Un metodo semplice, ben validato ed efficace nella scelta dei farmaci analgesici nel dolore neoplastico è quello sequenziale proposto dall'OMS, noto come scala analgesica. Utilizzando questo schema semplice che si basa su alcuni concetti chiave (utilizzo della via orale, somministrazione ad orari regolari, personalizzazione del trattamento) e l'impiego di pochi farmaci (paracetamolo, FANS, codeina, morfina), qualsiasi medico ha lo strumento per riuscire a controllare il dolore nell'80% dei casi. Che questa strategia funzioni lo si evince dal fatto che da quando si è diffusa la cultura delle cure palliative e si è iniziato ad adottare un trattamento del dolore continuato sino agli ultimi giorni di vita, utilizzando anche gli oppiacei, l'indicazione per gli interventi neurolesivi si è notevolmente ridimensionata. È nel restante 20% dei pazienti non responsivi alla morfina orale che il medico incontra particolari difficoltà sia sul piano diagnostico che terapeutico. Per fronteggiare situazioni di questo tipo è indispensabile che il medico ampli il proprio orizzonte delle conoscenze, al fine di stabilire correttamente quando sia più opportuno cambiare farmaco o piuttosto semplicemente considerare una via di somministrazione alternativa. Per quanto concerne quest'ultimo aspetto, una indagine1 ha evidenziato che più del 50% dei pazienti con dolore neoplastico ha richiesto nell'ultimo mese di vita più di una via di somministrazione.
Alternative alla via orale
Mentre risulta abbastanza intuitivo e logico abbandonare la via orale quando per motivi vari questa non è più praticabile (presenza di mucosite, disfagia, nausea e vomito, ostruzione intestinale, malassorbimento, alterazione del sensorio), non altrettanto si può dire per altre situazioni in cui è comunque spesso necessaria una via diversa (esacerbazioni del dolore acute e gravi, il cui controllo richiede un rapido aggiustamento di dose) oppure quando si deve scegliere tra due strategie (cambiare la via o l'oppioide) nei casi in cui la morfina orale non risulti efficace (Tabella 1). Nella pratica clinica si osserva spesso un uso inappropriato delle vie non-orali, o perché non si è in grado di sfruttare al meglio le potenzialità della morfina orale, di cui si dichiara ingiustamente troppo spesso il fallimento, o perché il clinico è attratto da nuove e più sofisticate vie di somministrazione. Inoltre, l'uso corretto delle alternative alla via orale è reso ancora più problematico dalla mancanza di adeguati studi controllati sull'argomento e i pareri degli esperti non sempre convergono.
Via rettale
Costituisce l'alternativa più semplice alla via orale. L'assorbimento delle varie formulazioni di oppioidi impiegati per via rettale può essere condizionato da vari fattori e ciò spiega la notevole variabilità interindividuale della biodisponibilità osservata in vari studi2. Per la presenza di diverse ed estese anastomosi tra la vena rettale superiore che drena verso il sistema portale e le vene rettali medie ed inferiori che drenano verso la circolazione sistemica non è possibile prevedere quanto farmaco possa saltare il filtro epatico. Inoltre, la scarsa quantità di liquido presente normalmente nel retto (3-5 ml) mentre non influenza l'assorbimento di supposte e soluzioni (microclismi), può al contrario rallentare il rilascio del farmaco somministrato in compresse. La presenza di feci e l'alterata integrità della mucosa rettale sono altri fattori in grado di condizionare l'assorbimento di farmaci per via rettale.
La maggior parte delle esperienze cliniche riportate in letteratura sull'impiego degli oppioidi per via rettale riguarda il trattamento del dolore acuto mediante preparati a rilascio immediato sotto forma di supposte (morfina, ossicodone, idrocodone) o microclismi (morfina). In uno studio clinico randomizzato, crossover, doppio cieco, 34 pazienti con dolore da cancro che non avevano assunto oppioidi precedentemente, sono stati trattati con morfina cloridrato per os o con microclismi rettali3. I risultati hanno mostrato per la morfina rettale un buon assorbimento ed una efficacia analgesica più rapida e prolungata rispetto alla via orale. Per quanto riguarda il dolore cronico, in un confronto doppio cieco, la morfina somministrata in supposte a lento rilascio o per via sottocutanea continua (dose rettale 2,5 volte la dose sottocutanea) non ha fatto rilevare differenze significative nel controllo del dolore neoplastico4. Studi clinici5 e valutazioni farmacocinetiche6,7sembrano supportare anche un uso rettale delle compresse di morfina a lento rilascio nel dolore cronico neoplastico. Anche se non approvate e raccomandate dal produttore, quando la situazione clinica lo consente, l'uso rettale delle compresse di morfina a lento rilascio può essere consentito assicurandosi che l'ampolla rettale sia libera da residui fecali ed introducendo 5-10 ml di acqua tiepida se il paziente è disidratato. Ci sono pochi dati in letteratura sull'impiego del metadone per via rettale. In 6 pazienti neoplastici, l'efficacia analgesica di 10 mg di metadone somministrati come microclismi è risultata clinicamente soddisfacente e lo studio dei parametri farmacocinetici ha mostrato un'ampia variabilità individuale e nessuna correlazione tra le concentrazioni plasmatiche di metadone e l'efficacia analgesica8. In un secondo studio prospettico il metadone in supposte è stato in grado di controllare il dolore in 37 pazienti non responsivi a dosi elevate di idromorfone9. Anche se interessanti, questi dati devono ritenersi ancora preliminari dato l'esiguo numero di pazienti valutati.
Per la facilità d'impiego, i farmaci per via rettale sono particolarmente utili per una gestione domiciliare. Non sempre però sono ben accetti dal paziente e dai familiari anche per il disagio in rapporto alla cronica e frequente somministrazione. La via rettale è controindicata in presenza di lesioni ano-rettali, feci nell'ampolla, diarrea e in portatori di colostomia.
In Italia non sono ancora disponibili in commercio formulazioni rettali di morfina. Per i malati terminali a domicilio, quando si vuole utilizzare la via rettale, si può ricorrere alla morfina fiale servendosi di siringhe da insulina senza ago (somministrazione al bisogno) oppure alle compresse a lento rilascio (trattamento cronico).
Via sublinguale e buccale
La via transmucosa orale rappresenta una semplice alternativa in chi non tollera le tradizionali formulazioni orali. Il farmaco può essere posto sotto la lingua (via sublinguale), tra le gengive e le guance (via buccale) o tra le gengive e le labbra (via gengivale). La ricca rete linfatica ed ematica presente in queste regioni favorisce l'assorbimento direttamente nel circolo sistemico.
Le informazioni cliniche raccolte in letteratura sulla morfina somministrata per via sublinguale o buccale sono scarse e contraddittorie. I pazienti valutati spesso sono pochi, cambiano i modelli di studio (soggetti sani e malati) ed il disegno di tali studi è spesso criticabile. L'osservazione fatta in uno studio10 di una maggiore rapidità d'azione e di una migliore tollerabilità della morfina buccale rispetto alla via orale non ha trovato conferma in valutazioni cliniche successive. Studi di farmacocinetica su pazienti neoplastici11 e su volontari sani12 non hanno fatto emergere significative differenze di biodisponibilità della morfina tra la via orale, la sublinguale e la buccale (intorno al 20% per tutte le vie). Detto risultato, secondo gli autori, può essere in parte giustificato dalla possibilità che i pazienti inavvertitamente deglutiscano una quota di farmaco che viene successivamente metabolizzata nel fegato.
Oppioidi maggiormente liposolubili, come il fentanyl, si assorbono più facilmente attraverso la mucosa orale rispetto a farmaci più idrosolubili come la morfina. Il fentanyl possiede inoltre una durata d'azione molto breve e ciò lo rende particolarmente adatto nel trattamento del dolore acuto incidente ("breakthrough-pain"). La concentrazione del farmaco presente nella formulazione liquida iniettabile (50 mg/ml) può comunque rendere problematica la somministrazione della dose adeguata. Sebbene i dati di farmacocinetica siano limitati, 50 mg di fentanyl sono probabilmente equivalenti a 5 mg di morfina ev. L'eccessivo volume necessario per la somministrazione di dosi elevate comporterà inevita bilmente la deglutizione di parte del farmaco somministrato per via buccale o sublinguale. Per aggirare questo problema è stata studiata e sperimentata una formulazione nuova di fentanyl. Il farmaco è stato incorporato in una matrice di sapore dolce che, una volta a contatto con la mucosa, si dissolve permettendo la liberazione e il successivo assorbimento del farmaco. Uno studio clinico pubblicato di recente13 suggerisce che questa nuova modalità di somministrazione può rappresentare un rimedio utile ed efficace in un contesto clinico particolarmente difficile come il dolore acuto incidente. Nel nostro paese, la possibilità di somministrare farmaci attraverso la mucosa orale è ancora ristretta alla buprenorfina sublinguale, agonista oppiaceo parziale di cui sono noti i limiti di efficacia (effetto tetto) e tollerabilità.
Via transdermica
La somministrazione transdermica, per la sua semplicità e sicurezza, è considerata un conveniente metodo di somministrazione continua dei farmaci oppioidi nelle situazioni che richiedono una via alternativa a quella orale. Ciò risulta possibile però con il solo fentanyl. A differenza della morfina, il fentanyl infatti possiede caratteristiche fisico-chimiche adatte per la somministrazione transdermica14. La facilità di impiego e la possibilità di ottenere un'analgesia continua per 72 ore rappresentano i principali vantaggi di questa modalità terapeutica. Il fentanyl transdermico è particolarmente indicato in pazienti ambulatoriali con dolore cronico stabile quando si configurano tre distinte situazioni: via orale impraticabile per lunghi periodi di tempo, intolleranza alla morfina o altri oppiacei maggiori, scarsa compliance con la terapia orale. In questi casi si mantiene un regime di trattamento cronico facilmente gestibile, senza necessità di ricorrere ad aghi e pompe di infusione. Uno studio trasversale15 ed uno prospettico, aperto ed in crossover16, hanno confrontato il fentanyl transdermico e la morfina orale a lento rilascio nel dolore cronico neoplastico con l'obiettivo di verificare eventuali differenze in termini di efficacia, tollerabilità e preferenza del paziente. L'efficacia analgesica è risultata comparabile, mentre i pazienti hanno preferito in prevalenza la terapia con il fentanyl; secondo gli autori, questo sarebbe dovuto ad una migliore tollerabilità (nello studio prospettico è segnalata una minore incidenza di stipsi e sonnolenza). Il sistema di somministrazione transdermica ha comunque numerosi svantaggi. I suoi effetti terapeutici si osservano solo dopo 12-18 ore dall'applicazione del cerotto. Per questo motivo è problematico trovare rapidamente la dose analgesica efficace evitando gravi effetti collaterali (il fentanyl non è indicato nella fase di adattamento farmacologico). Per ovviare al problema si cerca di stabilizzare prima il paziente con la morfina orale a lento rilascio per poi passare al cerotto di fentanyl alla dose equivalente riportata nella tabella di conversione17. Se il paziente è ospedalizzato, il fentanyl può essere inizialmente somministrato in vena e poi convertito nella formulazione transdermica secondo il rapporto di conversione fentanyl e.v. e transdermico che è di circa 1:1- 1:1,5.
Il problema delle dosi di conversione è un aspetto che andrà sicuramente ridefinito in futuro. In uno studio18 oltre il 50% dei pazienti passati al cerotto hanno richiesto nei primi giorni di trattamento sensibili incrementi di dose.
Altri potenziali svantaggi del fentanyl sono il costo elevato e la necessità di dosi ripetute o di infusione continua di naloxone in caso di comparsa di effetti indesiderati gravi.
Infusione sottocutanea continua
La somministrazione parenterale degli oppioidi è un'alternativa sicura ed efficace, specialmente quando la via orale non è praticabile e la via rettale non è particolarmente gradita al paziente. L'infusione endovenosa continua garantisce costanti livelli ematici degli oppiacei e minimizza alcuni problemi propri della somministrazione parenterale sottocute intervallare, come la sonnolenza e la nausea durante il "picco" e il risveglio della sintomatologia dolorosa durante la "valle" dei livelli plasmatici del farmaco. Inoltre, le iniezioni ripetute possono essere fastidiose e difficilmente gestibili a domicilio, particolarmente nel paziente cachettico e gravemente ammalato. Con la somministrazione e.v. la dose efficace può essere individuata rapidamente con la possibilità, in presenza di una pompa appropriata, di immissioni di uno o più boli a comando del paziente (analgesia controllata dal paziente).
Tenendo conto delle difficoltà di gestione e la necessità di mantenere un accesso venoso continuo, la via endovenosa è poco adatta per trattamenti al di fuori dell'ambito ospedaliero. L'infusione continua per via sottocutanea ha permesso di superare questi inconvenienti e viene oggi considerata la via parenterale di scelta nel dolore neoplastico. In studi di farmacocinetica, la biodisponibilità degli oppiacei somministrati per questa via è risultata del tutto sovrapponibile alla via endovenosa. Per questo tipo di infusione sono disponibili pompe di vario genere (elastomeriche monouso, "syringe driver", pompe peristaltiche) e si differenziano per la possibilità di boli aggiuntivi da parte del paziente, capacità del serbatoio e quindi autonomia (1-7 giorni), possibilità di programmare l'infusione, la frequenza e l'entità dei boli. L'infusione sottocutanea è controindicata in presenza di edemi generalizzati ed insufficienza del circolo periferico, e va sospesa se compaiono eritemi o ascessi sterili.
L'utilità di questa modalità di trattamento nel paziente neoplastico è stata dimostrata in numerosi studi clinici in cui sono stati utilizzati la morfina19,20, l'idromorfone21 e l'eroina22. Il metadone non è indicato per l'infusione prolungata sottocutanea perché induce entro i primi giorni una reazione infiammatoria nella sede di inserzione dell'ago. In uno studio comprendente 108 pazienti con dolore cronico neoplastico21 la morfina in infusione continua sottocutanea è stata efficace nel 70-80% dei pazienti sia in regime ospedaliero che domiciliare e questa modalità di somministrazione è stata preferita ad altre vie dal 94% dei pazienti. Farmaci adiuvanti possono essere somministrati insieme agli oppiacei. La morfina è stata associata al desametasone (20%) per ridurre l'irritazione cutanea e alla metoclopramide (5%) o aloperidolo (9%) per il controllo del vomito. I test di stabilità non hanno dimostrato per questi farmaci interazioni chimiche dopo 7 giorni a temperatura ambiente. Uno studio recente ha valutato la compatibilità di morfina, fentanyl, idromorfone e metadone iniettabili con un ampia gamma di farmaci utilizzati per il controllo dei sintomi nel paziente neoplastico, quali atropina, desametasone, diazepam, difenidramina, aloperidolo, idrossizina, ketorolac, lorazepam, metoclopramide, midazolam, fenobarbital, fenitoina e scopolamina. Il fenobarbital è risultato l'unico farmaco incompatibile con le soluzioni di oppiacei testate23. Diventa pertanto possibile per il medico, ove ne sia dimostrata la reale necessità, trattare più sintomi con un'unica infusione continua sottocutanea, con chiari vantaggi in termini di costi e qualità di vita del paziente.
Via spinale
Una trattazione completa e approfondita sull'impiego della via spinale nel dolore neoplastico esula dallo scopo di questo articolo. Si vuole qui ricordare come la via spinale ha avuto un avvio entusiastico negli anni '80, ma poi l'interesse si è progressivamente affievolito e gli esperti di terapia del dolore mantengono al momento un atteggiamento di estrema cautela e scoraggiano un suo uso indiscriminato. Solo 16 pazienti su 1205 ricoverati in un dipartimento oncologico hanno richiesto la via spinale per un dolore resistente alle vie di somministrazione sistemiche24. In 12 pazienti il risultato analgesico è risultato adeguato (in 6 pazienti la morfina è stata somministrata con un anestetico). In uno studio, la morfina orale è stata efficace quanto la morfina epidurale nel dolore da interessamento del plesso nervoso e, sebbene abbia causato minori effetti collaterali, la via epidurale ha comportato problemi tecnici25.
In un recente studio randomizzato, doppio cieco e crossover, l'efficacia e la tollerabilità della morfina per via spinale o sottocutanea continua sono risultate comparabili (dose media efficace di morfina di 106 mg e 372 mg per la via spinale e sottocutanea rispettivamente)26. Allo stato attuale delle conoscenze, secondo l'opinione prevalente degli esperti, l'uso della via spinale dovrebbe essere limitato ai pazienti morfino-responsivi che presentano effetti collaterali intollerabili e che non hanno risposto ad altri oppiacei utilizzati a dosi adeguate. Anche se mancano adeguati studi controllati, risultati migliori con la via spinale sembrano ottenersi associando un anestetico locale alla morfina, con la possibile aggiunta della clonidina nel dolore neuropatico27.
Dolore morfino-resistente: cambiare oppioide o via di somministrazione?
Un dolore si definisce morfino-resistente quando si realizzano due situazioni: buona analgesia a prezzo di effetti collaterali intollerabili (sfavorevole bilancio analgesia/effetti collaterali) o dolore intrinsecamente refrattario all'azione della morfina (dolore neuropatico) (Tabella 2).
Nella pratica clinica, la morfina (così come, tutti gli agonisti puri maggiori che agiscono sui recettori m) viene impiegata a dosi crescenti sino al controllo del dolore o alla comparsa di effetti collaterali limitanti. Questi ultimi coinvolgono più frequentemente la sfera digestiva (stipsi, nausea e vomito) e neuropsichica (sonnolenza, disforia), e richiedono un trattamento aggressivo. A volte alcuni effetti collaterali persistono (molto spesso si tratta di segni disforici e marcata sedazione) e costringono il medico a rinunciare alla morfina a favore di soluzioni alternative. Nel dolore non-nocicettivo (neuropatico), per arrivare ad un risultato utile sono sempre necessarie dosi troppo elevate di morfina, che inevitabilmente comporteranno l'insorgenza di inaccettabili effetti collaterali. In quest'ultima condizione un certo margine di recupero è ancora possibile aggiungendo farmaci adiuvanti, come gli antidepressivi (es. amitriptilina) o gli anticonvulsivanti (es. carbamazepina) Quando in ogni modo la morfina orale risulta inefficace, il medico si troverà di fronte ad un dilemma clinico: cambiare l'oppioide o la via di somministrazione?
Si tratta di un quesito senza risposta perché a tutt'oggi non ci sono studi controllati che abbiano confrontato le due strategie. In realtà il comportamento spesso è soggettivo ed in rapporto alla esperienza del clinico ( destrezza nel maneggiare farmaci "difficili" come il metadone), particolari attitudini (familiarità con la via spinale), disponibilità di oppiacei diversi dal metadone (ossicodone, idromorfone) e di strumenti (micropompe) necessari per l'infusione continua sottocutanea. L'impressione che si ricava dalla letteratura è che non ci sia un comportamento/orientamento univoco27: da una parte coloro che propugnano la strategia della "rotazione di oppioidi"29 e dall'altra quelli che preferiscono invece cambiare la via di somministrazione30. Quest'ultimo approccio sembrerebbe comunque il più razionale.
Stato attuale
In conclusione, alle soglie del 2000 la modalità di somministrazione ottimale della morfina resta ancora la via orale. In una frazione di pazienti, che diventa sempre più consistente con l'avvicinarsi della fase terminale della malattia neoplastica, la via orale diventa inappropriata ed è necessario considerare vie alternative. Ciascuna delle varie vie alternative presenta vantaggi e svantaggi (Tabella 3). In mancanza di studi clinici controllati, la scelta razionale dipenderà dal giudizio del medico in base ai dati clinici disponibili (vediflow-chart).
È auspicabile che la ricerca clinica dedichi maggiore attenzione ad un problema così importante per definire in modo attendibile quale sia il miglior trattamento.
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