Si è appena concluso in Italia, con la partecipazione di 860 medici di medicina generale distribuiti in (quasi) tutte le Regioni italiane (Figura1), una ricerca veramente unica, anche a livello internazionale. Con l'adozione di un protocollo che prevedeva un duplice obiettivo -epidemiologico e sperimentale -(Figura 2) si è realizzato uno studio che ha incluso 12.513 pazienti in una coorte prospettica che è stata seguita per un tempo mediano di 3,9 anni.
Figura 1 | Figura 2 |
Lo studio ha permesso di verificare la storia naturale-assistenziale di una popolazione considerata rappresentativa, secondo la terminologia classica, di che cosa è oggi la "prevenzione primaria" in un sistema sanitario che prevede [ancora] il pieno accesso dei cittadini a tutti gli interventi, farmacologici e no, che sono previsti-raccomandati per i soggetti percepiti e qualificati dal loro medico come ad alto rischio cardiovascolare, pur non avendo nella loro storia un evento cardiovascolare (che, sempre nella accezione più normalmente accettata, determinerebbe il passaggio da una condizione di prevenzione primaria ad una di prevenzione secondaria). La filosofia generale, i metodi specifici, la gestione concreta dello studio sono ritrovabili nel protocollo recentemente pubblicato 1. I risultati relativi alla valutazione della componente sperimentale dello studio sono ormai pronti per la pubblicazione, ma non sono oggetto di questo contributo, che è dedicato specificamente alla valutazione epidemiologica del se e quanto la "qualità" degli stili di vita, (così come sono qualificati, percepiti dal medico, vissuti dai soggetti coinvolti) contribuiscano a predire-produrre un andamento più o meno favorevole, in termini di mortalità ed eventi cardio-cerebrovascolari in una popolazione – ben rappresentativa della realtà per quanto riguarda la distribuzione per sesso – che si configura come di confine tra l'età adulta e l'anzianità.
Il contributo originale dello studio
La letteratura – e le varie linee guida – che si interessa di prevenzione cardiovascolare primaria è prevalentemente concentrata sulla componente farmacologica della prevenzione 2, che è anche l'argomento privilegiato degli studi clinici controllati e degli studi di valutazione degli esiti. Gli stili di vita sono da tutti riconosciuti come importanti-imprescindibili, ma sono per lo più oggetto di raccomandazioni alle quali non fa seguito un follow-up ben controllato, che permetta di valutare la trasferibilità nella routine, ed ancor meno l'impatto in termini di outcome di morbi-mortalità 3. L'assenza di informazioni attendibili sul ruolo degli stili di vita nella prevenzione-gestione del rischio è particolarmente preoccupante per il fatto che coincide con l'assenza (nella produzione-trasferibilità delle conoscenze) della medicina generale 4-6. La decisione assunta dallo steering committee dello studio – dove i MMG hanno giocato un ruolo centrale nella formulazione del disegno e degli strumenti di raccolta dati del protocollo – è stata quella di verificare prospetticamente non tanto "interventi" specifici, quanto l'andamento "naturale" delle popolazioni più o meno "esposte" a stili di vita che sono l'indicatore di comportamenti che si formano – modificano – si esprimono sul lungo periodo, e sono il prodotto di scelte culturali e personali, più che il risultato specifico di raccomandazioni, e tanto meno di prescrizioni, "mediche". L'"osservazione" di queste popolazioni si è effettuata – per essere quanto più possibile rappresentativa di ciò che succede nella quotidianità di vita ed assistenziale -semplicemente adottando due strumenti che mirano a mimare fedelmente ciò che dovrebbe essere una normale "gestione informata" del rischio:
a) Una check list degli obiettivi dei quali il medico-curante deve essere cosciente per garantire una qualità assistenziale responsabile (Figura 3);
b) Un questionario sugli stili di vita, soprattutto dietetico, che era stato già testato (per la sua logica e la semplicità delle variabili da indagare) in un contesto cardiologico , e di cui era importante verificare la utilizzabilità nello scenario (sempre avaro di tempo) della medicina generale (Figura 4). La altissima compliance nell'uso di questi strumenti da parte delle centinaia dei MMG che hanno partecipato (per 11.848/12.513 soggetti inclusi nello studio sono stati disponibili dati valutabili!) è il primo risultato, ed il primo takehome message che si può sottolineare come risultato dello studio: è possibile fare della valutazione degli stili di vita qualcosa che non viene fatto dal "di fuori", ma che può accompagnare, da dentro, la pratica quotidiana, in tutta la variabilità, anagrafica e culturale, dei contesti di cura e delle "storie di vita".
Figura 3 | Figura 4 |
Risultati
Le Tabelle 1 e 2 definiscono le caratteristiche dei profili di rischio-protezione della popolazione, stratificata secondo gli score ad hoc che sono stati sviluppati (v. riquadro e Figure 5-6 per una sintesi dei metodi-strumenti che sono stati sviluppati ed adottati ed i loro risultati rapportati ai diversi alimenti). Qui, come in seguito, una breve guida alla lettura ed alla comprensione dei dati, si trova come commento molto sintetico (non esaustivo, ma suggestivo) ai diversi numeri. La rilevanza di appartenere (= di avere una storia di vita caratterizzata da) all'una o all'altra categoria di rischio/ protezione in rapporto agli stili di vita (abitudini alimentari ed esercizio fisico nella vita quotidiana) è documentata numericamente nelle Figure 7-8 per quanto riguarda la mortalità; risultati simili sono stati osservati per gli eventi cardiovascolari.
Tabella 1 | Tabella 2 |
Figura 5 | Figura 6 |
Figura 7 | Figura 8 |
Conclusioni per guardare avanti
Vale la pena di articolare in punti facilmente memorizzabili il commento generale che si impone, al di là dei dettagli messi in luce nelle didascalie, tabelle e figure:
1) le "abitudini di vita" che si sono assunte (e/o attorno alle quali si organizza il comportamento delle persone) sono capaci di discriminare-predire destini diversi di morbi-mortalità anche lungo un periodo di follow-up relativamente breve (se rapportato alla vita) come quelle descritte dallo studio (meno di 4 anni);
2) ciò si verifica in una popolazione che entra nella età anziana;
3) l'effetto è additivo ed indipendente rispetto ai trattamenti farmacologici, che sono di per sé decisamente intensivi (se si confrontano con i dati che sono generalmente riportati in letteratura per popolazioni comparabili trattate cronicamente) (Tabella 3)
4) tutto ciò è osservabile-misurabile, e perciò trasferibile e praticabile, come parte "normale" della buona pratica clinica di medicina generale;
5) lo studio è stato parzialmente sostenuto con un grant dell'industria farmaceutica, gestito in piena autonomia e con un supporto della "vecchia" AIFA; gli spazi per "incentivi" economici ai partecipanti erano veramente minimi: anche questo è un risultato. Aver prodotto, in questi "tempi difficili", un dato che colloca in modo innovativo l'attenzione agli stili di vita al centro concreto, non teorico, della cultura e delle pratiche di prevenzione non è poco;
6) come per tutte le "evidenze" il problema è la loro trasferibilità: metodologicamente non ci dovrebbero essere problemi: è difficile trovare nella letteratura uno studio più simile alla realtà quotidiana di R&P: non ci sono adattamenti-aggiustamenti da fare: né interventi da aggiungere ad interventi: né premi di produzione da aggiungere: né promozioni competitive. La ricerca veniva fatta coincidere con crediti ECM da distribuire. L'evidenza prodotta ha un'unica difficoltà: o meglio presenta una sola provocazione: non propone un "fare" o un "sapere" in più, "nuovi": rimanda – medici e cittadini (non pazienti) - ad una cultura da praticare e condividere: senza aggressività: con estrema flessibilità e libertà. Gli "stili di vita" non sono obblighi né prescrizioni di vita: funzionano se accompagnano la vita: non perché ne diminuiscano rischi medico-sanitari, ma perché sono un'opportunità per esprimere, liberamente - anche qui: da parte dei medici e dei cittadini - un progetto di autonomia personale.
7) può una "cultura" essere un incentivo praticabile in questi "tempi difficili"?
1.Rischio and Prevenzione Investigators. Efficacy of n-3 polyunsaturated fatty acids and feasibility of optimizing preventive strategies in patients at high cardiovascular risk: rationale, design and baseline characteristics of the Rischio and Prevenzione study, a large randomised trial in general practice. Trials 2010; 11: 68.
2.Graham I et al. European guidelines on cardiovascular disease prevention in clinical practice: executive summary. Atherosclerosis 2007; 194:1-45.
3.Artinian NT et al. Interventions to promote physical activity and dietary lifestyle changes for cardiovascular risk factor reduction in adults: a scientificstatement from the American Heart Association. Circulation 2010; 122: 406-41.
4.Bach A et al. The use of indexes evaluating the adherence to the Mediterranean diet in epidemiological studies: a review. Public Health Nutrition 2006; 9:132-46.
5.Warren JM et al. Assessment of physical activity - a review of methodologies with reference to epidemiological research: a report of the exercise physiology section of the European Association of Cardiovascular Prevention and Rehabilitation. Eur J Cardiovasc Prev Rehabil 2010; 17:127-39.
6.van Poppel MN et al. Physical activity questionnaires for adults: a systematic review of measurement properties. Sports medicine (Auckland, NZ) 2010; 40:565-600.
Data di Redazione 08/2011