Anna Vittoria Ciardullo, Emilio Maestri, Nicola Magrini CeVEAS, Azienda USL, Modena
Salvatore Panico Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università Federico II, Napoli
Riassunto
Quando esiste un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari importante come il diabete, che da solo è capace di determinare gravi conseguenze, è necessario avere un controllo molto più stretto degli altri fattori di rischio eventualmente associati. Se, per esempio, un diabetico ha la pressione un po' più alta del normale, occorre abbassarla. Lo stesso vale per l'ipercolesterolemia: bisogna intervenire anche in presenza di valori al limite della normalità che in un individuo sano non creerebbero alcun problema, ma che in un diabetico potrebbero, al contrario, favorire altri eventi cardiovascolari.
I diabetici possono trarre vantaggio da un trattamento ipolipidemizzante con statine (inibitori dell'enzima HMG-CoA-reduttasi) anche se presentano valori di lipidi ematici nella media.
Gli studi epidemiologici indicano che approssimativamente il 3-4% della popolazione italiana è affetta da diabete mellito: nel nostro paese quindi i diabetici sono 2 milioni1circa. Il 95% dei pazienti presenta le caratteristiche del diabete di tipo 2 (diabete mellito non insulino-dipendente)1,2, mentre solo uno-due italiani su mille sono affetti dal tipo 1 (prevalenza 0,1 - 0,2%).
Livelli di glicemia a digiuno superiori a 108 mg/dl sono associati ad una maggiore incidenza di malattie cardiovascolari3. Nei pazienti diabetici, il rischio globale per eventi cardiovascolari è quasi triplicato4,5 ed il rischio di morte per qualunque causa aumenta del 75%6,7.
Un buon controllo glicemico è utile a ridurre i rischi a carico di occhi, reni, nervi ed estremità. Il meccanismo attraverso il quale l'iperglicemia danneggia il sistema cardiovascolare è, però, molto diverso da quello che porta alla retinopatia, alla neuropatia e alla nefropatia diabetiche.
Raramente, tuttavia, il paziente diabetico ha 'solo' il diabete; spesso sono presenti anche altre condizioni di rischio quali ipertensione, dislipidemia e sovrappeso/obesità. In questo tipo di pazienti, il riferimento ad un rischio cardiovascolare globale assoluto, ha il vantaggio di rispettare la molteplicità eziologica e di offrire diverse scelte di trattamento secondo il profilo individuale, facilitando anche l'adeguamento alle possibili preferenze del paziente, un punto questo molto importante in medicina generale8.
La scelta di una strategia appropriata per ridurre il rischio cardiovascolare del paziente diabetico fa parte della quotidianità del medico. Se si interviene su iperglicemia, ipertensione e iperlipidemia con provvedimenti non farmacologici (dieta, esercizio fisico e sospensione del fumo), con i farmaci e con la collaborazione del paziente (educazione terapeutica), si ottengono risultati significativi: il rischio si riduce molto più di quanto non accada nella popolazione generale.
Le statine (inibitori dell'HMG-CoA reduttasi) si sono dimostrate efficaci nel ridurre globalmente di circa il 25% la mortalità per cardiopatia ischemica9; purtroppo, però, i dati sui pazienti con diabete erano pochi.
Lo studio Heart Protection Study (HPS)10, disegnato appositamente per i pazienti ad alto rischio cardiovascolare per diverse patologie tra cui anche il diabete, ha prodotto finalmente dati relativi ad un campione consistente di pazienti diabetici. Il presente lavoro ha lo scopo di presentare i risultati relativi ai pazienti diabetici estratti dagli studi clinici che hanno studiato l'effetto delle statine in prevenzione cardiovascolare primaria e secondaria.
Effetti delle statine sul rischio cardiovascolare
La riduzione assoluta del rischio (ARR absolute risk reduction) per gli eventi coronarici, per la mortalità coronarica e per la mortalità totale varia al variare della diversa probabilità di ammalarsi delle popolazioni arruolate negli studi.8 Negli studi di prevenzione secondaria (4S11, CARE12, LIPID13, LIPS14 e HPS10), nei quali gli individui trattati avevano maggiori probabilità di ammalarsi di cardiopatia ischemica, l'efficacia del trattamento sulla mortalità è risultata significativamente superiore a quella osservata negli studi di prevenzione primaria (WOSCOPS15 e AFCAPS16) dove sono stati trattati individui a minor rischio17.
Effetti delle statine nei diabetici in prevenzione primaria cardiovascolare
Lo studio WOSCOPS15 ha confrontato pravastatina (40 mg/die) con placebo in 6595 maschi (di età 45-64 anni) sani o con angina stabile, ipercolesterolemici (colesterolemia >250 mg/dl, LDL>155 mg/dl). I diabetici rappresentavano solo l'1% dei pazienti reclutati: 45 appartenevano al gruppo trattato con pravastatina, 35 al gruppo placebo. L'esiguità del numero di diabetici non ha consentito di ricavare dati ad hoc. Nella tabella 1 vengono perciò riportati i dati relativi al sottogruppo di pazienti con due o più fattori di rischio (diabete, fumo, ipertensione, storia di dolore retrosternale o claudicatio intermittens, anormalità all'ECG).
Lo studio AFCAPS/TexCAPS16 ha studiato lovastatina (20-40 mg/die) vs. placebo in 6605 individui (85% maschi) sani (di età 45-73 anni) dislipidemici (colesterolemia 180-264 mg/dl; LDL130-190; trigliceridi<400 mg/dl, HDL<35 se maschi e <45 se femmine). I diabetici rappresentavano il 3% (84 su 3304) dei pazienti trattati con lovastatina e il 2% (71 su 3301) di quelli assegnati al placebo. Gli esiti rilevati nel gruppo di trattamento rispetto al placebo non sono statisticamente significativi; ciò deriva dal fatto che, non trattandosi di uno studio sui pazienti diabetici, la scarsa numerosità del campione non consente di trarre conclusioni appropriate.
Effetti delle statine nei diabetici in prevenzione secondaria cardiovascolare
I risultati degli studi clinici in prevenzione secondaria, 4S11, CARE12 e LIPID13 (tabella 2) indicano, nel complesso, che una diminuzione di 38 mg/dl del colesterolo-LDL mantenuta per 56 anni sembra ridurre il rischio cardiovascolare di circa un quarto. Dei pazienti complessivamente arruolati, circa 1500 avevano anche il diabete (prevalentemente tipo 2) e una analisi retrospettiva suggerisce che l'effetto proporzionale sul rischio coronarico è simile a quello osservato nei non diabetici.18 Inoltre, anche se questi studi tendevano ad escludere pazienti con fattori di rischio particolari (per es. quelli con diabete scompensato o con ipertrigliceridemia), i rischi coronarici assoluti erano più elevati tra i pazienti randomizzati con diabete che tra quelli senza diabete; ne deriva, quindi, che i benefici assoluti dei pazienti diabetici sono stati maggiori18.
Lo studio LIPS14 ha valutato l'effetto di 80 mg di fluvastatina in una particolare situazione di prevenzione secondaria: i pazienti reduci da angioplastica percutanea, tra i quali erano stati arruolati 202 diabetici 16 .
Lo studio HPS10 è stato l'unico impostato per valutare specificamente gli effetti delle statine in persone ad alto rischio cardiovascolare perché affette da diabete mellito. Benefici. Lo studio 4S11 ha confrontato la simvastatina (20-40 mg/die) con placebo in 4444 individui coronaropatici (81% maschi) di età 35-70 anni, dislipidemici (colesterolemia 210-305 mg/dl). La percentuale di diabetici fra i pazienti reclutati era del 4,7% (105 su 2221) nel gruppo trattato con simvastatina e del 4,4% (97 su 2223) nel gruppo placebo. In questo studio la simvastatina si è dimostrata in grado di ridurre, nei pazienti diabetici, del 22,5% il rischio di un evento coronarico maggiore nei successivi 5 anni [limiti di confidenza (IC) al 95% compresi tra 10%e 35%].
Lo studio CARE12 ha confrontato la pravastatina (40 mg/die) con placebo in 4.159 individui infartuati (86% maschi), di età 21-75 anni, moderatamente dislipidemici (colesterolemia <240 mg/dl; LDL 115-174 mg/dl). I pazienti diabetici rappresentavano il 13,5% (282 su 2.081) del gruppo trattato con pravastatina e il 14,6% (304 su 2.078) del gruppo trattato con placebo. La pravastatina non ha ridotto significativamente il rischio coronarico a 5 anni (ARR 2,7%, IC 95% -4 +9%).
Lo studio LIPID13 ha randomizzato 9014 individui coronaropatici (83% maschi), di età 31-75 anni, normo-dislipidemici (colesterolemia 155-270 mg/dL) a pravastatina (40 mg/die) o a placebo. La percentuale di pazienti diabetici era dell'8,8% (396 su 4512) nel gruppo trattato con pravastatina e dell'8,6% (386 su 4502) nel gruppo placebo. A distanza di 6 anni (durata dello studio) la diminuzione degli eventi coronarici maggiori con pravastatina non è stata significativa (ARR 3,6%, IC 95% -2 +9%).
Se si analizzano i dati combinati di questi tre studi clinici (metanalisi degli studi 4S, CARE e LIPID)17 si osserva che le statine sembrano ridurre il rischio coronarico a 5 anni nei pazienti con diabete del 5,5% (IC 95% 1-10%), vale a dire che sarebbe necessario trattare con statine 18 diabetici per 5-6 anni per evitare un evento coronarico maggiore. Ma questi sono dati indiretti, ovvero desunti dagli studi disponibili tramite strumenti statistici (metanalisi) e non corrispondono alle prove di efficacia dirette derivanti da studi ad hoc per i pazienti diabetici.
Tra i 1.677 pazienti arruolati nello studio LIPS14 (reclutati indipendentemente dai livelli di colesterolemia) erano presenti 202 diabetici. Pur con la dovuta cautela derivante dalla modesta numerosità del campione, l'analisi degli effetti del trattamento nel sottogruppo dei pazienti con diabete ha mostrato una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari maggiori (RR 0,53; IC 95% 0,29-0,97) più spiccata rispetto alla globalità dei casi trattati (RR 0,78; IC 95% 0,64-0,95).
Lo studio HPS
Lo studio HPS10 è uno studio clinico prospettico randomizzato, in doppio cieco, (condotto su più di 20.500 individui) sull'uso prolungato (>5 anni) della simvastatina (40 mg/die) e di un cocktail di vitamine antiossidanti (650 mg/die di vitamina E, 250 mg/die di vitamina C e 20 mg/die di beta-carotene) secondo un disegno fattoriale 2x2 (bracci di trattamento: simvastatina+vitamine,simva-statina+placebo, vitamine+placebo o placebo+placebo). Questo studio ha specificamente incluso pazienti ad alto rischio coronarico, ma con caratteristiche che li avevano solitamente fatti escludere dagli studi precedenti sulle statine: donne, anziani, diabetici, individui a bassa colesterolemia pre-trattamento e quelli con precedente vasculopatia occlusiva non coronarica.
Il trattamento con vitamine non ha prodotto benefici19. Il trattamento per 5 anni con simvastatina ha dimostrato, invece (su tutti i partecipanti), di prevenire almeno un evento cardiovascolare maggiore (infarto, ictus, rivascola rizzazione) in circa 70-100 persone ogni 1.000 (7-10%).
L'entità del beneficio a 5 anni per il singolo paziente dipende principalmente dal rischio individuale cardiovascolare globale assoluto piuttosto che dalle sole concentrazioni plasmatiche di lipidi. In particolare, si è avuta una riduzione proporzionale di eventi cardiovascolari maggiori altamente significativa del 25% (IC 95% 16-33) tra i partecipanti senza storia di coronaropatia pregressa (prevenzione primaria), con riduzioni separatamente significative tra individui non coronaropatici ma con cerebrovasculopatia (p=0,001), o vasculopatia periferica (p<0,0001), o diabete (p<0,0001).
Per quanto riguarda i soli diabetici (tabella 3), si hanno risultati di 3 tipi: a) sul totale di 5.963 diabetici partecipanti allo studio; b) su 3.982 diabetici senza storia di cardiopatia ischemica; c) su 1.981 diabetici con storia di cardiopatia ischemica o altra coronaropatia.
Nei pazienti diabetici, dunque, la simvastatina ha dimostrato di ridurre il rischio di un evento cardiovascolare maggiore in 5 anni:
a) del 5% (IC al 95% 3-7%) nel totale dei diabetici;
b) del 5% (IC al 95% 3-7%) nei diabetici senza storia di cardiopatia ischemica;
c) del 4% (IC al 95%: 0,1-8%) nei diabetici con storia di cardiopatia ischemica.
Ma ciò che è ancora più importante è che tali riduzioni di eventi cardiovascolari maggiori in 5 anni non sembrano essere materialmente influenzate dai valori ematici pre-trattamento di colesterolo o di trigliceridi. Vale a dire che il
trattamento con statine produce, anche nei pazienti diabetici, benefici a prescindere dai livelli dei lipidi ematici.
Traducendo i dati di rischio relativo ed assoluto nel numero di pazienti da trattare (NNT) sarebbe necessario trattare 20-23 diabetici per 5 anni con 40 mg al giorno di simvastatina per evitare un evento coronarico maggiore a prescindere dalla storia individuale di dislipidemia o di pregressa coronaropatia.
Questi risultati vanno però valutati con le doverose cautele derivanti dalle inevitabili osservazioni che in primo luogo i pazienti dello studio erano ad alto rischio e, quindi, l'effetto della simvastatina potrebbe essere stato confuso dalla concomitante azione di eventuali altri farmaci con importanti effetti cardiovascolari e, ancor più importante, che la popolazione italiana presenta un rischio cardiovascolare sensibilmente più basso di quella anglosassone8su cui è stato effettuato lo studio HPS.
Conclusioni per la pratica
La rilevanza dello studio HPS10 consiste nell'aver studiato pazienti ad alto rischio coronarico, con caratteristiche che li avevano fatti escludere dagli altri trials. Nei pazienti diabetici studiati la simvastatina ha dimostrato di ridurre di circa il 5% il rischio di avere un evento cardiovascolare maggiore in 5 anni, e tali benefici prescindevano dai livelli dei lipidi ematici.
Nel trasferire i risultati di uno studio nella pratica clinica va considerata tuttavia la minore probabilità di ammalarsi di un evento coronarico della popolazione italiana. Ad esempio, a parità di altri fattori di rischio cardiovascolare, un uomo italiano di mezza età con una colesterolemia di 230 mg/dl ha una minore probabilità di avere un infarto nei successivi 10 anni rispetto ad un coetaneo scozzese con la stessa colesterolemia8.
Se le conclusioni operative dello studio HPS per un medico di medicina generale inglese potrebbero essere la prescrizione di 40 mg di simvastatina a tutti i diabetici, il trasferimento della stessa scelta nella pratica ambulatoriale del
nostro paese non dovrebbe essere automatico. Il diverso profilo di rischio ed i buoni risultati conseguiti nella nostra popolazione con dosi minori di farmaco (solitamente 20 mg), suggeriscono comunque di prendere in considerazione l'impiego di statine nei nostri pazienti diabetici:
basandosi sulla valutazione del rischio cardiovascolare globale,
indipendentemente dai livelli di colesterolemia,
senza generalizzare l'uso dei 40 mg di simvastatina.
La scelta del farmaco dovrebbe ricadere sulle molecole più studiate. A tutt'oggi le molecole per le quali esiste la più ampia evidenza di efficacia e sicurezza sono simvastatina e pravastatina.
Bibliografia
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