmaci
L’importante aumento del pH gastrico indotto dagli IPP (da 3 a 6 unità) si traduce in una modifica dell’assorbimento dei farmaci e delle sostanze in generale, che richiedono un ambiente acido. Effetti di riduzione nelle curve di assorbimento sono descritti per numerosi farmaci di comune impiego: si riducono mediamente del 60% le curve di assorbimento di antimicotici 1 antibiotici ed antivirali2 ma non sono note le interferenze con la loro azione terapeutica in vivo che rimane una pesante incognita soprattutto nei trattamenti a lungo termine. Minore è la riduzione di assorbimento sul dabigatran (- 30% in trattamento con pantoprazolo) per il quale non sono comunque segnalati problemi sugli esiti clinici3. Una revisione sistematica del 2009 ha valutato gli effetti di terapie antisecretive a base di IPP o anti-H2 sull’assorbimento di altri farmaci somministrati in concomitanza. Tra gli studi randomizzati crossover selezionati, 8 hanno valutato la concentrazione plasmatica di 5 farmaci in seguito a somministrazione di IPP in piccoli gruppi di volontari sani. Sono stati evidenziati: una diminuzione del 94% per atazanavir e del 53% per ketoconazolo; un aumento del 57% per dipiridamolo, un aumento fino al 26% per nifedipina e di circa il 10% per digossina 2. Un esempio importante e ben studiato è l’interferenza con la l-tiroxina fenomeno di facile individuazione e “misura” data la disponibilità dei dosaggi ormonali di conferma. Dosi standard di IPP sono in grado di aumentare le concentrazioni di TSH: il fenomeno è attribuibile all’ interferenza con l’assorbimento della tiroxina. Il trattamento con vari IPP è risultato privo di effetti sui parametri tiroidei in piccoli gruppi di volontari sani4 mentre sono state riscontrate variazioni clinicamente significative in pazienti ipotiroidei ed eutiroidei ai quali veniva somministrata tiroxina5. In pazienti trattati con l-tiroxina a dosi TSH soppressive per patologia iperplastica benigna, il trattamento con 20mg di omeprazolo richiedeva un incremento del 37% della dose originaria di tiroxina per ottenere il medesimo effetto di riduzione del TSH6. A fronte di queste poche segnalazioni disponibili, mancano del tutto dati sulla interazione con l’assorbimento della maggior parte dei farmaci di uso corrente.
Interferenza col metabolismo dei farmaci
Gli IPP interagiscono coi sistemi enzimatici dei citocromi con entità e modalità diverse tra le singole molecole. IPP e altri farmaci possono entrare in competizione essendo entrambi substrati per i sistemi enzimatici con il risultato di potere diminuire il catabolismo e quindi indurre un aumento dell’effetto del farmaco col quale l’IPP entra in competizione: le segnalazioni più frequenti e significative riguardano benzodiazepine, macrolidi, diidropiridine7 e statine (con conseguente miosite)8 anche se quest’area, più complessa dell’interferenza con l’assorbimento, è lungi dall’essere esplorata. Una nota particolare per il clopidogrel che essendo un profarmaco ha la necessità di essere metabolizzato per esercitare la propria azione. Diversi PPI interferiscono coi sistemi enzimatici di attivazione del pro-farmaco. Numerosi studi osservazionali retrospettivi e prospettici hanno evidenziato un incremento degli eventi cardiovascolari nei pazienti trattati con PPI e clopidogrel rispetto ai pazienti trattati con solo clopidogrel (mediamente circa il 20% in più) 9,10. Diversi trials su parametri di aggregazione piastrinica hanno mostrato una riduzione della efficacia antiaggregante del clopidogrel per diversi PPI con l’eccezione del pantoprazolo 11,12. Un RCT molto criticato ha successivamente confutato l’ipotesi della interazione sfavorevole degli IPP con il clopidogrel non mostrando nei pazienti trattati con omeprazolo un incremento di eventi o mortalità 13. Resta comunque l’invito alla prudenza e sia FDA che EMA mantengono le raccomandazioni del 2009 secondo le quali nei pazienti in trattamento con clopidogrel ed ASA gli IPP dovrebbero essere impiegati non di routine ma nei casi effettivamente a rischio aumentato di sanguinamento digestivo.
Interferenze a diversi livelli: l’esempio dei bisfosfonati
I bisfosfonati sono la categoria di farmaci maggiormente prescritta al fine di ridurre il rischio di frattura sia nelle femmine che nei maschi: la loro bassa tollerabilità a livello digestivo è nota e rappresenta la causa principale di interruzione del trattamento; per questo è frequente l’impiego di IPP in associazione ai bisfosfonati orali. Oltre a diversi studi osservazionali che evidenziano un rischio di frattura superiore nei pazienti trattati con IPP rispetto ai non trattati, sono disponibili anche dati che mostrano una perdita di efficacia del trattamento con alendronato nelle persone trattate concomitantemente con dosi standard di IPP. L’effetto sfavorevole degli IPP è dose-dipendente e risulta più marcato nelle popolazioni di età superiore a 70 anni 14. L’associazione bisfosfonati-aumento del rischio di frattura è suggerita essenzialmente da studi osservazionali per cui trarre conclusioni definitive è affrettato, l’effetto sfavorevole sulle fratture può derivare da interferenza con l’assorbimento del farmaco (che richiede un ambiente gastrico acido) o da altre interferenze sull’assorbimento di calcio o di vitamina D. In caso di comparsa di disturbi digestivi durante trattamento con un bisfosfonato orale, gli autori dello studio suggeriscono di passare alla somministrazione di un bisfosfonato parenterale o di impiegare come antiacido un anti-H2, classe per la quale non sono state segnalate interazioni.
HR frattura di femore (95% CI) | |
6088 Pazienti trattati con PPI | 0,96 (0,74-1,24) |
14795 Pazienti non trattati con PPI | 0,62 (0,53-0,74) |
Bibliografia
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11.Gilard M, Arnaud B, Cornily J et al. Influence of Omeprazole on the Antiplatelet Action of Clopidogrel Associated With Aspirin The Randomized, Double-Blind OCLA (Omeprazole CLopidogrel Aspirin) Study. J Am Coll Cardiol 2008; 51:256–60
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Data di Redazione 12/2013