A proposito di terapia ormonale sostitutiva in menopausa
A cura di:
CSeRMEG-Centro Studi e Ricerche in Medicina Generale; SIMeF-Società Italiana di Medicina di Famiglia; FIMMG-Federazione Italiana Medici di Medicina Generale; AIMEF-Associazione Italiana di Medicina di Famiglia; AssCumi-Associazione Culturale Medici Italiani; EGPRW-European General Practice Research Workshop - Italia; SIQuAS-VRQ -Società Italiana per la Qualità dell'Assistenza Sanitaria - Verifica e Revisione di Qualità; Heart Care Foundation-Fondazione Italiana per la lotta alle Malattie Cardiovascolari - ONLUS; AIE-Associazione Italiana di Epidemiologia; ANMCO-Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri; Rivista Occhio Clinico; Coordinamento Tecnico Direttori Dipartimento Servizi Sanitari di Base di ASL Regione Lombardia.
Il recente studio americano denominato Womens's Health Initiative (WHI), pubblicato sulla rivista JAMA, ha dimostrato che l'assunzione combinata di estrogeni e progestinici dopo la menopausa presenta complessivamente più rischi che benefici. Questo risultato, contrario alle aspettative e ampiamente diffuso dalla stampa, ha suscitato comprensibili preoccupazioni (in Italia si stima che circa l'8% delle donne in menopausa assumano estrogeni), ma anche reazioni e commenti non sempre utili a fare chiarezza, e talvolta persino fuorvianti.
Le Società Scientifiche dei Medici di Medicina Generale e gli altri gruppi e associazioni firmatarie del presente documento, ritengono perciò opportuno presentare questa posizione, basata sulle conoscenze attualmente disponibili ed elaborata congiuntamente, che riassume le informazioni essenziali.
Le donne interessate potranno ottenere dal loro medico di fiducia ulteriori chiarimenti ed indicazioni personalizzate, in modo da poter compiere una scelta libera e consapevole.
Le conoscenze precedenti
Precedentemente al WHI numerose osservazioni suggerivano un possibile e notevole effetto protettivo degli estrogeni (somministrati a lungo dopo la menopausa) nella prevenzione dell'osteoporosi e di alcune importanti patologie cardiovascolari; alcuni dati lasciavano supporre addirittura un dimezzamento di malattie come la cardiopatia ischemica e l'infarto del miocardio. Era noto anche il rischio di un aumento di tumori al seno, che tuttavia appariva di entità modesta e tale da non pregiudicare i possibili benefici se la terapia veniva seguita in assenza di controindicazioni, da donne attentamente seguite dai medici e disposte agli opportuni controlli periodici. Sta di fatto però che si trattava soltanto di ipotesi non dimostrate mediante studi scientifici rigorosi, e lo studio WHI si proponeva quindi di sottoporle ad una verifica definitiva.
Lo studio Women's Health Initiative (WHI)
Circa 16.000 donne di età compresa tra 50 e 79 anni, in buone condizioni di salute, dopo aver fornito un consenso informato alla prova, sono state incluse nella sperimentazione. Di queste, metà sono state sorteggiate ad assumere una combinazione di pillole a base di estrogeni naturali coniugati associati ad un progestinico (indispensabile per bilanciare il rischio di tumori all'utero), mentre l'altra metà assumeva pillole di placebo, cioè prive di ormoni. Questa metodologia di indagine (trial clinico controllato) è la più sicura per dimostrare gli effetti di una terapia e viene infatti normalmente usata nelle ricerche cliniche per ottenere risultati affidabili.
La durata prevista dello studio era di circa 8 anni, al termine dei quali si sarebbero tratte le conclusioni confrontando gli effetti nei due gruppi di donne. Come è noto, lo studio è stato invece interrotto in anticipo, non appena è divenuto chiaro che gli svantaggi prevalevano sui benefici e la sua prosecuzione non avrebbe più potuto modificare i risultati. Nei 5 anni circa precedenti all'interruzione del WHI si sono avuti nelle donne che assumevano estrogeni e progesterone:
un aumento del 29% di cardiopatie coronariche, pari a circa 7 casi in più ogni anno su 10.000 donne
un aumento del 26% di tumori del seno, pari a circa 8 casi in più ogni anno su 10.000 donne
un aumento del 41% di ictus cerebrale, pari a circa 8 casi in più ogni anno su 10.000 donne
un aumento del 113% di tromboembolie polmonari, pari a circa 8 casi in più ogni anno su 10.000 donne
I vantaggi sono stati invece:
una diminuzione del 34% delle fratture dell'anca, pari a circa 5 casi in meno ogni anno su 10.000 donne
una diminuzione del 37% dei tumori del colon, pari a circa 6 casi in meno ogni anno su 10.000 donne
Non vi sono state invece differenze significative di mortalità nei due gruppi di donne.
Come si può osservare dai dati, i valori espressi in percentuale danno un'impressione preoccupante, ma i numeri assoluti per 10.000 donne chiariscono che si tratta di rischi modesti e non è quindi giustificato alcun allarmismo. Tuttavia è innegabile che ci si trova di fronte all'opposto di quanto si sperava di poter dimostrare: la terapia a base di estrogeni associati a progestinici, pur riducendo le fratture e i tumori del colon, nel complesso presenta più rischi che benefici. La grandissima maggioranza delle donne che la pratica, anche se non incorre in effetti avversi, non ottiene quindi nessun reale vantaggio in termini preventivi, facendo cadere la motivazione per un trattamento prolungato. La conclusione è che, in base a questi risultati, una terapia ormonale sostitutiva di lunga durata non è raccomandabile per le donne appartenenti alla tipologia studiata, quelle cioè apparentemente in buona salute, di età tra 50 e 79 anni. Per quanto riguarda invece le donne affette da malattie cardiovascolari, vi erano già altri studi in base ai quali la terapia è da ritenersi controindicata.
Va precisato che i risultati di questa ricerca non sono applicabili a trattamenti di breve durata (alcuni mesi) effettuati per ridurre i fastidiosi sintomi della menopausa, né ai trattamenti effettuati nelle donne più giovani, ad esempio per una menopausa precoce: in questi casi i vantaggi possono essere superiori ai rischi.
Inoltre il WHI non fornisce informazioni sul trattamento con estrogeni non associati a progestinici, che però possono essere dati solo a donne isterectomizzate.
Le critiche allo studio WHI
Lo studio è stato criticato perché includeva donne in media più anziane di quelle che normalmente assumono estrogeni associati a progestinici per la menopausa in Italia, e inoltre perché vi sarebbe stata una maggiore presenza di donne a rischio vascolare (diabetiche, ipertese o in sovrappeso). L'obiezione è infondata: nello studio WHI non risultano differenze in base all'età, alla pressione arteriosa, al peso o alla presenza di diabete e i risultati sono quindi validi indipendentemente dall'età delle donne, dal peso, dalla pressione arteriosa e dalle diverse altre situazioni considerate. Peraltro si può presumere che nelle donne più giovani anche i vantaggi sulle fratture da osteoporosi e sulla prevenzione dei tumori del colon sarebbero in assoluto minori, perché meno a rischio di incorrere in tali patologie.
Si è inoltre sostenuto che i cerotti agli estrogeni siano più sicuri delle pillole, ma nonostante quanto riportato da alcuni organi di stampa, non vi sono prove a supporto di questa opinione. Prima di affermarlo sarà necessario effettuare sperimentazioni cliniche altrettanto rigorose (se non altro per non basarsi su impressioni che possono essere ancora una volta smentite).
Infine, secondo alcuni, si sarebbe ingiustamente trascurato il fatto che le donne trattate con estrogeni e progestinici hanno una migliore qualità di vita. A questo proposito va sottolineato che la terapia di breve durata a base di tali farmaci per i sintomi della menopausa non è in discussione, ma in assenza di disturbi del climaterio non è stato finora dimostrato che le donne che li assumono abbiano davvero una migliore qualità di vita per effetto del trattamento; potrebbe darsi, ad esempio, che le donne con una migliore qualità di vita siano più disposte ad utilizzarli delle altre. Comunque, buona parte delle interessate interrompe la terapia spontaneamente (in genere non molto tempo dopo la scomparsa dei disturbi) e questo fa presumere che di solito le donne non avvertano particolari disagi quando smettono. In ogni caso, solo ciascuna singola donna può decidere sulla sua qualità della vita, valutando globalmente con l'aiuto del suo medico i pro e i contro della terapia.
Raccomandazioni
L'assunzione di estrogeni per ridurre i sintomi che si manifestano all'inizio della menopausa (i più comuni sono vampate, sudorazioni, insonnia e secchezza della vagina) può essere molto utile specialmente se i disturbi sono mal sopportati. Un trattamento breve (alcuni mesi in genere sono sufficienti) comporta in questi casi molti più benefici che rischi e, salvo controindicazioni assolute, non c'è nessun motivo per rinunciarvi. Analogamente, nel caso di menopausa precoce (naturale o chirurgica), la terapia può essere opportuna fino all'età media della menopausa nella nostra popolazione (50-51 anni), sempre se non vi sono controindicazioni e sottoponendosi ai necessari controlli.
Non è invece raccomandabile continuare la terapia ormonale sostitutiva oltre il periodo necessario per ridurre i sintomi, almeno dopo aver raggiunto l'età della menopausa naturale.
Le stesse indicazioni vanno prudentemente considerate valide sia per gli estrogeni orali che per quelli in formulazioni transdermiche (cerotti), mentre nelle donne senza utero che assumono solo estrogeni i dati attualmente disponibili sono insufficienti per dare indicazioni precise (vi sono studi in corso).
Le donne che assumono estrogeni in qualunque formulazione abbinati a progestinici a scopo unicamente preventivo, cioè al di fuori dei casi di terapia dei sintomi o della menopausa precoce, dovrebbero quindi consigliarsi con il loro medico di fiducia circa l'opportunità di smettere il trattamento.
I benefici che si volevano perseguire con la terapia ormonale sostitutiva (soprattutto prevenzione dell'osteoporosi e delle malattie cardiovascolari) possono essere ottenuti con altre misure, tra le quali spicca per importanza ed efficacia lo stile di vita basato su alimentazione corretta, astensione dal fumo ed esercizio fisico. Nei casi di rischio particolarmente elevato, sono comunque disponibili altri farmaci.