Quale spazio per gli antiaritmici nella prevenzione della morte improvvisa?
C. Menozzi, N. Bottoni, G. Lolli, C. Tomasi, M. Calzolari Unità Operativa di Cardiologia Interventistica Azienda Ospedaliera S. Maria Nuova, Reggio Emilia
Nonostante la terapia fibrinolitica, gli ACE-inibitori e l'acido acetilsalicilico abbiano significativamente migliorato la prognosi dei pazienti colpiti da infarto miocardico, la mortalità di tali pazienti è ancora elevata e la morte improvvisa, prevalentemente correlata ad aritmie ventricolari maligne1, rappresenta anche oggi un importante problema clinico.
Negli Stati Uniti, ad esempio, 900.000 pazienti ogni anno vengono colpiti da infarto miocardico acuto (IMA) e 225.000 muoiono in fase acuta (125.000 prima di aver ricevuto cure mediche). Dal momento che l'incidenza di morte improvvisa nei sopravvissuti ad IMA è del 3-5% per anno, si calcola che circa 20.000-30.000 pazienti andranno incontro ogni anno a tale evento.
Anche i pazienti affetti da scompenso cardiaco congestizio in rapporto a cardiopatia ipocinetico-dilatativa su base ischemica o idiopatica presentano un elevato rischio di morte improvvisa nel follow-up connesso ad aritmie ipercinetiche ventricolari maligne.
L'argomento di questa breve rassegna è quello di valutare se, in epoca di defibrillatore impiantabile, presidio rivelatosi efficace in recenti trials (MADIT, AVID) nella prevenzione sia primaria che secondaria della morte improvvisa, esista ancora uno spazio per la terapia farmacologica antiaritmica.
Vari farmaci antiaritmici sono stati testati nella prevenzione della morte improvvisa con risultati variabili e talora contrastanti.
L'articolo valuterà i risultati dei principali trials riguardanti i farmaci di classe I, classe III, comprese le molecole di nuova sintesi [dofetilide (Tikosyn- Pfizer) e azimilide, entrambe non in commercio in Italia] e i beta-bloccanti.
Farmaci di classe I
Vari studi randomizzati e controllati ed alcune meta-analisi non hanno dimostrato alcun beneficio da parte dei farmaci di classe I sulla sopravvivenza dei pazienti con pregresso infarto miocardico.
Lo studio IMPACT (International Mexiletine and Placebo Antiarrhythmic Coronary Trial, mexiletina vs placebo)2,3, il CAST I ed il CAST II (Cardiac Arrhythmia Suppression Trial, flecainide, encainide e moricizina vs placebo)4,5e la meta-analisi di Teo e coll.6 hanno infatti evidenziato che i farmaci di classe I, pur essendo in grado di ridurre il numero e la complessità delle aritmie ventricolari, non migliorano la sopravvivenza dei pazienti colpiti da infarto miocardico, talora anzi incrementando la mortalità rispetto al placebo (Tabella 1).
E' probabile che l'effetto negativo dei farmaci di classe I, osservato in particolare nello studio CAST I, sia da attribuirsi ad un effetto proaritmico con accentuazione delle aritmie da rientro, specialmente durante ischemia acuta7. Non si può altresì escludere che l'aumentato rischio di mortalità innescato dalla terapia antiaritmica con i farmaci di classe I appaia enfatizzato da bias metodologici quali l'aver inserito in questi trials popolazioni a basso rischio di morte improvvisa6.
Farmaci di classe III
Amiodarone
Vari studi hanno valutato l'impatto dell'amiodarone sulla prognosi dei pazienti con pregresso infarto miocardico ed in quelli affetti da insufficienza cardiaca. In ordine cronologico:
BASIS (Basel Antiarrhythmic Study of Infarct Survival)8:
studio prospettico, randomizzato, condotto su 312 pazienti affetti da recente IMA, in classe 3 o 4b Lown. La mortalità ad 1 anno è risultata del 13% nel gruppo di controllo e del 5% nel gruppo amiodarone; tali differenze percentuali sono ai limiti della significatività statistica. In una sottoanalisi eseguita dagli stessi autori l'amiodarone era in grado di ridurre significativamente la mortalità solo nel gruppo di pazienti con conservata funzione ventricolare sinistra (FE>40%), con mortalità ad 1 anno di 8,9% (placebo) vs 1,5% (amiodarone).
Polish University Hospitals Study9:
studio prospettico, controllato, doppio cieco, condotto su 613 pazienti con recente IMA, con controindicazioni all'assunzione di beta-bloccanti. Non è stata osservata alcuna differenza nella mortalità globale dei 2 gruppi ad 1 anno, mentre la mortalità cardiaca è risultata più bassa nel gruppo amiodarone (6,2%) rispetto al gruppo di controllo (10,7%) (p=0,048). Similmente allo studio BASIS un'analisi retrospettiva dei dati ha mostrato una riduzione significativa della mortalità a lungo termine nel sottogruppo di pazienti che assumevano amiodarone ed avevano una FE >40%.
SSSD (Spanish Study on Sudden Death)10:
lo studio è stato condotto su 368 pazienti con pregresso IMA, aritmie ventricolari frequenti e/o complesse e FE compresa tra >20% e <45%, randomizzati a metoprololo, amiodarone e nessun trattamento antiaritmico. Non sono state osservate differenze significative di mortalità a lungo termine tra il gruppo amiodarone ed il gruppo di controllo, mentre differenze statisticamente significative in termini di sopravvivenza si sono riscontrate tra il gruppo amiodarone e quello trattato con metoprololo (mortalità attuariale a 1 anno 3%, 1,3%, 6,5%, rispettivamente nel gruppo controllo, amiodarone, metoprololo).
CAMIAT (Canadian Amiodarone Myocardial Infarction Arrhythmia Trial)11:
studio randomizzato, doppio cieco, condotto su 1202 pazienti con pregresso IMA e battiti ectopici ventricolari frequenti e ripetitivi. La mortalità globale è risultata sovrapponibile nel gruppo amiodarone e nel gruppo di controllo (5,2% vs 6,4% rispettivamente), mentre un trend favorevole è stato osservato per quanto riguarda la mortalità improvvisa (2,3% vs 3,7%, p= 0,06).
EMIAT (European Myocardial Infarct Amiodarone Trial)12:
studio randomizzato, controllato, doppio cieco, condotto su 1486 pazienti con recente IMA e FE<40%. Si è rilevata una mortalità globale sovrapponibile nel gruppo di pazienti trattato con amiodarone (8,2%) e nel gruppo placebo (8,1%). Similmente allo studio CAMIAT, l'amiodarone ha determinato una riduzione della mortalità improvvisa che è risultata ai limiti della significatività statistica (p=0,05). Gli autori hanno inoltre evidenziato una favorevole interazione tra amiodarone e terapia beta-bloccante relativamente alla mortalità cardiaca.
GESICA (Group for the Study of Survival in Heart Failure in Argentina)13:
studio multicentrico, randomizzato, condotto su 516 pazienti con insufficienza cardiaca grave (FE<35%), che ha confrontato la terapia con amiodarone ed il trattamento convenzionale dello scompenso cardiaco (nessun paziente in entrambi i gruppi assumeva beta-bloccante). Nel gruppo trattato con amiodarone si è evidenziata una significativa riduzione della mortalità globale ad 1 anno rispetto alla terapia convenzionale (40,4% vs 28,3%, p=0,024). L'amiodarone non ha invece modificato né l'incidenza di morte improvvisa né la progressione dello scompenso cardiaco.
STAT-CHF (Survival Trial of Antiarrhythmic Therapy in Congestive Heart Failure) 14:
studio multicentrico, randomizzato, controllato, condotto su 674 pazienti con storia di scompenso cardiaco, >10 contrazioni ventricolari premature/ora e FE <40%. Contrariamente ai risultati favorevoli dello studio GESICA, lo studio STAT-CHF non ha mostrato una riduzione significativa né della mortalità globale (39% vs 42%) né della morte improvvisa (15% vs 19%) nel gruppo trattato con amiodarone rispetto al gruppo di controllo. La discrepanza tra i risultati dello studio STAT-CHF e GESICA potrebbe in parte derivare dalla differente eziologia della cardiopatia di base dei pazienti dei 2 studi dal momento che solo 1/3 dei pazienti dello studio GESICA presentava una cardiopatia di genesi ischemica, contro 2/3 dello studio STAT-CHF (Tabella 2).
Alcuni lavori meta-analitici, pur con i limiti intrinseci di tale tipo di analisi, hanno tentato di chiarire le controversie ancora esistenti circa l'utilizzo dell'amiodarone.
L'Amiodarone Trials Meta-Analysis15, ha preso in considerazione 13 studi randomizzati per un totale di 6500 pazienti, ed ha evidenziato come l'amiodarone, adottando un'analisi classica "fixed-effects", fosse in grado di ridurre in modo significativo la mortalità globale (13%, p=0,03). Qualora tuttavia gli stessi dati fossero rivisti con un approccio analitico "random-effects", pur risultando la mortalità globale ridotta del 15%, non si raggiungeva la significatività statistica (p=0,081), a differenza della morte improvvisa che veniva ridotta del 29% (p=0,0003).
Risultati più favorevoli sono emersi nella meta-analisi di Sim e coll.16, la quale include trial di prevenzione primaria e secondaria, e mostra una riduzione della mortalità globale da parte dell'amiodarone pari al 19% (p<0,01).
Sotalolo, dofetilide, azimilide
Nello studio multicentrico, randomizzato, doppio cieco, condotto da Julian e coll. su 1456 pazienti con pregresso IMA, il sotalolo (d,l-sotalolo) non ha mostrato effetti significativi sulla mortalità globale ad 1 anno (7,3% vs 8,9%, rispettivamente sotalolo e placebo) mentre ha determinato una riduzione significativa della recidiva di infarto miocardico17.
SWORD (Survival With Oral d-Sotalol)18,19:
lo studio ha valutato l'effetto del d-sotalolo, inibitore puro dei canali del potassio Ikr e, a differenza del d,l-sotalolo, non dotato di attività beta-bloccante, in pazienti con pregresso IMA, FE <40% o scompenso cardiaco manifesto. Il trial è stato interrotto precocemente dopo che erano stati arruolati 3121 pazienti in rapporto al rilievo di un eccesso di mortalità nel gruppo d-sotalolo (5,7% vs 3,1%, p=0,006). E' emerso in particolare un aumento della morte improvvisa interpretato come secondario ad una azione proaritmica del farmaco.
DIAMOND (Danish Investigations of Arrhythmia and Mortality on Dofetilide)20,21:
lo studio, articolato in 2 bracci, valuta l'efficacia della dofetilide, inibitore puro dei canali del potassio Ikr, in pazienti con insufficienza cardiaca congestizia o con IMA e compromissione della funzione contrattile (in entrambi i casi la FE dove va essere <35%). Sono al momento noti i risultati del braccio dei pazienti con IMA (1510 pazienti) nel quale è stata evidenziata una mortalità globale sovrapponibile nel gruppo dofetilide (31%) e nel gruppo placebo (32%). L'impiego del farmaco non è stato inoltre correlato ad un aumento degli effetti proaritmici.
Lo studio ALIVE (Azimilide Post-Infarct Survival Evaluation Trial)22, che valuterà l'efficacia della azimilide, inibitore dei canali del potassio Ikre Iks, nei pazienti con recente IMA classificati ad alto rischio di morte improvvisa, è tuttora in fase di reclutamento.
Beta-bloccanti
I beta-bloccanti, pur non essendo classificati come farmaci antiaritmici in senso stretto, rappresentano una terapia di comprovata efficacia nel ridurre la mortalità nel postinfarto. Tra gli studi che hanno documentato un loro favorevole impatto sulla sopravvivenza dei pazienti con pregresso IMA, evidenziando una significativa riduzione della mortalità globale ed improvvisa, possiamo citare gli studi BHAT (Beta-blocker Heart Attack Trial propranolol -)23,24, MIAMI (Metoprolol In Acute Myocardial Infarction)25,26, Norwegian timolol study 27,28 e la meta-analisi di Hjalmarson29-(Tabella 3)-. Occorre sottolineare che tali effetti favorevoli nel postinfarto sono chiaramente dimostrati solo per i beta-bloccanti lipofili (propranololo, metoprololo e timololo) e non è certo se possano essere estesi all'intera classe di tali farmaci.
La meta-analisi di Heidenreich e coll.30, lo studio sul carvedilolo31, il CIBIS-II32, il MERIT HF33, hanno infine evidenziato una significativa riduzione della mortalità globale ed improvvisa anche nei pazienti con scompenso cardiaco.
Amiodarone + beta-bloccanti
E' stata di recente avanzata l'ipotesi che esista un effetto sinergico tra amiodarone e beta-bloccanti nel migliorare la prognosi dei pazienti sopravvissuti ad IMA. Tali dati, emersi negli studi CAMIAT11, EMIAT 12 ed in una post-hoc analisi34 del data base congiunto dei 2 succitati trial, dovranno tuttavia essere confermati in futuri studi prospettici.
In conclusione, gli unici farmaci antiaritmici che abbiano dimostrato di ridurre significativamente la mortalità globale ed improvvisa nel postinfarto sono i beta-bloccanti mentre i farmaci di classe I ed il d-sotalolo hanno dimostrato di possedere un effetto addirittura dannoso.
Anche i farmaci di classe III non paiono migliorare significativamente la prognosi dei pazienti con pregresso IMA. Considerando globalmente i dati al momento disponibili, è ragionevole concludere che l'amiodarone non è in grado di migliorare in maniera incontrovertibile la prognosi dei pazienti sopravvissuti ad infarto miocardico e di quelli affetti da insufficienza cardiaca e che dunque un impiego sistematico del farmaco in tali pazienti non è attualmente proponibile.
Si può altresì affermare che l'amiodarone non incrementa il rischio di morte globale o aritmica e che rappresenta pertanto il farmaco antiaritmico di elezione in caso di extrasistolia ventricolare sintomatica o di tachiaritmie sopraventricolari35.
Risposte circa l'efficacia della azimilide verranno fornite dal trial ALIVE, mentre futuri studi dovranno chiarire i reali benefici della associazione tra amiodarone e beta-bloccanti.
E' auspicabile che i futuri trial sui farmaci antiaritmici, ai fini di non sottostimarne gli eventuali benefici nella prevenzione della morte improvvisa, reclutino pazienti ad alto rischio di morte aritmica: vale a dire pazienti con recente infarto miocardico (<21 giorni), con FE >15%->35%, con positività di uno o più marker di rischio aritmico (contrazioni ventricolari premature frequenti e complesse, presenza di potenziali tardivi ventricolari al SAECG, ridotta variabilità del ritmo cardiaco, ridotta sensibilità baro-recettoriale, ecc) e per una durata del trattamento non superiore ad 1 anno, dal momento che la morte improvvisa dovuta a TV/FV è maggiormente incidente nei primi 6 mesi dopo IMA e tende successivamente a decrescere36.
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