Anche se spesso le proposte vengono formulate in ambito specialistico, le scelte riguardanti le terapie ormonali in menopausa coinvolgono frequentemente il medico di medicina generale a cui la donna si rivolge sia per avere chiarimenti sul trattamento e sugli eventuali rischi, sia in caso di comparsa di effetti indesiderati.
I risultati di grandi studi clinici randomizzati (RCT) hanno prodotto un cambiamento importante degli orientamenti sull'impiego degli estrogeni e dei progestinici in menopausa. La dissonanza con i dati dei precedenti studi osservazionali e l'inevitabile bufera mediatica che ne è seguita hanno creato un clima di incertezza che rischia di disorientare i sanitari e le donne. Analizzando a fondo gli studi e i loro risultati, le contraddizioni appaiono meno stridenti e diviene possibile individuare criteri decisionali condivisibili per una corretta pratica clinica. A questo scopo, è fondamentale differenziare le situazioni dove la donna richiede un intervento terapeutico per affrontare un problema presente, da quelle in cui i trattamenti hanno un'esclusiva finalità preventiva. Per la diversità e la mutevolezza delle situazioni cliniche, le scelte non devono essere ritenute "definitive" e non possono prescindere da una informazione chiara alla donna. Prescrivere correttamente cure efficaci per disturbi che possono essere molto fastidiosi (o evitare trattamenti di non documentata efficacia o con rischi non noti) è - oggi più di ieri - possibile e doveroso.
Ormoni e prevenzione in menopausa
Una "lezione" di metodologia messa in pratica
I risultati di studi osservazionali di ampie dimensioni hanno evidenziato nel corso degli anni che le donne trattate con estrogeni godevano di un livello di salute complessivamente migliore, con una ridotta incidenza di fratture ossee1, di eventi coronarici2-4 , di deterioramento mentale5 e di mortalità6. L'effetto cardioprotettivo risultava più elevato in prevenzione secondaria6 cioè proprio nelle donne che, in base alle esperienze coi contraccettivi, si tendeva ad escludere dalla terapia con estrogeni, come se le controindicazioni fossero divenute indicazioni elettive. Tutti gli effetti protettivi si mantenevano anche nelle donne trattate con l'associazione tra estrogeni e progestinici7.
Un ulteriore sostegno all'ipotesi dell'effetto preventivo degli estrogeni sulle malattie cardiovascolari emerso dagli studi osservazionali è sembrato arrivare anche dai successivi risultati di studi randomizzati che hanno valutato gli effetti della terapia ormonale sostitutiva (TOS) sui parametri di laboratorio; da questi studi sono emerse infatti modifiche favorevoli dei fattori implicati nella patogenesi della malattia coronarica (riduzione della colesterolemia8, del fibrinogeno, miglioramento del rapporto colesterolo LDL/HDL e della funzione endoteliale9). Nonostante non fossero ancora disponibili i risultati dei grandi studi randomizzati che avrebbero dovuto darne l'avallo definitivo sul piano clinico, questi risultati su end-point intermedi hanno dato ulteriore impulso alla diffusione della TOS in tutti i paesi industrializzati.
Lo studio di prevenzione secondaria Heart and Estrogen/Progestin Replacement Study (HERS)10, condotto su donne con malattia coronarica stabile, è stato il primo "grande studio" a stendere un'ombra consistente sui benefici cardiovascolari degli estrogeni. Poiché dall'analisi dei dati a 4,1 anni, emergeva che gli eventi avversi si concentravano nei primi due anni di monitoraggio, indicando negli anni successivi una tendenza (pur se non significativa) alla riduzione degli eventi, lo studio ha avuto come prima conseguenza pratica un "limbo decisionale" che ha portato alla strategia "don't start, don't stop" cioè non iniziare un trattamento (a scopo preventivo) e, in assenza di problemi, non interromperlo se già iniziato.
Infine, i risultati dello studio WHI (Women's Health Initiative), in prevenzione primaria, hanno segnato il tramonto dell'illusione di prevenzione in ambito cardiovascolare11,12. Disegnato per un follow-up previsto di 7 anni13, questo studio randomizzato di ampie dimensioni ha subìto, dopo 5,6 anni, l'interruzione per eccesso di rischio del braccio di trattamento con 0,625 mg di estrogeni coniugati (EC) + 2,5 mg di medrossiprogesterone acetato quindi, dopo 6,8 anni, del braccio che prevedeva la somministrazione di soli estrogeni coniugati (0,625 mg). A fronte di una riduzione significativa del numero di fratture, di dubbia rilevanza clinica visti gli elevati NNT (Tabella 1)11,14, i dati hanno indicato non solo la mancanza di protezione sulla malattia coronarica ma bensì un aumento del rischio di accidenti vascolari cerebrali e di demenza (solo per l'associazione EC+MPA).
Altri RCT (vedi Tabella 2) in prevenzione secondaria, anche se di dimensioni non altrettanto vaste, hanno completato il giudizio negativo sull'efficacia preventiva degli estrogeni in ambito cardiovascolare15-18.
La disponibilità di trattamenti egualmente efficaci e con minori effetti indesiderati induce a non raccomandare gli estrogeni come farmaci di prima scelta neppure nella prevenzione dell'osteoporosi e delle fratture19.
Per completezza, va evidenziato che, in dissenso coi risultati degli studi WHI ed HERS, una metanalisi di 30 studi molto eterogenei ha concluso che la TOS in donne di età <60 anni riduce la mortalità totale rispetto al placebo20. La metanalisi, tuttavia, presenta importanti limiti metodologici che rendono i risultati poco attendibili. Ad esempio, l'inclusione nel gruppo di età maggiore o minore di 60 anni è avvenuta non in base all'età delle singole pazienti bensì all'età media della popolazione di ciascuno studio. Ciò ha comportato che le quasi 9.000 donne (su un totale di 26.708 considerate nella metanalisi) di 50-59 anni arruolate nel WHI siano state tutte incluse nella fascia di età >60 anni.
Mancano studi randomizzati adeguati per le altre molecole.
Terapie ormonali per i sintomi della menopausa: quando e come
A differenza della somministrazione di estrogeni con finalità preventiva, l'impiego di estrogeni mantiene invece la sua giustificazione nel trattamento dei sintomi legati alla menopausa.
Gli estrogeni sono efficaci nel controllo di numerosi disturbi che si possono presentare con la cessazione della attività ovarica21 ma non di tutti: alcuni, quali aumento di peso, dolori somatici localizzati soprattutto al rachide, incontinenza urinaria ed instabilità emotiva non sono strettamente correlati con la produzione ormonale e perciò la somministrazione di estrogeni non fornisce risultati sempre soddisfacenti (vedi Tabella 3).
Caratteristiche dei prodotti in commercio
Esistono numerose modalità per istituire una terapia ormonale e il medico deve scegliere non solo fra farmaci differenti, ma anche tra vie di somministrazione e schemi terapeutici diversi. Poiché mancano criteri definiti per orientare in modo univoco verso l'una o l'altra via di somministrazione, la scelta si baserà su criteri di praticità e sulle preferenze della paziente. Le formulazioni orali e transdermiche, pur con farmaci e farmacocinetiche diverse, sono ugualmente efficaci sui sintomi21. I preparati più studiati sono quelli orali, soprattutto estrogeni coniugati (EC) ed estradiolo valerato (EV). Gli studi di confronto diretto tra le diverse formulazioni orali o transdermiche forniscono informazioni soprattutto su parametri farmacocinetici o di laboratorio ma non su esiti clinicamente rilevanti (es. ictus, carcinoma mammario, ecc.). Le formulazioni di estradiolo emidrato (E2) in gel costituiscono una alternativa transdermica ai cerotti, anche se l'assorbimento non è sempre prevedibile22.
I dati clinici a disposizione sulla somministrazione di E2 per via transnasale per mezzo di appositi erogatori sono limitati e non giustificano la preferenza accordata a questa via di somministrazione rispetto a quelle più documentate.
In commercio sono disponibili anche specialità a base di estriolo, uno dei tre estrogeni prodotti naturalmente nell'ovaio, dotato di scarsa attività sull'endometrio. La somministrazione orale di 3-4 mg ha prodotto risultati modesti (sui sintomi vasomotori e sui disturbi urogenitali23), e non univoci24. Attualmente l'estriolo viene utilizzato soprattutto per somministrazione topica.
Gli estrogeni in formulazioni per uso vaginale utilizzati nel trattamento dei disturbi distrofici hanno un'efficacia variabile. In un piccolo RCT, un idratante vaginale (Replens®) è risultato efficace quanto la crema estrogenica per il bruciore vaginale e la dispareunia25.
Per quanto riguarda gli effetti indesiderati, la nausea è l'effetto indesiderato più frequente delle formulazioni orali (fino al 20% delle donne), mentre, fra i preparati transdermici, i cerotti che liberano E2 presentano come reazione avversa più frequente l'irritazione nella sede di applicazione (9-20% delle donne). Da uno studio osservazionale europeo (EPIC26), nelle donne trattate con estradiolo transdermico (RR 1,2 vs. non trattate) è emerso un rischio più elevato di carcinoma mammario rispetto alle donne trattate con estrogeni orali (RR 0,6 vs. non trattate). Nessuna differenza tra le due formulazioni è emersa, però, confrontando le donne che avevano assunto gli stessi estrogeni in associazione a progesterone naturale o progestinici sintetici.
In un recente studio caso-controllo, il rischio di trombosi venosa è risultato 4 volte superiore nelle donne trattate con estrogeni orali rispetto a quelle trattate con preparati transdermici e un successivo RCT ha dimostrato, nelle donne sottoposte a terapia sostituitiva con preparati orali, un effetto protrombotico sul rapporto fattori procoagulativi/fattori fibrinolitici, che non si è manifestato in quelle che assumevano preparati transdermici27. Tuttavia, in assenza di studi randomizzati e controllati sugli esiti clinici principali, questi dati sono da interpretare con cautela.
Per le formulazioni a base di estrogeni coniugati per uso vaginale sono state descritte metrorragie da assorbimento sistemico, mentre per l'estradiolo in compresse vaginali non vengono riportati effetti generali28.
Quali dosi impiegare?
Prima di passare alla somministrazione delle dosi "standard" di estrogeni (0,625 mg di EC, 2 mg di EV o 50 mcg/die di E2), i documenti di consenso e le Linee Guida più recenti raccomandano di iniziare con basse dosi di estrogeni (0,3 di EC oppure 1 mg di EV o 25 mcg di E2 transdermico) con l'incremento minimo possibile della dose nel caso in cui, dopo 2 mesi dall'inizio, i sintomi non si siano modificati in modo soddisfacente29. Le basse dosi di estrogeni risultano efficaci su disturbi vasomotori e distrofia vaginale nella maggioranza delle donne e non sembrano indurre significative modificazioni della proliferazione endometriale, ma la mancanza di dati a lungo termine sul rischio di sviluppare una neoplasia dell'endometrio suggerisce di associare un progestinico. L'associazione con basse dosi di MPA30 aumenta l'efficacia sintomatica. Altrettanto efficaci si sono dimostrate le preparazioni eroganti basse dosi di estrogeni transdermici (12,5-25 mcg/die di E2)31. Nella riduzione dei sintomi vasomotori si è dimostrato efficace 1 mg di EV31.
Quando e perché associare un progestinico
Poiché le dosi di estrogeni comunemente utilizzate possono indurre iperplasia ed aumentare il rischio di carcinoma endometriale, esiste consenso sulla opportunità di associare nelle donne non isterectomizzate29,32 un progestinico con schema continuativo o ciclico33 (esistono in commercio, a tal fine, preparazioni a base disolo progestinico oppure associazioni precostituite di estrogeni e progestinici). La scelta tra i due schemi terapeutici si dovrebbe basare sul tempo trascorso dalla menopausa e sulle preferenze della donna di avere o meno un flusso simil-mestruale: nella maggior parte delle donne, infatti, l'assunzione ciclica di dosi adeguate di progestinici orali per 12 o meglio 14 giorni al mese (schemi con dosi di progestinico per periodi più brevi non hanno fornito la medesima garanzia protettiva nei confronti della iperplasia/neoplasia endometriale) provoca un flusso, solitamente di entità modesta, alla sospensione, mentre la somministrazione continuativa induce in genere amenorrea. Dopo un periodo con somministrazione ciclica del progestinico è possibile passare alla somministrazione continuativa. La somministrazione continua di estrogeno e progestinico non dovrebbe indurre proliferazione endometriale e quindi non causare sanguinamenti; lievi perdite sono, tuttavia, descritte con tutti gli schemi terapeutici continuativi, compreso il tibolone, con frequenza variabile tra il 4 ed il 20% a seconda degli studi. Episodi isolati di spotting nel trattamento continuo non richiedono accertamenti, mentre sanguinamenti protratti o ricorrenti, soprattutto se insorgono oltre i 6 mesi di terapia, richiedono un accertamento specialistico.
Il progestinico più studiato è il medrossiprogesterone acetato (MPA), ma anche per diidrogesterone, noretisterone acetato e progesterone micronizzato i dati disponibili nella prevenzione della neoplasia endometriale sono di buona qualità. Il ciproterone acetato (1 mg/die per 10 giorni) è utilizzato in associazione sequenziale con EV (2 mg per 21 giorni) per la terapia dei sintomi menopausali associati ad iperandrogenismo. Recentemente, inoltre, è stato introdotto in commercio un preparato contenente 2 mg di drospirenone, un progestinico già utilizzato per la contraccezione orale con effetti debolmente antiandrogenici ed antialdosteronici, in associazione continuativa con solo 1 mg di estradiolo. Gli studi a supporto di queste due associazioni hanno coinvolto numeri limitati di donne e per brevi periodi di osservazione34,35, il che non consente al momento di tracciare un rapporto beneficio/rischio attendibile.
Al momento, l'efficacia preventiva sull'endometrio del progestinico per via transdermica, intrauterina o vaginale è supportata da prove limitate.
Studi di buona qualità metodologica (pur se di durata limitata) indicano che anche la somministrazione di soli progestinici è in grado di ridurre i sintomi vasomotori rispetto al placebo36 (mentre l'efficacia su altri sintomi non è supportata da dati adeguati), ma l'associazione con estrogeni ne aumenta l'efficacia. Inoltre, il progestinico sembra responsabile dell'aumento di rischio di neoplasia della mammella e di eventi vascolari, il che rende sconsigliabile la sua somministrazione in monoterapia.
Il Tibolone
Classificato tra i progestinici, il tibolone (Livial® 30 cpr 2,5mg) è uno steroide sintetico che può esercitare sia una azione estrogenica che androgenica37,38 a seconda della attività enzimatica presente nei singoli tessuti.
Il suo impiego è andato aumentando di pari passo alla riduzione della prescrizione degli estrogeni (e alla sua inclusione in classe A). Gli RCT disponibili dimostrano che, nel controllo dei sintomi da carenza di estrogeni, il tibolone ha un'efficacia superiore al placebo39 e simile a quella delle associazioni estro-progestiniche di riferimento40. Gli studi che hanno valutato l'efficacia del tibolone nel migliorare la vita sessuale hanno fornito risultati favorevoli rispetto al placebo, ma nel confronto con altre terapie ormonali i risultati sono contrastanti41,42,43. Nello studio che ha arruolato il maggior numero di donne, inoltre, 1,25 mg e 2,5 mg di tibolone hanno indotto un incremento della densità minerale ossea sia a livello vertebrale (+ 2,0 e + 2,6%) che femorale (+ 1,3 e + 2,3%), mentre le donne trattate con placebo hanno mostrato una riduzione dei valori densitometrici. Non sono disponibili, tuttavia, risultati sul rischio di fratture ossee44. In termini di rischio cardiovascolare, il tibolone ha un effetto sfavorevole sul profilo lipidico (riduzione del colesterolo HDL) rispetto alle associazioni estro-progestiniche orali45, mentre gli effetti sul sistema emocoagulativo mostrano un incremento dei fattori fibrinolitici46; mancano, però, dati su esiti clinici importanti quali episodi flebitici o eventi vascolari. La vantata assenza di effetti di stimolo sull'endometrio non è stata confermata dai risultati di un ampio studio osservazionale, il Million Women Study in cui le donne trattate con tibolone hanno presentato un'incidenza di carcinoma endometriale più elevata rispetto alle donne trattate con le altre terapie sostitutive o alle donne che non avevano fatto uso di ormoni47. L'incidenza di tumore del seno è risultata più bassa nelle donne trattate con tibolone rispetto a quelle trattate con estro-progestinici, ma maggiore rispetto ai soli estrogeni o a nessun trattamento48. Alcuni studi randomizzati hanno evidenziato un minore incremento della densità mammaria nelle donne trattate con tibolone rispetto a quelle trattate con estro-progestinici alle dosi classiche (EC 0,625 mg/die + MPA 2,5 mg/die)49; questo riscontro, anche se può facilitare la mammografia, non può essere ritenuto equivalente ad un minor rischio neoplastico. Negli studi clinici, l'11,3% delle donne trattate con tibolone ha lamentato edema ed aumento di peso di oltre 4 kg50. Nonostante la storia ultraventennale del tibolone e la sua ampia diffusione in Europa e a fronte di una copiosa letteratura "di base" su dati in vitro e di laboratorio, colpisce la scarsità di risultati clinici sperimentali su esiti importanti (fratture, malattie vascolari, rischio di neoplasia e morte), rendendo così impossibile tracciarne con affidabilità un rapporto beneficio/rischio.
Valutare i rischi per un corretto inquadramento rischio/beneficio
Data l'estrema variabilità del quadro clinico e del suo impatto sullo stato di benessere della donna51,52, la decisione di iniziare una terapia ormonale dovrebbe derivare da una scelta condivisa con la donna, adeguatamente informata sui benefici e i possibili rischi. La scelta terapeutica deve prevedere una accurata valutazione preliminare di tutti i potenziali problemi connessi all'impiego della terapia ormonale. I risultati dello studio WHI11-14, che ha monitorato gli eventi per un periodo di tempo discretamente lungo, consentono ora di tracciare una più accurata mappa dei diversi rischi e dei tempi di trattamento oltre i quali l'incremento di rischio diviene statisticamente significativo (vedi Tabella 5) anche se mantenersi al di sotto dei tempi indicati non può essere ritenuta una garanzia di incolumità. Gli indici riportati rappresentano la stima più attendibile per quantificare in modo relativamente comprensibile (e quindi utile) il rischio di eventi avversi. La donna deve esserne informata per decidere se intraprendere o no il trattamento così come deve conoscere gli effetti indesiderati frequenti della TOS (es. nausea, mastodinia, edemi, e reazioni cutanee nella sede di applicazione dei cerotti) per decidere se continuare, modificare o sospendere la terapia nel caso si manifestassero.
Strategie terapeutiche e di monitoraggio
Dopo la scelta di iniziare la TOS, il medico dovrebbe decidere, assieme alla donna, le modalità di gestione della terapia e come monitorare gli effetti terapeutici e i possibili effetti indesiderati29,31,32,39,53,54 . Alle donne non isterectomizzate andrà chiesto se desiderano o meno mantenere una ciclicità simil-mestruale per decidere le modalità di assunzione del progestinico. I recenti dati sul basso rischio di carcinoma mammario con soli estrogeni e i dati sul minor rischio cumulativo di carcinoma endometriale e mammario nelle donne trattate con soli estrogeni rispetto a quelle trattate con estro-progestinici o tibolone rendono accettabile il trattamento con basse dosi di estrogeno anche nelle donne non isterectomizzate purché venga fatto un monitoraggio dell'endometrio mediante ecografia transvaginale.
All'atto della prescrizione è opportuno pianificare il primo controllo dopo 2-3 mesi per verificare l'efficacia della terapia sui sintomi, la comparsa di eventuali problemi e per un controllo della pressione arteriosa. I controlli successivi ogni 6-12 mesi, oltre a stabilire lo stato di salute e l'adesione della donna ai programmi di screening mammografico e citologico cervicale, dovrebbero essere volti anche alla valutazione della persistenza dell'indicazione alla terapia. Bisognerebbe richiedere regolarmente alla paziente se intende continuare, se ritiene possibile diminuire la dose oppure sospendere l'assunzione anche solo per un breve periodo, al fine di consentire una ridefinizione dei sintomi senza terapie in corso29. La decisione sulla durata della terapia dovrebbe essere quindi una scelta non "programmata", ma dipendente da una rivalutazione clinica periodica.
È possibile optare per una somministrazione di estrogeni per impiego topico in qualsiasi momento, sia in aggiunta (nel caso non sia sufficiente l'azione sui sintomi da parte degli ormoni per via sistemica) che in alternativa (se la sintomatolgia distrofica prevale su quella vasomotoria).
Nei casi di menopausa precoce (<45 anni) il ricorso alla terapia ormonale sostitutiva dovrebbe essere orientativamente previsto fino all'età di 47-48 anni (quando si verifica normalmente la sospensione della attività ovarica). Ogni rivalutazione dovrebbe essere effettuata alla luce dei diversi profili di rischio, che mutano col protrarsi del periodo di trattamento e con la consapevolezza che il beneficio legato alla prevenzione cardiovascolare, ipotizzato nel recente passato, è definitivamente tramontato.
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